Ci sono zone
del pianeta talmente aride da contare le piogge annuali sulle dita di una mano.
In cui le temperature medie sono incluse tra i 35° e i 45°. Zone dove la poca
acqua a disposizione è talmente salina da non poter essere utilizzata per
coltivare. Aree che sembrano più Marte che la Terra.
Ebbene,
proprio in uno di questi territori, precisamente in Gibuti, nel
corno d'Africa, un ingegnere agrario italiano è riuscito a compiere un piccolo
grande prodigio: coltivare 60 cespi di insalata a settimana in soli 25 metri
quadrati. Senza usare terreno, e con pochissima acqua. Come? Con la tecnologia
applicata all’agricoltura idroponica e un uso sapiente di Internet: il suo
orto è connesso e, per la maggior parte del tempo, funziona da solo. Per
coltivarlo bastano pochi click. Ed è lui stesso (l’orto) a inviare le
informazioni necessarie al suo sostentamento via app o mail.
Leone
Magliocchetti Lombi è un
agronomo specializzato nel trovare soluzioni per coltivare in ambienti dove
l’acqua scarseggia. E vivendo in Gibuti ha un bel po’ di occasioni di mettere
alla prova le sue competenze. L’avventura del suo ‘orto connesso’ comincia
proprio quando si rende conto che acquistare la lattuga per il semplice consumo
domestico (in Gibuti è tutta di importazione) richiede un notevole investimento
economico: data la sua competenza, tanto meglio coltivarla.
Aggirare il
problema della salinità dell’acqua e dell’aridità del terreno, ma anche delle
temperature estreme, è all’inizio relativamente semplice. L’agricoltura
idroponica, ovvero la coltivazione di piante non nel suolo ma con le
radici immerse in una soluzione di acqua e nutrienti, è la via da
percorrere. Efficace, consente un enorme risparmio idrico, e ha un’ottima resa.
Ma anche le
lattughe idroponiche hanno bisogno di attenzione: occorre avere sempre sotto
controllo una serie di parametri fondamentali perché le piante prosperino (la
concentrazione di nutrienti, l’acidità dell’acqua). E il tempo a disposizione
non è sufficiente: Leone pensa quindi ad un metodo per rendere l’orto automatico.
La soluzione si chiama Arduino un “meravigliosamente stabile,
economico, affidabile, piccolo computer che può essere programmato per compiere
azioni di routine, come accendere e spegnere le lampade o la pompa, ad esempio”
ci racconta l’agronomo. Ed è open source. Tuttavia “all’inizio del
progetto non avevo alcuna esperienza nel mondo dell’elettronica, a parte
qualche nozione rudimentale della programmazione”.
Dopo alcune
notti insonni passate a studiare Arduino, riesce a progettare il primo
prototipo di orto automatizzato: grazie ad una pompa i nutrienti
necessari vengono messi in circolo in base alla temperatura dell’aria e
all’intensità della luce del sole.
“Il ciclo di
vita della lattuga è molto corto. In 2 mesi avevo raccolto abbastanza dati da
comprendere un intero ciclo. La curva di apprendimento era quindi abbastanza
alta da avere risposte immediate e imparare rapidamente”. Diversi prototipi
dopo, l’orto viene portato all’esterno, e ingrandito. Ma a questo punto, c’è
bisogno di Internet.
Automatizzare
non basta più, è importante ottenere dei feedback da remoto, in
tempo reale, per avere la certezza che tutto funzioni correttamente. Ecco che
si fa necessario l’apprendimento di nuovi linguaggi di programmazione e sistemi
per creare database: l’orto doveva ‘comunicare’ con il suo creatore.
IOT,
Internet of Things, ovvero estendere Internet alle cose, agli oggetti, a luoghi
reali: Leone impara a padroneggiare i linguaggi di programmazione necessari ed
ecco che nasce l’Orto Connesso. Lo piazza in un terrazzo a casa di amici,
e va a controllarlo fisicamente solo ogni 6-8 giorni. Perché nella vita
quotidiana gli basta lo smartphone.
Un geniale
gioco di sensori e programmazione permette all’orto di comunicare eventuali
necessità o particolari situazioni. Dal punto di vista tecnologico, usa come
microcontrollore l’ESP866 e diversi sensori tra cui EC e pH, che monitorano
tutti i parametri necessari al benessere delle piante. Un poco alla volta, il
database con le analisi provenienti dai device diventa sempre più ampio.
“All’inizio,
tutto ciò che avevo era un database online con una singola tabella dove si
registravano i dati. Nel tempo si è trasformato in una applicazione web capace
di mostrare dati interpolati, mandare email e fungere da dashboard per
intervenire manualmente su azioni di routine. Un controllo totale e diretto
sull’orto in qualsiasi momento”.
Il progetto
si è ampliato grazie all’interesse della comunità locale. Sono stati creati
nuovi prototipi di orto, arricchiti dalla partecipazione di altre competenze
(come un talentuoso carpentiere che ha realizzato il supporto per l’orto
idroponico solo usando materiali di riciclo).
Passaggio
dopo passaggio, questo magico giardino connesso è arrivato a
produrre 60 lattughe alla settimana in 25 metri quadrati e “funziona come un
orologio svizzero”. Non si tratta di numeri da capogiro certo, ma l’ambizione è
di aumentare la produzione.
E in ogni
caso, questa esperienza dimostra come le soluzioni per implementare
l’agricoltura in un’ottica sostenibile esistano, e non siano impossibili da
attuare: “Questo è il futuro che vedo. Una importante porzione
della produzione agricola diventerà democratica, localizzata, vicinissima a chi
la consuma. Fa bene all’ambiente, localmente e globalmente. La catena
produttiva si accorcia, la distribuzione diventa economicamente più
sostenibile. E il prodotto è qualitativamente migliore”.
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