Per più di una generazione, la città di Porto si è
trovata alle prese con il gravissimo problema del declino demografico. Dopo la
chiusura del suo porto marittimo principale, l’industria si è trasferita
altrove o è entrata in crisi, mentre le società finanziarie hanno levato le
tende per spostarsi nella capitale Lisbona, e la città ha registrato la perdita
di 100.000 dei 330.000 abitanti che aveva alla fine degli anni Settanta, in
coincidenza con il trasferimento di ampi settori della classe media nelle zone
suburbane.
Mentre l’edilizia di proprietà municipale cadeva a pezzi
per l’incuria, le fasce di popolazione meno abbienti furono incoraggiate ad
abbandonare le case fatiscenti per trasferirsi in deprimenti casermoni in stile
sovietico costruiti alla periferia della città. Nonostante le numerose
attrattive, le piccole strade medievali in acciottolato, le chiese barocche e
l’architettura neoclassica in granito, il centro storico, che, tra l’altro, è
stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, presenta ovunque edifici
in stato di grave abbandono. Per molti la colpa è da attribuire alle leggi
sulla regolamentazione degli affitti approvata negli anni Venti del Novecento,
che ha complicato le procedure di sfratto, facendo sì che i proprietari degli
immobili non ricavassero una rendita sufficiente a provvedere alla manutenzione
e alle migliorie necessarie.
Al volgere del nuovo millennio, la zona del centro era
ormai priva della benché minima linfa vitale. Nel 2001, però, la città riprese
a nutrire almeno un filo di speranza quando fu nominata Capitale europea della
cultura, riconoscimento che favorì l’afflusso di investimenti di vitale
importanza da parte dell’Unione europea. Anche l’aeroporto attraversò una
notevole trasformazione, con un nuovo terminal inaugurato nel 2006. Di lì a
poco, sono arrivate anche le compagnie aeree low cost, con Ryanair che nel 2009
ha inaugurato a Porto il suo quartier generale, non appena si sono manifestati
i primi segnali della vera e propria ondata di turismo di massa che avrebbe
investito la città. E nel 2012 sono state apportate modifiche alle leggi sugli
affitti per rivedere i valori locativi, le compensazioni e le condizioni a cui
i proprietari possono rescindere il contratto di locazione.
«Sono eventi che hanno contribuito a trasformare la
nostra città», dice Filipe Prata, quarantatré anni, nato a Porto e attivo nel
settore della moda, che ha scelto di tornare nel centro storico. «Sono stati
ristrutturati teatri e musei, hanno rifatto le strade, piantato alberi»,
osserva Prata, indicando gli esempi offerti dalla rua das Flores che
scende in direzione del fiume. Da sopra i negozi, i bar e i ristoranti che
hanno aperto a ritmo costante negli ultimi anni per accogliere i turisti sempre
più numerosi – il francese è una lingua che si sente parlare spesso, per la
strada – arrivano i rumori degli operai impegnati a martellare e trapanare per
ristrutturare appartamenti destinati a portoghesi e stranieri. E il fatto che
nell’ultimo decennio la città abbia vinto per ben tre volte il titolo di
“Migliore destinazione europea”, assegnato da un’organizzazione del turismo
dell’Unione, non ha certo guastato.
«Ora anche i giovani vogliono vivere in città», spiega
Prata, «conosco tantissime persone della mia generazione che stanno comprando
casa e aprendo negozi di design, piccole imprese, gallerie. La gentrificazione
si sta estendendo all’intero centro cittadino». I numeri confermano le
considerazioni di Prata: il 2017 è stato l’anno in cui la popolazione della
città (giunta ora a quota 214.000 unità) ha fatto registrare un aumento per la
prima volta dopo quarant’anni.
Il sindaco di Porto, Rui Moreira, eletto per la prima
volta nel 2013, un anno dopo la modifica delle leggi sugli affitti, ha
sicuramente avuto molto da fare per trovare un complicato equilibrio fra
promozione della rinascita urbana e i necessari limiti alla gentrification.
Nelle interviste, Moreira ha spesso ribadito di non essere contrario alla
gentrification in sé, sostenendo però la necessità di qualche limitazione, per
non rischiare di compromettere il carattere di questa città ricca di storia,
già snodo di commerci globali, alimentati dall’espansione marittima del
Portogallo ai tempi della scoperta dell’America, e poi dal commercio del vino
locale, l’elisir ambrato lasciato a invecchiare nelle numerose cantine che
punteggiano la riva sud del Douro, che ha tuttora una grande importanza economica
e culturale.
Se in passato gli edifici di proprietà pubblica
venivano venduti a investitori privati per alimentare il boom immobiliare, che
incoraggiava sempre più persone, soprattutto giovani, a comprare appartamenti e
ad aprire locali, il comune, durante il mandato di Moreira, si è posto
l’obiettivo di ristrutturare o recuperare le case popolari per evitare che i
residenti più poveri venissero espulsi dal centro cittadino a causa dei prezzi
troppo alti: in alcune parti della città, la giunta municipale ha la
possibilità di intervenire nelle transazione immobiliari qualora si tratti
della compravendita di vecchi edifici del centro storico. Nel 2014 le autorità
municipali, su impulso di Moreira, si sono impegnate a ristrutturare 500
appartamenti da destinare a ex inquilini delle case popolari. Questa politica è
proseguita negli anni successivi, e Moreira, attualmente al secondo mandato
come sindaco, ha di recente annunciato la costruzione di 400 appartamenti, per
un investimento complessivo di 50 milioni di euro, riqualificando una vecchia
caserma dismessa.
Da quando è entrato in politica come outsider, nel
2013, Moreira ha suscitato un notevole interesse nei media, essendo il primo
candidato indipendente eletto sindaco in una grande città europea. Gli si
attribuisce spesso una frase significativa: «La città di Porto è il mio partito
politico». Erede di una delle famiglie più ricche della città, Moreira ha
studiato all’estero, ha diretto l’azienda di famiglia (spedizioni marittime) e
ha poi investito in varie attività, da un frequentatissimo locale notturno alla
distribuzione vinicola. Ha deciso di candidarsi a sindaco come indipendente su
sollecitazione di un gruppo informale di importanti personalità locali, tra cui
imprenditori ed ex uomini politici.
Il sindaco ha più volte dichiarato di approvare il
programma di austerità presentato dal precedente governo nazionale di
centro-destra (giugno 2011 – novembre 2015), presieduto dal primo ministro
Pedro Passos Coelho, per riordinare le finanze pubbliche, ma ha anche sostenuto
che i tagli di spesa e gli aumenti delle tasse erano spesso attuati alla cieca,
senza criterio: tutti i funzionari pubblici, ad esempio, si sono visti
abbassare lo stipendio indipendentemente dalla loro efficienza.
Il fatto di non essere affiliato ad alcun partito ha
consentito al sessantaduenne di esprimersi con maggiore libertà, di
concentrarsi sui bisogni della città e di ritagliarsi una certa autonomia dagli
ordini di Lisbona, dove i principali partiti hanno i loro centri nevralgici.
Con un settore immobiliare che è stato un importante volano per il recupero
economico del Paese, dopo la crisi debitoria del 2011-14, e che a Porto, negli
ultimi anni, ha visto un aumento (annuo) in doppia cifra dei prezzi delle case,
Moreira ha cercato di gestire con cura i pregi e i difetti della
gentrificazione. Oltre a questo, gruppi proprietari di alberghi di lusso,
guidati dalla portoghese Pestana, hanno inaugurato sontuosi hotel all’interno
di edifici storici che conferiscono alla città un’atmosfera cosmopolita: il
gioiello, a questo riguardo, è l’albergo con ottantanove stanze aperto l’anno
scorso, nel palazzo A Brasileira, sede di uno storico caffè art nouveau che
all’esterno si fregia di una collezione di sedie Gonçalo, un modello molto
popolare nelle piazze di tutto il Paese.
La cultura, che per Moreira è «il cemento della
società», è stata una delle chiavi fondamentali per la promozione della
coesione sociale. In questo quadro si inseriscono gli eventi annuali con mostre
d’arte itineranti, performance di strada, un cinema gonfiabile e spettacoli
circensi. Insieme a storiche istituzioni culturali quali la Casa de Música e la
Fondazione Serralves, il museo di arte contemporanea più importante del
Portogallo, le autorità locali stanno lavorando alla trasformazione di un
macello abbandonato in un ambizioso centro culturale progettato da Kengo
Kuma che ospiterà gallerie e una biblioteca e avrà un tetto ondulato e
rivestito di tegole di ceramica rosse che si richiama allo stile architettonico
locale.
A complemento degli sforzi del settore pubblico per
creare una città vivibile, i cittadini contribuiscono alla rinascita economica.
«Siamo sempre stati un po’ più intraprendenti, qui al nord, e per creare
opportunità guardiamo anche al di là dei confini nazionali», afferma Pedro
Araújo, che a Porto abita e possiede la cantina Quinta do Ameal. «Il governo
centrale assegna l’80 per cento degli appalti pubblici per beni e servizi a
imprese della capitale o dei suoi immediati dintorni, perciò non ci aspettiamo
granché da quella fonte», aggiunge Araújo, i cui vini, prodotti esclusivamente
con il vitigno Loureiro, vengono serviti a Londra, New York e Stoccolma nei
ristoranti della guida Michelin.
Prata, invece, dirige LaGofra, impresa da lui fondata
nel 2012, al culmine della crisi economica. Ha trasformato una sartoria, che la
famiglia gestiva da tre generazioni, in un marchio di moda, Daily Day, e ora
fornisce anche capi per marchi celebri come Max Mara e per stilisti come Henrik
Vibskov. «A Lisbona è più facile incontrare dirigenti o dipendenti di grandi
aziende nazionali o multinazionali; a Porto è più facile imbattersi in
proprietari di piccole imprese. È una cosa radicata nella nostra cultura. Qui
al nord, in passato, non avevamo i latifondi. Al contrario, ognuno possedeva e
coltivava il proprio piccolo appezzamento di terra. E questo modello è tuttora
presente. A Porto ognuno vuole essere padrone di se stesso».
Prata è da poco rientrato da un viaggio in Italia dove
ha assistito alle sfilate invernali di Pitti Uomo e ha visto in passerella una
collezione di nuove firme portoghesi al loro debutto. Alcune delle aziende
rappresentate hanno sede nell’area di Porto, tra cui Ideal & Co (borse) e
Poente (occhiali). Prata spera di portare in passerella una sua collezione
personale nel prossimo giugno a Pitti. Se si esaminano i numeri, dovrebbe
andare bene. L’industria tessile e dell’abbigliamento portoghese, con un
fatturato di circa 5,3 miliardi di euro all’anno, ha fatto registrare
esportazioni record: l’anno scorso gli ordini dalla sola Italia hanno toccato i
330 milioni di euro, con un clamoroso aumento del 35 per cento.
Invece di usare la crisi economica come una scusa,
molte aziende di Porto e dintorni, in settori che vanno dall’arredamento alle
calzature, l’hanno sfruttata come un’opportunità, creando propri marchi oltre a
operare in outsourcing per numerosi marchi europei e nordamericani. La
compagnia di bandiera TAP dà il suo contributo aumentando il numero dei voli
per destinazioni come New York, Monaco di Baviera e Milano, dove le aziende
possono presentare i rispettivi prodotti in occasione di importanti fiere di settore.
«Siamo pronti a uscire dall’ombra», dice l’architetto Emanuel de Sousa, che
gestisce con la sorella Patricia Rosa Et Al, un boutique hotel con bar aperto
tutto il giorno e negozi di abbigliamento multibrand. «A differenza di Lisbona,
il turismo
per Porto è ancora un fenomeno relativamente nuovo.
Qui, però, vogliamo conservare il carattere particolare dei quartieri, con la
loro varietà di architetture, le facciate di stupende maioliche (gli azulejos)
e la prevalenza delle attività commerciali indipendenti. Questa è una cosa
inestimabile». Il sindaco Moreira sarebbe senz’altro d’accordo.
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