domenica 6 ottobre 2019

Nel deserto c’è un orto connesso a Internet: l’agricoltura (idroponica) si fa via smartphone – Giulia Mattioli



Ci sono zone del pianeta talmente aride da contare le piogge annuali sulle dita di una mano. In cui le temperature medie sono incluse tra i 35° e i 45°. Zone dove la poca acqua a disposizione è talmente salina da non poter essere utilizzata per coltivare. Aree che sembrano più Marte che la Terra.
Ebbene, proprio in uno di questi territori, precisamente in Gibuti, nel corno d'Africa, un ingegnere agrario italiano è riuscito a compiere un piccolo grande prodigio: coltivare 60 cespi di insalata a settimana in soli 25 metri quadrati. Senza usare terreno, e con pochissima acqua. Come? Con la tecnologia applicata all’agricoltura idroponica e un uso sapiente di Internet: il suo orto è connesso e, per la maggior parte del tempo, funziona da solo. Per coltivarlo bastano pochi click. Ed è lui stesso (l’orto) a inviare le informazioni necessarie al suo sostentamento via app o mail.
Leone Magliocchetti Lombi è un agronomo specializzato nel trovare soluzioni per coltivare in ambienti dove l’acqua scarseggia. E vivendo in Gibuti ha un bel po’ di occasioni di mettere alla prova le sue competenze. L’avventura del suo ‘orto connesso’ comincia proprio quando si rende conto che acquistare la lattuga per il semplice consumo domestico (in Gibuti è tutta di importazione) richiede un notevole investimento economico: data la sua competenza, tanto meglio coltivarla.
Aggirare il problema della salinità dell’acqua e dell’aridità del terreno, ma anche delle temperature estreme, è all’inizio relativamente semplice. L’agricoltura idroponica, ovvero la coltivazione di piante non nel suolo ma con le radici immerse in una soluzione di acqua e nutrienti, è la via da percorrere. Efficace, consente un enorme risparmio idrico, e ha un’ottima resa.
Ma anche le lattughe idroponiche hanno bisogno di attenzione: occorre avere sempre sotto controllo una serie di parametri fondamentali perché le piante prosperino (la concentrazione di nutrienti, l’acidità dell’acqua). E il tempo a disposizione non è sufficiente: Leone pensa quindi ad un metodo per rendere l’orto automatico. La soluzione si chiama Arduino un “meravigliosamente stabile, economico, affidabile, piccolo computer che può essere programmato per compiere azioni di routine, come accendere e spegnere le lampade o la pompa, ad esempio” ci racconta l’agronomo. Ed è open source. Tuttavia “all’inizio del progetto non avevo alcuna esperienza nel mondo dell’elettronica, a parte qualche nozione rudimentale della programmazione”.
Dopo alcune notti insonni passate a studiare Arduino, riesce a progettare il primo prototipo di orto automatizzato: grazie ad una pompa i nutrienti necessari vengono messi in circolo in base alla temperatura dell’aria e all’intensità della luce del sole.
“Il ciclo di vita della lattuga è molto corto. In 2 mesi avevo raccolto abbastanza dati da comprendere un intero ciclo. La curva di apprendimento era quindi abbastanza alta da avere risposte immediate e imparare rapidamente”. Diversi prototipi dopo, l’orto viene portato all’esterno, e ingrandito. Ma a questo punto, c’è bisogno di Internet.
Automatizzare non basta più, è importante ottenere dei feedback da remoto, in tempo reale, per avere la certezza che tutto funzioni correttamente. Ecco che si fa necessario l’apprendimento di nuovi linguaggi di programmazione e sistemi per creare database: l’orto doveva ‘comunicare’ con il suo creatore.
IOT, Internet of Things, ovvero estendere Internet alle cose, agli oggetti, a luoghi reali: Leone impara a padroneggiare i linguaggi di programmazione necessari ed ecco che nasce l’Orto Connesso. Lo piazza in un terrazzo a casa di amici, e va a controllarlo fisicamente solo ogni 6-8 giorni. Perché nella vita quotidiana gli basta lo smartphone.
Un geniale gioco di sensori e programmazione permette all’orto di comunicare eventuali necessità o particolari situazioni. Dal punto di vista tecnologico, usa come microcontrollore l’ESP866 e diversi sensori tra cui EC e pH, che monitorano tutti i parametri necessari al benessere delle piante. Un poco alla volta, il database con le analisi provenienti dai device diventa sempre più ampio.
“All’inizio, tutto ciò che avevo era un database online con una singola tabella dove si registravano i dati. Nel tempo si è trasformato in una applicazione web capace di mostrare dati interpolati, mandare email e fungere da dashboard per intervenire manualmente su azioni di routine. Un controllo totale e diretto sull’orto in qualsiasi momento”.
Il progetto si è ampliato grazie all’interesse della comunità locale. Sono stati creati nuovi prototipi di orto, arricchiti dalla partecipazione di altre competenze (come un talentuoso carpentiere che ha realizzato il supporto per l’orto idroponico solo usando materiali di riciclo).
Passaggio dopo passaggio, questo magico giardino connesso è arrivato a produrre 60 lattughe alla settimana in 25 metri quadrati e “funziona come un orologio svizzero”. Non si tratta di numeri da capogiro certo, ma l’ambizione è di aumentare la produzione.
E in ogni caso, questa esperienza dimostra come le soluzioni per implementare l’agricoltura in un’ottica sostenibile esistano, e non siano impossibili da attuare: “Questo è il futuro che vedo. Una importante porzione della produzione agricola diventerà democratica, localizzata, vicinissima a chi la consuma. Fa bene all’ambiente, localmente e globalmente. La catena produttiva si accorcia, la distribuzione diventa economicamente più sostenibile. E il prodotto è qualitativamente migliore”.

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