Vivo in
campagna e ho la fortuna di avere uno spazio esterno. Ho anche due figli e
qualche mattina fa, il piccolo di un anno e mezzo, dopo oltre venti giorni di
questa nuova vita ha iniziato a urlare e usare alcune delle poche parole che sa
pronunciare. “Chiavi”, battendo le mani sul cancello per aprirlo e uscire in
strada, “spesa” perché voleva salire in auto, e pur di uscire sarebbe andato
benissimo il supermercato, cercando anche di arrampicarsi fino alla maniglia
dello sportello. Tra le fortune ascrivibili anche quella di vivere in un
paesino lontano dalle zone più colpite dal Coronavirus. Mia figlia più grande
ha quasi 6 anni, la notte ha degli incubi ed i sogni migliori sono quelli in
cui incontra nuovamente i nonni e i suoi coetanei. Da un paio di settimane sta
organizzando un pigiama party per quando sarà possibile uscire nuovamente di
casa. Facciamo molte videochiamate e quella organizzata dalla scuola materna
l'ha attesa per una settimana, in agitazione. In programma per le 17 ha
iniziato il conto alla rovescia dall'ora di colazione, portando sul tavolo
l'orologio sveglia e continuando a fissarlo fino all'ora stabilita. La sua
faccia quando ha visto le maestre e i compagni mi ha ricordato una vacanza di
qualche anno fa, in Scozia. Vide dopo qualche giorno di porticcioli e castelli
diroccati il primo bambino sulla sponda di un lago. In un'area giochi grigia,
spoglia e praticamente vuota, noi esclusi. “Babbo, un bambino. Posso
giocarci?”. Questi giorni se ci muoviamo è per andare al secchio dell'umido, a
300 metri di distanza. In casa conviviamo con tranquillità, e ci diamo da fare
per tenerci occupati, tutti e quattro.
Insomma, al
momento le nostre sono condizioni ideali per passare in casa altre, chissà
quante, settimane. Condizioni pratiche e familiari non troppo comuni. Molta
parte di genitori e figli vivono in appartamenti, anche molto piccoli, anche
senza balconi e senza poterne uscire o con la malattia di là del muro. Chissà
quanti genitori senza partner per mille motivi ma con bambini in giro per casa.
Chissà quanti con problemi di convivenza. Chissà quanti arrivati ad un punto di
saturazione, in difficoltà di salute, emotive ed economiche, senza una
soluzione e che riversano, o condividono tutto questo con i figli che hanno
ancor minori alternative dei loro genitori.
Nella mia
situazione privilegiata i figlioli iniziano a reagire col rifiuto cercando di
ribellarsi e liberarsi. I bambini non hanno dimenticato ancora le abitudini di
prima e stanno cercando di costruirne di nuove. Non gli piacciono, ovvio, come
a noi.
La circolare
del Viminale è andata in questa direzione, consentendo adesso ad un genitore di
poter uscire in strada coi bambini, nelle vicinanze della propria abitazione. E
chissà per quanto tempo resterà in vigore viste le proteste ufficiali di
amministratori locali e le ribellioni social di proprietari di cani, runner, e
molti cittadini comuni che la vedono come una concessione sbagliata perché non
si dovrebbe abbassare la guardia ora che la paura è ancora alta, perché i
bambini potrebbero ammalarsi e far ammalare, perché gli adulti potrebbero
approfittarsene e perché, inutile sottolinearlo, è già successo pochi giorni fa
proprio con alcuni proprietari di cani e molti runner.
Nessuno
vuole scavalcare nessuno, sia nel bene che nel dolo, ed è il primo punto da
tenere a mente anche perché questo è il momento in cui è facile trasformare
ogni marciapiede in un tribunale. L'altro punto è il responso della scienza, e
se quella dice che camminare in strada con bambini è consentito, oppure è
vietato perché mette a rischio la propria vita e quella degli altri, è
indispensabile attenersi al suo parere. Le regole sono fondamentali e i
genitori lo sanno bene, ne ripetono (urlano) centinaia ogni giorno. Se le
cambiano troppo velocemente perdono di credibilità e la soluzione non può
essere urlarle più forte. Quando viene detto “i bambini possono passeggiare con
uno dei due genitori in prossimità della propria abitazione”, per non creare
troppi allarmi si dovrebbe dire anche agli adulti in che maniera comportarsi e
far interagire i piccoli col mondo esterno. Sono gli adulti quelli da
bacchettare, non i bambini.
Il problema
è che spesso le esigenze dei bambini in una condizione normale, come ovviamente
anche in questa nuova e peggiore, rischiano di venire mortificate. Quante volte
si sente dire, parlando di un bambino: “non si ricorderà niente”. Un lascia
passare per sovraccaricarlo di emozioni, esponendolo a fatti e parole che non è
in grado di interpretare. Ha bisogno di un filtro per la situazione attuale che
non può essere soltanto il collegamento tramite social con i propri insegnanti,
già di per sé nuovo ed estraniante. E in molti casi nemmeno equo visto che non
tutti possono riuscirci. Se quest'emergenza dovesse durare ancora settimane o
mesi, oltre a questo già trascorso sarebbe ancora più difficile far capire la
temporaneità del momento. Diventerebbe, chissà, una condizione di vita nuova.
Come ogni emergenza non la si può affrontare senza pensare ai bambini. Non si
possono escludere. Rimandare il problema ingigantirà il problema.
Queste non
sono le due settimane di vacanza con le abitudini stravolte e il gioco del
nascondino fatto in casa. Internet non può essere l'unica soluzione,
soprattutto se i bambini in età prescolare non hanno ancora quella confidenza
tecnologica che rende sopportabile e anestetizza la quarantena e le ansie degli
adulti. I bambini cercano la tv, come è normale, ma dargli esclusivamente la
stessa programmazione del giorno prima, quella che avrebbero visto a gennaio o
in momenti di normalità non ha nessun senso. Si pensi a qualcosa che gli
racconti l'oggi e li prepari al dopo. Anche perché il domani potrebbe avere
nuove regole di convivenza. Se si potrà allentare qualche morsa, quando, e
come, si pensi a loro. Quei minuti d'aria che adesso sono concessi ai più
piccoli potrebbero essere un salvagente, una maniera per fargli capire che
fuori di casa esiste ancora l'aria che conoscevano, la stessa strada, le stesse
identiche coordinate che avevano prima. Punti di riferimento per niente banali
e coi quali torneranno ad avere confidenza. Sforzarsi e ragionare su come
impegnare il tempo e le energie dei bambini in momenti di alta criticità come
questi vorrebbe dire salvaguardarli.
Se lo
stravolgimento della vita per gli animi più fragili e le vite più a rischio di
quegli adulti che ignoravamo, magari perché stavano andando a comprare sesso,
gioco, droghe ci impressiona, o ci fa schifo e adesso ci troviamo esempi di
persone così che in casa stanno esaurendo le forze, perché questo discorso non
dovrebbe valere per i bambini? Hanno una voce più flebile ma non si può
rischiare di lasciarli per ultimi perché non riescono ad urlare come gli adulti
o perché “tanto dimenticano”.
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