Siamo in quel momento dell’anno in cui quelli che fino
a ieri negavano i cambiamenti climatici perché sentivano insolitamente freddo,
acrobaticamente si apprestano a sfottere quelli che si lamentano dell’arrivo
del caldo torrido con la motivazione scientifica «è estate, è ovvio che faccia
caldo». Sono gli stessi che confondono il meteo con il clima, ma in realtà
ormai sappiamo quasi tutto dei cambiamenti climatici causati dal
surriscaldamento terrestre e dei rischi che corre il pianeta, nonostante i
negazionisti e i fatalisti alla Casa Bianca e su Twitter non facciano mancare
all’opinione pubblica la versione meno catastrofista, con argomentazioni che
confinano con quelle dei NoVax e degli appassionati di ufologia.
Da una parte ci sono gli scienziati, i rapporti delle Nazioni Unite,
l’ultimo dei quali sostiene che il mondo è sempre più a rischio di un
“apartheid climatico” dove i ricchi pagano per fuggire da caldo e fame causati
dal surriscaldamento terrestre mentre il resto del mondo soccombe al punto che,
si legge, «i diritti umani potrebbero non sopravvivere al prossimo
sconvolgimento radicale». Ci sono anche gli accordi internazionali per limitare
le emissioni di carbone, l’industria automobilistica che si ripensa, la
mobilitazione globale dei ragazzi guidati dalla svedese Greta Thunberg, i successi
dei partiti ecologisti alle
elezioni europee e la consapevolezza delle nuove generazioni che considerano il
climate change la sfida urgente del nostro tempo. Sul fronte opposto, invece,
ci sono le relazioni di altri scienziati o presunti tali, il girarsi dall’altra
parte dei Paesi in via di sviluppo e dei regimi autoritari e ora anche la
rumorosa leadership di Donald Trump e dei governi populisti.
Il settimanale britannico Economist, una
delle voci più ascoltate nel mondo del business e dei mercati azionari,
un’istituzione giornalistica non sospettabile di seguire mode e tantomeno
ideologie anticapitaliste, ha introdotto un altro tema: secondo il magazine inglese,
i cambiamenti climatici causano guerre e aumentano la possibilità che si
verifichino rivolte e massacri. L’Economist non arriva a dire che
la guerra in Siria o il genocidio in Darfur siano una diretta conseguenza del
surriscaldamento terrestre, perché nessun conflitto armato può scoppiare senza
qualcuno in carne e ossa che dia ordini ai generali e alle truppe, e certamente
i fattori scatenanti i conflitti sono molteplici, dalla povertà alle differenze
etniche, dal fondamentalismo religioso all’approvvigionamento delle materie
prime, ma il magazine sostiene che gli storici saranno in grado di stabilire
che i cambiamenti climatici avranno reso le guerre più probabili di quanto
sarebbero state senza il global warming.
La tesi del settimanale è che «i cambiamenti climatici
causano sconvolgimenti ambientali che destabilizzano intere regione e aumentano
il rischio di spargimento di sangue». Quello che è successo durante il
Consiglio Artico del 6 maggio ha destato la preoccupazione anche di un altro
organo di stampa serio e non sospettabile di anticapitalismo come Bloomberg Businessweek.
Entrambi i settimanali anglosassoni hanno letto il rifiuto americano,
esplicitato dal Segretario di Stato Mike Pompeo, di firmare una dichiarazione
comune per il solo fatto che conteneva un riferimento agli effetti del
surriscaldamento terrestre, come un momento simbolico del rischio che stiamo correndo:
mentre le calotte polari si restringono, la Russia e i Paesi Nato stanno
rinforzando la loro presenza militare, così come la Cina sta costruendo una
rompighiaccio nucleare. Pompeo, a nome degli Stati Uniti, ha denunciato il
comportamento aggressivo dei russi e la questione, spiega l’Economist,
diventerà sempre più pericolosa nel momento in cui il mitico Passaggio a
Nord-Ovest, per effetto dello scioglimento dei ghiacciai, si aprirà ancora di
più alle flotte commerciali e magari quando nelle sue acque saranno scoperti
giacimenti di minerali di valore che apriranno una sicura contesa
internazionale dagli esiti inimmaginabili.
Ma se tra le grandi potenze prevale ancora l’idea che
nessuno può permettersi di far scoppiare una guerra nucleare globale, poiché
non ci sarebbero vincitori ma solo l’inevitabile distruzione collettiva, il
rischio vero dei cambiamenti climatici si può valutare nel sud del mondo, nelle
zone desertiche già infestate da carestie, siccità e guerre civili. «Alcune
cose sono chiare – scrive l’Economist – l’effetto serra aumenta in
alcune regioni la frequenza e l’intensità di siccità e alluvioni. Le piogge
stagionali e i monsoni stanno diventando più variabili e meno prevedibili,
mentre alcune aree diventano aride, gli abitanti sconfinano in terre
tradizionalmente coltivate o usate per pascolo da altri. Scoppiano conflitti,
alcuni dei quali sono già diventati violenti, specialmente nel Sahel, una
grande striscia d’Africa sotto il Sahara».
Le tensioni causate dai problemi ambientali hanno già
un impatto sugli storici e violenti conflitti in Burkina Faso, Chad, Camerun,
Mali, Niger, Nigeria e Sudan del sud e più aumenta la temperatura terrestre più
queste dispute rischiano di diventare comuni. La storia racconta molti esempi
di caos civile provocato dai cambiamenti climatici ma, restando nell’attualità,
secondo alcuni rapporti accademici degli ultimi anni anche il conflitto
siriano, tra il 2012 e il 2015, ha avuto come catalizzatore il surriscaldamento
terrestre. Sarebbero state le emissioni umane nell’atmosfera a peggiorare la
siccità nella regione che, di conseguenza, ha causato la migrazione di massa
dalle campagne alle città e che poi ha portato alle tensioni e alla guerra
civile e, infine, all’esodo di massa dei migranti siriani verso l’Europa.
Il problema è serio, ma l’urgenza di intervenire è
avvertita solo dalle nuove generazioni, non dai leader attuali, figuriamoci
dall’inquilino della Casa Bianca, e non si vedono all’orizzonte soluzioni serie
e all’altezza della sfida. Il rischio è che si entri nella spirale tragica di
un numero maggiore di conflitti provocati dai cambiamenti climatici, di
conseguenti guerre che rendono le regioni poco sviluppate ancora più povere e
di una povertà diffusa che rende più probabile ulteriori guerre. Meglio
occuparsi di previsioni del tempo, no?
Nessun commento:
Posta un commento