Prologo
Durante un convegno, un professore ordinario di geofisica annuncia ai
presenti che le prospezioni da lui effettuate con lo strumento del georadar
presso l’area archeologica di Mont’e Prama dimostrano l’esistenza di una
megalopoli di 16 ettari, che viene definita “la Pompei della Sardegna”[1].
Già in passato si era parlato addirittura della rilevazione di possibili
imponenti strutture e manufatti nelle aree contermini al sito[2].
Una probabilità ma non una certezza. Il professore era stato in precedenza
coinvolto nelle operazioni di scavo e ricerca presso il sito in questione ma
aveva abbandonato il progetto per alcune tensioni con la Soprintendenza,
sfociate in poche ma significative dichiarazioni – da ambo le parti – dal tono
recriminatorio e forse anticipatorio della vicenda in epigrafe[3].
Sempre in sede di presentazione dei risultati degli studi compiuti negli
ultimi anni con il georadar, il medesimo docente cita inoltre alcuni graffiti
di un santuario ipogeico al di sotto di chiesa cristiana, non lontano dal sito,
che raffigurerebbero un vulcano, associabile a Pompei e all’eruzione del
Vesuvio, e la potenziale presenza di strutture sommerse nel vicinissimo Stagno
di Cabras[4].
Perplessità esprimono gli archeologi, sia a mezzo stampa sia sui social
poiché, effettivamente, il georadar è uno strumento in grado di rilevare
anomalie nel terreno, ma senza la possibilità di stabilire con certezza la
tipologia e la cronologia di queste, in assenza di uno scavo (tra le tante
immagini esemplificative fornite dal georadar, cito due articoli in nota a
disposizione del lettore)[5].
In estrema sintesi, il georadar è uno strumento importante ma ausiliario che
suggerisce all’archeologo dove può essere utile estendere l’area di scavo
oppure effettuare un saggio che possa aiutare nella comprensione di un
contesto. Il georadar non fornisce certezze, ma indizi e probabilità. Non è
detto che l’anomalia riscontrata corrisponda ai nostri desiderata:
potremmo infatti imbatterci, ad esempio, anche in semplici cavità del terreno o
massi erratici che lo strumento rileva come anomalie nel sottosuolo. Il
georadar non mostra le strutture e non le data.
L’immaginazione dunque può accendersi davanti a chiazze incomprensibili e
far viaggiare lontano nel tempo, e talora anche lontano dalla realtà. In
assenza di scavi, sottoterra può esservi tutto e il contrario di tutto. Ma
questo tutto si scontra poi con la cronologia: conviene subito richiamare un
testo fondamentale quanto il suo autore, Robert Tykot: Radiocarbon
dating and absolute chronology in Sardina and Corsica[6].
La questione sul sito di Mont’e Prama è una brace sempre pronta ad
infiammarsi. La ragione risiede principalmente nell’incertezza dello status del
patrimonio culturale nel nostro paese oltre che nelle esasperanti fazioni in
cui si frammenta la società italiana e sarda, e non ci si riferisce soltanto al
patrimonio archeologico ma anche, ad es., a quello archivistico, per toccare un
tema che purtroppo non ha lo stesso risalto mediatico e politico di Mont’e Prama[7].
Parte dei social insorge, denunciando, ex multis: lo stallo
nella prosecuzione degli scavi, interrotti da circa 2 anni; il silenzio[8] che
si sarebbe nuovamente rimpossessato del “sito più importante della Sardegna”
(rimando ad un link istituzionale per una sintetica storia del sito e degli
scavi)[9];
l’autorizzazione all’impianto di un vigneto in un’area prospiciente gli scavi,
episodio rimarcato dallo stesso docente[10];
l’incompetenza degli archeologi. Così, come di consueto sui temi che riguardano
l’archeologia in Sardegna (ma, in verità, non solo in questo campo), ci si
accapiglia malamente.
Su Facebook compare un commento del MIBACT che definisce
il georadar una truffa[11],
cui segue una nota di smentita da parte del medesimo Ente, che lo definisce un
commento individuale da parte di una dipendente che, senza autorizzazione, ha
speso il nome dell’istituzione[12].
Interviene il Ministro[13].
Interviene il Comune interessato[14].
Si parla di nuovo della collocazione ideale dei materiali rinvenuti nel sito
(scissi tra Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e Civico Museo Marongiu di
Cabras)[15].
Il Presidente della Regione è accusato dall’opposizione di non aver ancora
accreditato dei fondi stanziati dal governo regionale precedente per il Comune
interessato[16].
Gli archeologi esprimono la loro[17],
alcuni giornalisti e scrittori che da tempo denunciano quelle che ritengono
essere una serie di gravi inadempienze da parte della P.A., in particolare da
parte degli archeologi della Soprintendenza, ribattono e non di rado si arriva
agli insulti. Addetti ai lavori, divulgatori, appassionati, esperti e sedicenti
tali litigano tutti insieme. È bene precisare che gli avvenimenti ora richiamati
sono soltanto la parte più recente di una complessa vicenda che richiederebbe
un apposito ed approfondito saggio di diritto amministrativo e dei beni
culturali[18].
I Sardi si dividono, come da copione millenario, in numerose correnti che
si odiano tra loro, i famosi “cantoni” nuragici: storie di cantonate. Ma
parliamo del sito più importante (o forse più mediatico) della Sardegna.
Il Sito di Mont’e Prama.
L’area archeologica di Mont’e Prama è sita nella Penisola del Sinis,
territorio del Comune di Cabras (OR), costa centro-occidentale della Regione a
Statuto Speciale della Sardegna, Italia. A seguito del rinvenimento fortuito di
frammenti statuari nei primi anni ’70, vengono compiuti nel 1975, nel 1979 e
nel biennio 2014-2016 e 2017-2018 vari interventi tra scavi archeologici
sistematici, saggi e interventi di recupero.
Riassumendo in estrema sintesi e con un pizzico di semplificazione: si
tratta di un’area funeraria di cultura nuragica, risalente ad un periodo
compreso prevalentemente tra l’Età del Bronzo Finale (facies della
ceramica c.d. grigio-cenere, sec. XII-X a.C., Pre o Protogeometrico) e la Prima
Età del Ferro (facies della ceramica grigio-cenere, IX-metà/seconda
metà dell’VIII sec. a.C., di tipo Geometrico ma con persistenze della
tradizione ceramica precedente)[19].
Di recente, tali acquisizioni sono però state meglio precisate dalla dottrina
archeologica.
Durante quest’ultima Età, il sito divenne oggetto di una
monumentalizzazione, che – probabilmente ma si lascia il beneficio del dubbio –
non dovette andare oltre il terminus della metà dell’VIII sec.
(stante l’assenza di rinvenimenti ceramici ascrivibili alla facies dell’Orientalizzante
Antico in tutta la Penisola del Sinis). Vennero innalzate un gruppo di statue
antropomorfe in calcare, commercialmente ed affettuosamente conosciute come “i
Giganti”[20],
rappresentanti pugili, arcieri, guerrieri armati di spada e scudo
(stilisticamente corrispondenti alla bronzistica figurata nuragica),
accompagnate da c.d. modelli di nuraghe e betili, questi ultimi stilisticamente
affini a quelli prospicienti le c.d. Tombe di Giganti, cioè sepolcri collettivi
– forse familiari – databili a partire dall’Età del Bronzo Medio. Le sculture
sono state rinvenute frammentarie, in una discarica punica formatasi intorno al
IV sec. a.C. La datazione al carbonio dei resti umani contenuti nelle tombe
conferma l’inquadramento cronologico sopra accennato, con due importanti
eccezioni discusse dagli archeologici[21].
Strutture contermini alla necropoli sono state parzialmente indagate.
Tralasciamo le frequentazioni del sito successive alla fase punica per non
complicare il quadro.
Tra la metà e la fine del VII sec. a.C., dunque circa un secolo dopo
il terminus proposto per la monumentalizzazione (attenzione,
cento anni, in storia, non sono pochi) si registra la trasformazione
dell’emporio commerciale e scalo portuale strategico di Tharros, alcuni km a
Sud di Mont’e Prama (forse già in precedenza “gestito” da una compartecipazione
di élites nuragiche e genti levantine, questi ultimi – prevalentemente
imprenditori commerciali ed armatori – secondo dinamiche già ampiamente messe
in luce dagli archeologi in alcuni contesti isolani di scavo) in una realtà
urbana di cultura fenicia, consacrata dal suo pomerium. Le mutue
relazioni tra Oriente (anche semitico) e Sardegna (con scambi culturali e
commerciali da una parte all’altra del Mediterraneo) non si riducono all’Età
del Ferro, e non è mai stata un mistero, ma necessita soltanto costanza di
studi anche interdisciplinari, con umiltà e prudenza, senza pregiudizi di alcun
tipo.
Il sito desta grande interesse da un punto di vista in primis archeologico
(definizione delle facies, indagini stratigrafiche, metodologie
etc.), antropologico, di storia dell’arte (comparazioni con la statuaria
etrusca, italica centromeridionale, greca continentale etc.), di storia della
Sardegna in generale e forse anche di storia giuridica della Sardegna
pre-romana, stante il fatto che le numerose tombe a pozzetto individuale
sembrerebbero attestare, per questa fase, l’emergere ed il consolidarsi di una
aristocrazia locale, con sviluppi forse simili (ma mai analoghi) e comparabili
con la fase monarchica della Roma del periodo Orientalizzante ed Arcaico dei
re. Considerata l’assenza di fonti storiografiche scritte coeve, in particolare
con riguardo all’assetto giuridico-amministrativo, molte considerazioni che
possiamo fare sono deducibili, in via presuntiva, da un’analisi dei contesti
insediativi e dei rinvenimenti di cultura materiale correttamente disposti
nella loro sede cronologica.
Le precisazioni cronologiche sono vitali: se si fa indagine storiografica
(archeologica, storica, storico-giuridica, archivistica etc.), e più in
generale in qualunque disciplina scientifica che ambisca a questo
riconoscimento, la cronologia al pari della matematica non può essere
un’opinione. Può essere oggetto di correzione, ma mai di sottovalutazione. La
complessità del sito richiede dunque prudenza estrema.
La sua collocazione – in quanto necropoli ai piedi di collina – e gli
elementi distintivi non costituiscono affatto un unicum,
rappresentando un tipico marcatore territoriale dell’Età del Bronzo Finale e
della Prima Età del Ferro: a titolo meramente esemplificativo, si possono
citare le necropoli anche monumentali dell’Età del Ferro in Italia (Etruria,
Daunia, Sodacavalli, etc.), talune delle quali caratterizzate dall’innalzamento
di stele, betili o menhir, e statue antropomorfe come segnacoli delle tombe
sottostanti.
Ancora qualche appunto di archeologica e storia della Sardegna non
guasterà. I nuraghi (sopra richiamati in rapporto ai modellini statuari
rinvenuti) sono costruzioni megalitiche dell’Età del Bronzo Medio/Recente della
Sardegna. Splendidi esempi di architettura, rappresentano senza dubbio un unicum nel
Mediterraneo occidentale. Essi denotano non solo l’avanzatissimo livello di
conoscenze ingegneristiche raggiunto dai Sardi ma sono sicuramente i testimoni
di una complessa organizzazione sociale che, nel Sinis, raggiunse uno dei
massimi livelli, con un’occupazione capillare del territorio in cui la collina
di Mont’e Prama rappresentò per secoli soltanto un’appendice di uno sfaccettato
sistema giuridico-amministrativo, forse già assai gerarchizzato, con un modello
organizzativo teso ad “imbrigliare” il territorio per sfruttare al massimo le
risorse (aree agricole, saline, bacini idrici ricchi di pesce, aree di
legnatico, cave, approdi portuali naturali) come risulta evidente dal
censimento e dagli studi (spesso pioneristici) compiuti negli anni ’80 e ’90
dagli archeologi Salvatore Sebis, Gianni Tore ed Alfonso Stiglitz, pubblicati
in riviste scientifiche o volumi ben noti a chi svolge ricerca storica in
maniera seria e completa.
Sappiamo che durante l’Età del Bronzo Finale non si costruiscono più nuraghi:
il sistema sociale e giuridico precedente collassò per ragioni ancora da
accertare pienamente. Il nuraghe (anzi, il sistema incentrato sui nuraghi)
perse la sua funzione originaria, e talora divenne luogo di culto: la sua
stessa rappresentazione divenne oggetto di culto ed idealizzazione nei gruppi
scultorei dei modelli di nuraghe e dei betili del contesto di Mont’e Prama, in
cui sembra evidente l’assimilazione della torre centrale dei nuraghi complessi
al betilo. Ciò potrebbe essere rappresentativo di una ideologia religiosa
sicuramente sconosciuta nella fase precedente, in un mix di simbologia solare
di tradizione mediterranea occidentale con altra di ispirazione mediterranea
orientale in sincretismo tra loro.
E, rispetto all’Età precedente (Bronzo Recente), la perdita della funzione
giuridico-amministrativa del nuraghe corrispose ad una riduzione degli abitati
per sinecismo, concentrandosi presso snodi viari naturali o in prossimità di
siti strategici per la gestione del territorio nel nuovo assetto
amministrativo. L’abitato o gli abitati di riferimento della necropoli ad oggi
non li conosciamo ma potrebbero essere dislocati lungo gli assi viari naturali,
considerato che non si può parlare, per questa fase, di contesti urbani, ma
protourbani, taluni dei quali di notevoli dimensioni (Procaxius/Sa Pedrera,
S’Archeddu de sa Canna).
Ogni metro quadrato del Sinis contiene una stratificazione verticale od
orizzontale ascrivibile a tutte le fasi di antropizzazione della Penisola, dal
Neolitico Medio (cultura di Bonuighinu, datazione calibrata[22] intorno
al 4800-4300 a.C., la cui straordinaria necropoli di tombe a pozzetto, di
orizzonte Neolitico Medio-Superiore, presso il sito di Cuccuru is Arrius, dalla
quale proviene la famosa statuina femminile, ad oggi non fa quasi più notizia)
sino all’età contemporanea.
Chi osserva attentamente le carte di distribuzione degli insediamenti si
renderà conto che o si considera l’intera Penisola del Sinis come una “Pompei”,
ed allora anche tutta la Sardegna con le migliaia di siti archeologici di varie
epoche distribuiti in tutta l’Isola, oppure si deve smettere di utilizzare
impropriamente termini tipici del sensazionalismo mediatico e non della
scienza.
Sono attualmente oggetto di dibattito, non solo tra gli archeologi, la
cronologia della necropoli di Mont’e Prama e la possibilità di una
sovrapposizione cronologica tra l’ultima fase di Mont’e Prama e la prima fase
delle inumazioni fenicie a Tharros; la spiegazione del perché la civiltà
nuragica nel Sinis (sottolineo, nel Sinis) abbia perso progressivamente i suoi
caratteri distintivi; la spiegazione del perché si siano rinvenuti (durante
scavi ottocenteschi) bronzi nuragici in contesti funerari fenicio-punici di
Tharros (presso o in prossimità dell’ingresso di sepolture fenicio-puniche); la
questione del rapporto tra nuragici e fenici/levantini nel Sinis; la questione
del DNA dei Sardi nell’ottica dei suddetti punti.
Identità culturale, trasformazioni sociali e rivendicazioni politiche:
storia e pseudo-storia.
La questione sembra assumere i toni aspri e velenosi di un dibattito
politico ed identitario, talora negazionista della Storia, talora poco
consapevole (per non dire a scapito) non soltanto della metodologia
archeologica, ma anche del metodo scientifico in generale. Mont’e Prama si erge
al centro di una questione identitaria e politica. Taluni lamentano il mancato
riconoscimento della propria storia, lamentano un’identità negata.
La Storia è utile per interpretare il presente, ma non è corretto farne
un’interpretazione politica per cambiare uno o più fatti riguardanti ad es. la
società, la lingua, la scrittura, ed altri aspetti di una complessa e variegata
civiltà come quella sarda.
C’è tanta voglia di rivalsa nazionalistica in Sardegna, perché si
percepiscono le ingiustizie patite nel corso dei millenni, ma questa Storia
dovrebbe insegnare ai Sardi anche quali sono state le cause del colonialismo,
ed individuare correttamente le soluzioni per i problemi attuali. Se
contravveniamo a questa regola, o non stiamo facendo Storia (e allora va
benissimo una chiacchierata informale e divertente) oppure stiamo giocando ad
un gioco virtuale di strategia in cui possiamo prenderci la libertà di far
scontrare Babilonesi contro Vichinghi.
Bisogna distinguere necessariamente la narrazione scientifica dalla
narrazione di fantasia perché, rispetto alla prima, quest’ultima non è basata
su un metodo rigoroso su cui si fondano le teorie da dimostrare ricavate da un
procedimento che unisce le acquisizioni della logica greca (e poi greco-romana)
a quelle del metodo scientifico formulato nel Seicento. Il pregiudizio, poi, è
sempre sbagliato: non si può pretendere a tutti i costi che la propria teoria o
idea prevalga sulla realtà di fatto, se il contesto e gli indizi dicono il
contrario, né si possono fabbricare “prove” se la realtà non corrisponde al
proprio desiderio.
Conviene da subito citare a questo proposito, introducendo la questione
identitaria, uno storico medievale, Régis Boyer, e le sue belle considerazioni
apparse su una monografia di carattere divulgativo “La vita quotidiana dei
Vichinghi (800-1050), in cui l’autore demolisce alcuni luoghi comuni e
spiega al lettore medio le ragioni della trasformazione dei Vichinghi:
il vichingo cessa di essere tale nel momento in cui accetta il battesimo.
In ogni caso, l’osservatore non può che restare stupefatto per la facilità e
soprattutto la rapidità con la quale i vichinghi seppero adattarsi alle nuove
condizioni. Nel corso di due o tre generazioni non erano più scandinavi, ma, ad
esempio, normanni di Normandia o russi[23]
La biologia e l’antropologia danno conto anzitutto della costante
trasformazione dell’essere umano, e questo è uno dei punti cruciali da
comprendere.
In tema di trasformazioni, ad esempio, taluni dei nostri nonni hanno
continuato a vestire in costume tradizionale sardo sino agli anni ’60, dismesso
il quale non può dirsi che sia venuta totalmente meno la loro identità.
Sicuramente, una parte importante si è affievolita in conseguenza delle
trasformazioni sociali vissute. Possiamo dibattere anche aspramente sul motivo
che ha portato i nostri anziani a dismettere il costume e, in numerosi paesi
della Sardegna, ad abbandonare la lingua.
Esemplificative di questo clima confuso e convulso, in cui la storia viene
trasformata mediante il ricorso improvvisato o strumentalizzato ad altre
discipline, sono ad es. le rivendicazioni pseudostoriche – ma in verità
politiche – che assumono la forma di una tesi secondo cui si sostiene che sia
il latino a derivare dal sardo. Il linguista riderà davanti a tesi simili,
scarsamente fondate e sostenibili, ma il fatto che simili procedimenti “logici”
non siano isolati è significativo di un atteggiamento che sta dilagando: il
revisionismo e la reinterpretazione storica per fini politici volta a creare, a
tutti i costi, una nuova storia, anzi una narrazione quasi letteraria, talora
con fini politici talaltra con fini autocelebrativi insiti nel sensazionalismo.
Una fanta-storia che viaggia insieme alla fanta-archeologia o con una
fantasiosa esegesi documentale. Una narrazione che ricorre a termini propri del
sensazionalismo per dotarsi di tono ma anche clamore mediatico.
Questo procedimento è controproducente per la causa sarda,
che va perseguita in primo luogo a livello di cambiamento di certi aspetti
errati ed atavici della società sarda stessa.
Le trasformazioni culturali, il quadro di instabilità politica, la mancanza
di riforme strutturali e, soprattutto, inutile negarlo, la mala gestione
della res publica tanto a livello nazionale che locale hanno
contribuito ad inasprire la questione identitaria (e l’insicurezza economica)
dei Sardi, portando ora gli stessi a cercare un rifugio e a (ri)scoprire le
proprie origini (giustamente), valorizzare o concorrere a valorizzarle con
attività divulgativa (libertà garantita dalla Costituzione repubblicana seppur
con alcuni limiti di opportunità che si diranno a breve). In campo divulgativo,
sono apprezzabili ed interessanti anche per l’archeologia ufficiale gli studi
archeo-sperimentali di vari studiosi indipendenti o appassionati che tendono a
sensibilizzare e far avvicinare gli individui alla propria storia e alle
proprie radici.
Questa riscoperta e consapevolezza delle proprie origini, tra le varie
tematiche affrontate nel film “L’uomo che comprò la luna” del regista
Paolo Zucca, come reazione alla presa di distanza dalla propria cultura insita
talora nel comportamento dei Sardi, non è affatto un male, a patto che sia
diretta alla ricerca di una verità storica non sfalsata da sensazionalismi o
revisioni politiche del momento.
Ma i Sardi che si interrogano sul perché l’isola stia andando incontro ad
un inesorabile spopolamento a fronte di risorse potenzialmente sfruttabili,
tendono talora a sovrapporre storia e fanta-storia (col rischio di una
pericolosa ed irreversibile confusione), ed al contempo vanno costruendo la
megalopoli del veleno, una città di rancori sociali che riemerge dal fango
degli insulti sotto i quali sta scomparendo la solidarietà tra Sardi, ammesso
che sia mai esistita dalle origini.
In maniera analoga ai Vichinghi, come rileva Régis Boyer, che sfata
l’immagine stereotipata del vichingo distruttore, privo di intelligenza e
dedito soltanto a massacri, bisogna sfatare il mito dell’isolamento dei Sardi,
che viene citato a volte a sproposito oppure negato quando si tratta di
analizzare, ovviamente da un punto di vista politico, contesti come quello di
Mont’e Prama. Perché, se storiografia, archeologia e società nei Paesi
Scandinavi ammettono che i propri avi, i vichinghi, si sono trasformati in
altri popoli una volta mutati certi aspetti della loro cultura a contatto con
altre popolazioni, non si può fare altrettanto in Sardegna, dove esempi di
interazione ed adattamento sono presenti da epoche assai remote della storia
europea?
Ed in verità, lo scarso interesse dei libri di storia per culture
importanti e cruciali per la storia del Mediterraneo e dell’Europa non colpisce
purtroppo soltanto la cultura nuragica e, perché dimenticarla, quella
prenuragica. Una riscrittura della storia deve seguire i parametri oggettivi
del metodo scientifico che permettano di distinguere narrazione storica
accurata (comprensiva anche delle diverse teorie su uno stesso punto, se
scientificamente argomentate) da una narrazione fantastica o dal romanzo
storico.
I Sardi partecipano di elementi di persistenza tipici dell’essere isolani
(tradizioni ancestrali, rispetto di antiche norme e consuetudini, talora
resistenza all’innovazione) come pure possiedono una capacità sorprendente di
adattamento, trasformazione e di attitudine al raggiungimento di una eccellenza
in vari ambiti e che li ha resi famosi nel mondo.
Qualcuno talora parla della capacità di adeguamento dei Sardi nel quadro
dei rapporti culturali e commerciali del Mediterraneo antico, ma a volte nega
questa capacità quando si tratta di valutare l’apporto culturale levantino o
berbero. Ci intriga il vichingo che si adatta culturalmente e linguisticamente
alla mutata realtà geografica e storica nella quale si trova a vivere, magari
pur perdendo rilevanti parti della propria originaria cultura, mentre il Sardo,
lo stesso Sardo che commercia con il Mediterraneo Occidentale ed Orientale,
innegabilmente dovette acquisire elementi allogeni che, alla fine, portarono ad
una sua progressiva trasformazione.
Gli avvenimenti storici portano il Sardo medio contemporaneo a modificare
moltissimi aspetti della propria cultura per sopravvivere ai cambiamenti, senza
modificare l’essenza della propria identità.
Costituisce un’operazione storica scorretta rinnegare la cultura sarda del
periodo fenicio, punico (con apporti genetici e culturali berberi, iberici ed
altri), romano, romano-cristiano (e dunque, ancora il Nord-Africa, Libia,
Egitto, Bisanzio etc.), in quanto rileviamo una dominazione straniera, per poi
riaffermare la sardità durante il periodo dei Giudicati. La dominazione romana
nelle province non portò mai alla soppressione del diritto e delle identità
provinciali. Un inumato del periodo romano acquisisce elementi di cultura
latina ma è un Sardo del periodo romano, è un Sardo dunque che merita di essere
studiato perché spesso mantiene elementi culturali fondamentali per comprendere
le civiltà precedenti, stesse considerazioni valgono per la fase fenicia e
punica.
I Giudicati, e tutte le nostre ancestrali tradizioni, sono il prodotto di
una lunga stratificazione in una società sarda non omogenea, e sono elementi
della specificità dei Sardi. Dobbiamo tenere presente questo se intendiamo
criticare la realtà multiculturale antica e al contempo affermare la bellezza
della diversità di canti, riti, costumi e tradizioni popolari isolane, perché
sono il primo conseguenza dell’altro.
È analoga la questione dell’utilizzo dei recenti studi genetici per
rilanciare ora un’ipotesi ora un’altra, che merita qualche precisazione per
chiudere l’argomento sulla crisi di identità.
La complessità del DNA di ciascuno di noi, la nostra ancestry di
Sardi, indica una stratificazione genetica che ha avuto inizio (almeno) nel
Paleolitico Superiore, presumibilmente con gruppi di cacciatori-raccoglitori
(la cui provenienza è assai dibattuta), sebbene l’impronta caratterizzante il
genoma sardo sembra sia ascrivibile al Neolitico Recente, cioè con la cultura
di Ozieri ed in conseguenza di un probabile boom demografico collegato al
consolidarsi dell’agricoltura. Gli studi genetici indicano una importante
componente anatolica nei Sardi. Questo combacia con l’opinione di quegli
studiosi che vedono nel Neolitico europeo e sardo un fenomeno socioculturale
collegato ad una migrazione di agricoltori provenienti dall’Asia Minore. Infatti,
in Asia Minore, durante il Neolitico, si sarebbe originato l’aplogruppo H,
diffusosi poi in tutta Europa e Sardegna proprio a partire dall’Anatolia[24].
Tanto ci sarebbe da dire sulle relazioni genetiche con gli Iberi, con i
Baschi, con gli Irlandesi del periodo Neolitico, poiché i recenti studi
mostrano le relazioni genetiche tra questi popoli e i Sardi. Possiamo ricordare
che, nell’Irlanda pre-celtica, il DNA di un individuo sepolto in una necropoli
del neolitico irlandese mostra interessanti affinità genetiche con Sardi e
Iberi antichi.
Impossibile soffermarsi pure sugli aplogruppi specifici sardi (SSH), ed
impossibile illustrare anche per sommi capi l’avvincente storia (genetica e
non) degli antichi Iberi, gruppo umano del paleolitico europeo. Alcuni studi
hanno messo in luce una componente delle Steppe, per alcuni riconducibile ad
un’espansione di gruppi umani asiatici durante l’Età del Bronzo, ma altri studi
hanno ulteriormente suggerito il collegamento tra cultura del Vaso campaniforme
e gruppi umani siberiani o dell’estremo Oriente[25].
Siamo dunque sicuramente eredi di una civiltà plurimillenaria, importante
ed assai variegata, nella misura in cui accettiamo la stratificazione culturale
e genetica della nostra storia, accettando finalmente di essere Sardi nella
misura che la storia ha testimoniato, e provando a correggere i difetti atavici
che tanto piacciono a chi loda la divisione tribale esasperata per poi esaltare
la storia sarda. Unità e solidarietà non significano annientamento della
differenza. Ricordo infatti, se proprio vogliamo fare dietrologie e storie coi
“se” e coi “ma”, che questo atteggiamento è la causa degli insuccessi militari
che hanno portato gli eserciti
stranieri ad invadere l’isola con successo.
Mont’e Prama è fondamentale per la comprensione della civiltà nuragica del
Bronzo Finale/Primo Ferro ma non può diventare, neppure per legittimi fini
identitari ed economici, il sito con priorità assoluta rispetto a migliaia di
altri ascrivibili a epoche assai distanti tra loro, a pena di condannare
insediamenti neolitici, domus de janas, dolmen, chiese paleocristiane,
necropoli puniche, città punico-romane, nuraghi semplici e complessi che sono
tutti insieme parte della nostra storia. Talora in Italia, scavi bloccati, siti
non ancora scavati o non valorizzati non dipendono sempre da comportamenti
ritenuti come dolosi della P.A. ma dalla limitatezza dei fondi stanziati o da
procedure amministrative complesse a garanzia di tutti gli interessi, pubblici,
privati e diffusi, coinvolti nel procedimento.
Libertà di ricerca scientifica: i criteri caratterizzanti l’attività
scientifica ed il dialogo interdisciplinare.
Tutto quanto detto sin qui deve ora essere considerato alla luce del
diritto costituzionale, in particolare dell’art. 33 Cost.
Ricordiamo innanzitutto che l’art. 9 Cost. sancisce che la Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica.
L’art. 21 Cost. riconosce e garantisce la libertà di manifestazione del
pensiero, attraverso la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo con i limiti
stabiliti dalla costituzione e dal diritto penale. Tale diritto si articola
nella possibilità riconosciuta agli individui di esprimersi liberamente, di
utilizzare ogni mezzo tecnico per diffondere il proprio pensiero, di informarsi
ed essere informati, di riportare fedelmente le posizioni altrui o chiederne
preventivamente l’autorizzazione alla pubblicazione. Nei limiti costituzionali,
che ricostruiamo in via interpretativa, e di cui le leggi penali sono
espressione, ritroviamo l’onorabilità, l’identità, l’intimità e la
riservatezza, la sicurezza della Nazione, il buon costume.
Secondo l’art. 33 Cost., l’arte e la scienza sono libere e ne sono liberi
l’insegnamento. Il principio di libertà di arti e scienze consacrato nella
Carta costituzionale, che possiamo anche leggere in relazione all’art. 21 Cost.
(ma al primo si riconoscono ulteriori profili di specificità giuridica rispetto
al secondo), è il prodotto di una reazione a forme di autoritarismo e censura
che, specie a partire dall’Inquisizione, hanno portato alla messa all’indice di
opere scientifiche e/o d’arte reputate eretiche o immorali, per arrivare alla
rimozione dal posto di lavoro, sotto il fascismo, di insegnanti reputati
dissidenti rispetto al credo di regime.
Quindi, è sacrosanto il diritto di svolgere attività di studi e ricerca
indipendenti, è sacrosanto il diritto di esprimere il proprio pensiero
(scientifico e non) e di divulgarlo nei limiti stabiliti dalla Costituzione e
dalle leggi penali. È del pari sacrosanto il diritto di ritenere un’opinione
altrui, scientifica o non scientifica che sia, come condivisibile o meno, e la
Carta costituzionale dà diritto di dissentire da un partito o da uno
scienziato, senza che siano stabiliti strumenti coercitivi per reprimere il dissenso,
sempre se espresso in maniera compatibile con la Costituzione e il diritto
penale. L’art. 33 Cost. consacra anche il diritto di informarsi
scientificamente.
Però, è anche vero che occorre operare una distinzione ermeneutica (cioè,
interpretativa) tra i due articoli della Costituzione: pensiero e scienza sono
strettamente collegati, ma la nozione di scienza stabilisce un qualcosa di
diverso e specifico: si tratta di una attività volta alla scoperta di una
determinata verità scientifica o ipotesi (natura e cronologia di un sito
archeologico; analisi di un campione di sentenze di una certa Corte volto a
valutare lo status o la natura giuridica di un determinato istituto giuridico;
analisi di un fondo archivistico volto a valutare certi avvenimenti, documenti
o dati bibliografici di una certa persona in un certo luogo etc.), e questa
verità scientifica o ipotesi viene comunicata dopo che è stata preventivamente
accertata con un procedimento logico-scientifico che tiene conto di leggi in parte specifiche di una
certa disciplina (es. geologia, diritto, archeologia, paleografia, chimica,
fisica) in parte comuni a tutte le
discipline (premessa,
obiettivi di ricerca e domande di ricerca, metodologia, affidabilità
dell’oggetto di analisi, analisi e descrizione della realtà, enucleazione di
ipotesi interpretative).
La libertà di scienza consacrata dalla carta costituzionale dunque respinge
una imposizione che vada ad incidere sugli elementi sopra descritti come comuni
a tutte le scienze, magari con il fine di imporre una certa visione del mondo[26].
Questo non significa che non si debba rispettare il principio delle
competenze maturate durante un corso di studi e una specializzazione: laurea,
dottorato, esperienza lavorativa, pubblicazioni scientifiche in un determinato
ambito sono un indice di affidabilità e garanzia dello scienziato che comunica
il proprio pensiero (sempre che utilizzi il metodo comune sopra
descritto). Nessuno può essere esentato dal rispetto del metodo scientifico, se
intende fare scienza. Ed è sicuramente compatibile con quanto detto,
l’interdisciplinarietà negli studi, che talora viene vista come una minaccia ed
invasione di campi altrui ma che, se ben attuata, costituisce un arricchimento
non soltanto individuale per un certo scienziato ma anche un valore aggiunto
per la comprensione di un determinato campo a patto che lo studioso intraprenda
un serio ed onesto processo di apprendimento funzionale alla scientificità del
suo lavoro.
Il dialogo fisiologico tra discipline non deve essere confuso con
l’appropriazione improvvisata. Un ragionamento impostato su un rigido metodo
scientifico nel senso sopra descritto (affidabilità delle fonti, materiale
probatorio) è un primo e importante passo per il riconoscimento della
scientificità del ragionamento stesso.
Ed è proprio il problema dell’interpretazione del contenuto del diritto di
cui all’art. 33 Cost. che, se inteso in chiave estesa o espansiva, rischia di
incrinare il rapporto tra libertà di ricerca scientifica e verità scientifica
che deve fondare un settore scientifico, e questo confine è dato in
primis: a) dal principio di competenza acquisita mediante
i propri studi scientifici (stando attenti all’ulteriore principio di univocità
negli studi, che potrebbe risultare un bavaglio arbitrario anche all’interno di
un medesimo settore se si porta alle estreme conseguenze il principio di
ultra-settorializzazione delle competenze); ma, in via dirimente,
soprattutto b) dal rispetto del metodo scientifico nella
dimostrazione di una determinata tesi.
È infatti necessario, da un lato, limitare l’eccesso di interpretazione
espansiva dell’art. 33 Cost. in modo che resti ben distinta la differenza tra
ciò che scienza è rispetto a ciò che scienza non è (scienza e pseudo-scienza
debbono essere tenute distinte), senza cadere in una totale limitazione della
libertà di ricerca che possa imbavagliare teorie innovative perché magari
scomode (anche da un punto di vista politico) per la comunità scientifica
globale (ricordiamo il processo a Galileo), la quale non deve assurgere o farci
cadere nella tentazione di considerarla un comitato scientifico con potere di
giurisdizione indiscutibile e unico detentore della verità scientifica.
Allora, l’elemento dirimente non potrà che essere, in primo luogo,
l’applicazione rigida del metodo scientifico, tenendo fermo il principio di
competenza degli studi compiuti nonché quello di coerenza degli stessi, da
intendersi in maniera temperata, aperta cioè all’interdisciplinarietà e alla
possibilità di crescita professionale dello scienziato che aspiri ad
incrementare la propria preparazione nella sua attività di ricerca.
E la pubblicazione dei risultati della propria ricerca è un diritto, ma
anche un dovere.
Tale ragionamento non va dunque confuso con le eventuali disfunzioni a
livello individuale o amministrativo che possono accadere e che i cittadini o
gli altri soggetti legittimati dall’ordinamento sono tenuti a denunciare in
quanto portatori di diritti soggettivi o interessi legittimi alla legalità e
correttezza dell’azione amministrativa dei Comuni, delle Regioni, delle
Soprintendenze.
Questi aspetti non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 33 Cost.
quanto in quello delle norme sulla P.A. sancite dalla Costituzione e dalle
principali leggi ordinarie ed amministrative: tali problematiche non consentono
agli individui, spesso scarsamente informati, di procedere al linciaggio,
attuato tramite social, della generalità degli scienziati additati in maniera
sommaria come oppressori e conniventi di un sistema improntato all’occultamento
di una verità ritenuta scomoda. La creazione di una categoria contro la quale
scagliarsi ben ricorderebbe tristi vicende proprie dei regimi totalitari.
Sempre nell’ottica del diritto va letta la questione del vigneto, prima di
procedere a sommari giudizi. L’apposizione di un vincolo deve rispondere ai
principi dell’azione amministrativa e alla normativa in materia, questo perché
ci sono voluti secoli prima che si passasse dalla concezione dell’onnipotenza
della pubblica amministrazione alla nascita della giurisdizione amministrativa,
alla creazione della categoria degli interessi legittimi e dei diritti
soggettivi nel processo amministrativo, alla enucleazione dei principi di
efficienza, imparzialità e cooperazione con il privato in modo che si muovesse
dalla concezione del cittadino-suddito al cittadino-parte attiva nei
procedimenti amministrativi che lo riguardano, come quello di esproprio ad
esempio. È in base a tutti questi principi, posti a garanzia del singolo, che
si contempera il difficile rapporto tra interessi pubblici e privati. La
certezza di ciò che giace sottoterra viene raggiunta soltanto con lo scavo
archeologico.
In conclusione, un divertente commento apparso nei giorni scorsi sui social
ci mette in guardia dai pericoli dei giudizi sommari. Mont’e Prama di Cabras
testimonia numerose Età, successive a quelle del Bronzo e del Ferro: Età della
Plastica, Età dell’Odio Avanzato, facies del bronzo
contemporaneo, suddivise territorialmente in cantoni e cantonati.
Diego Serra is an historian and legal comparatist, LL.B. in History of Law,
LL.M. in Constitutional law, Ph.D. in Comparative Law of the University of
Genoa, former tutor of Roman Law and History of Law and former student of the
School of Archivists, collaborator as a volunteer of Dr. Sebis, Honorary
Inspector for the Archaeological Superintendence of the Province of Oristano
(OR, Italy).
NOTE:
1.
Corriere della Sera, Mercoledì 25 Settembre 2019, pag. 41. On-line, si
veda: https://www.corriere.it/cultura/19_settembre_25/mont-prama-pompei-sardegna-c-megalopoli-sottoterra-6b08b1f0-df65-11e9-aa5f-fbca0c81b7c9.shtml?fbclid=IwAR2QPg2nCRdY4EcnwOs1SZhOrt59LsIjUs2mcYtXi2prlXRrcFD1M4gL1vc.
Nella cronaca locale regionale, http://www.lanuovasardegna.it/regione/2019/09/24/news/la-scoperta-nel-sito-di-mont-e-prama-c-e-una-megalopoli-da-16-ettari-1.17886221 ↑
2.
http://www.lanuovasardegna.it/regione/2014/12/27/news/ci-sono-altri-venti-giganti-nascosti-a-riola-sardo-1.10566231 ↑
3.
http://www.lanuovasardegna.it/regione/2016/05/22/news/il-papa-del-georadar-troppe-polemiche-lascio-le-ricerche-1.13523438?fbclid=IwAR0gPUqnVYW16TPOY3LsDRR4N9hXJSPZ46Q2pqDZG4GZAtxbhMuHImIk8uo ↑
4.
http://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2019/09/25/news/cabras-villaggio-nuragico-nei-fondali-dello-stagno-1.17887163 ↑
5.
http://www.archcalc.cnr.it/indice/PDF28.2/25_Fariselli_et_al.pdf.
Per l’opinione sulle prospezioni del georadar a Mont’e Prama, da parte del
professore di geofisica in questione, si veda https://www.researchgate.net/publication/291522062_Geophysics-An_Essential_Tool_for_Modern_Archaeology_A_Case_from_Monte_Prama_Sardinia_Italy?fbclid=IwAR2YJkDIIRPEnos6DhyqZyHX1dABXBAvkEsv2DzEHKO5Jw_HxoLSOF-yXi8 ↑
6.
In R. Skeates, R.D. Whitehouse (a cura di), Accordia Specialist Studies
onItaly Prehistory 3, Archaeological Monographs of the Brithish School at Rome,
Ac-cordia Research Institute: 115-145. London. ↑
7.
A ciò si connette la situazione delle Università pubbliche, del
finanziamento e qualità della ricerca in Italia e del sistema complessivo che
dovrebbe collegare l’Università al mondo del lavoro. Il quadro è patologico,
drammatico e doloroso per i Sardi dai 18 ai 35 anni. ↑
8.
http://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2019/09/25/news/mont-e-prama-lo-scavo-e-fermo-e-l-area-archeologica-e-un-campo-incolto-1.17887155?fbclid=IwAR3wuCdAwKoEGSmH57RbrfI6bq2_a5K_cixyGtOQJlQJcKccKCkwFqMn-aw ↑
9.
https://monteprama.it/. Vedi anche la nota
14 di questo articolo. ↑
10.
Per la questione sull’interesse archeologico dei terreni prospicienti
l’area di scavo, vd. i seguenti documenti ufficiali (2017-2018): http://www.sardegna.beniculturali.it/getFile.php?id=12515&fbclid=IwAR25Osa1hbLj5PqfDgNGxND3M3jlsbyMZnqOHfUYLtJAMS0AWrEjFKIuxSs; http://www.sardegna.beniculturali.it/getFile.php?id=12514&fbclid=IwAR1ELGtE4J6qVS2HenbsakiWLEIb5WDP0ZkL6ZZbZw1OgCQ4tSHbBaaQI9A; http://www.sardegna.beniculturali.it/it/466/beni-dichiarati-di-interesse-culturale/15140/cabras?fbclid=IwAR2SMD0C-btWrNRpydH_EyGnLTLWPavnQVfBlIlZCpZS3oWEQNKRawSmqjw; http://www.sabapca.beniculturali.it/getFile.php?id=156&fbclid=IwAR1J6Ia_gJggPiShuLUxwV3wI7BzO4wY6DCe-on4f0RWJfOqBZSoVLZXXn4;
nella cronaca regionale: http://www.lanuovasardegna.it/regione/2018/07/21/news/mont-e-prama-si-riprende-scavando-tra-i-filari-1.17083061?fbclid=IwAR2HGUJDy3sEFE_V8UmsQIbMQeBTYIm4dHPTIUnJo3wLeWxIZ82ELJ8_cQU. ↑
11.
L’opinione: https://youtg.net/v3/primo-piano/19625-il-georadar-una-grande-truffa-scoperte-su-mont-e-prama-l-accusa-del-mibac-sardegna. ↑
12.
E la smentita: https://www.youtg.net/v3/primo-piano/19640-mibac?fbclid=IwAR048XoPXUFM-qzzjpTQ85Dd7la_AY72HFULsXCtNnZf7M2Onl-QS5rPXEA ↑
13.
http://www.lanuovasardegna.it/regione/2019/09/27/news/il-ministro-sui-giganti-di-mont-e-prama-sono-un-icona-nazionale-1.17888170 ↑
14.
http://www.lanuovasardegna.it/regione/2019/09/28/news/mont-e-prama-si-allarga-iniziano-gli-espropri-1.17889045 Vedi
anche La Nuova Sardegna, 28 settembre 2019, pag. 8. ↑
15.
https://www.sardiniapost.it/cronaca/monte-prama-il-caso-approda-in-consiglio-i-giganti-restino-cabras/ ↑
16.
Vedi, La Nuova Sardegna, 26 Settembre 2019, pag. 3. ↑
17.
Ibidem, nella stessa pagina, l’intervento dell’archeologo Giovanni
Ugas. ↑
18.
Il sito è stato oggetto di interrogazioni parlamentari da parte dell’On.
Pili (allegato 2 al seguente documento): http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/html/2017/01/26/07/allegato.htm?fbclid=IwAR2oxnlBMBF2CW1fogw8UNLf8FCmHmeiThnauT1fWDMLWLgk7Lq-FiUr-aM#. ↑
19.
Impossibile citare in questa sede tutte le fonti: onde evitare l’esclusione
di alcune opere, essendo tutte fondamentali e nessuna esclusa per la
successione cronologica in rapporto alla cultura materiale, si rimanda il
lettore a tutti i lavori sul nuragico in Sardegna di Salvatore Sebis, Alfonso
Stiglitz e Alessandro Usai per le facies nuragiche nella
Provincia di Oristano. Per una immediata consultazione della cronologia: https://monteprama.it/eroi-o-giganti/il-sinis-degli-eroi/contesto-storico/ ↑
20.
La questione circa la correttezza scientifica del nome “popolare” e
“commerciale” è stata oggetto di aspre polemiche, stante la decisione di
modificarne la nomenclatura da “Giganti” a “Eroi”: http://www.sardegna.beniculturali.it/it/449/noi-siamo-eroi?fbclid=IwAR2aSmr_yJ2uyjW8cKc802Av48U3-fLTXorZQLuOm6jz7PePgs9rSUOwB8A ↑
21.
Sull’inquadramento culturale, nelle pubblicazioni scientifiche del
direttore degli scavi, Alessandro Usai, si veda: https://www.academia.edu/36564894/USAI_A._USAI_E._2016_Mont_e_Prama_la_morte_e_il_culto_nel_Sinis_dal_Bronzo_Recente_alla_Prima_Et%C3%A0_del_Ferro_in_TORELLI_M._a_cura_di_I_riti_della_morte_e_del_culto_di_Mont_e_Prama_-_Cabras_Atti_dei_convegni_Lincei_303_Roma_pp._75-100. https://www.academia.edu/10427964/USAI_A._2014_Alle_origini_del_fenomeno_di_Mont_e_Prama._La_civilt%C3%A0_nuragica_nel_Sinis_in_MINOJA_M._USAI_A._a_cura_di_Le_sculture_di_Mont_e_Prama._Contesto_scavi_e_materiali_Roma_pp._29-72.
Ibidem, per la cronologia: LAI et alii, Isotopi radioattivi, primi dati
sulla dieta e di cronologia assoluta dal sito di Mont’e Prama, pp. 207-218.
Ancora nel medesimo volume si discute degli aspetti cronologici, e dunque si
invita il lettore ad approfondire l’intero lavoro. Vd. anche: https://www.academia.edu/10427964/USAI_A._2014_Alle_origini_del_fenomeno_di_Mont_e_Prama._La_civilt%C3%A0_nuragica_nel_Sinis_in_MINOJA_M._USAI_A._a_cura_di_Le_sculture_di_Mont_e_Prama._Contesto_scavi_e_materiali_Roma_pp._29-72.
Infine, sulla genetica: https://academic.oup.com/mbe/article/34/5/1230/2977388 ↑
22.
Si vedano, per le datazioni e la descrizione della facies, ex
multis: R. Tykot, sopra citato, nonché C. Lugliè La ceramica di
facies S. Ciriaco nel Neolitico superiore della Sardegna: evoluzione interna e
apporti extrainsulari, in Le comunità della preistoria italiana. Studi e
ricerche sul Neolitico e le Età dei metalli. Atti della XXXV Riunione
Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria in memoria di
Luigi Bernabò Brea (Lipari, 2-7 giugno 2000), Firenze, I.I.P.P., pp. 723-733;
C. Lugliè, Paglietti G., La piccola statuaria femminile della Sardegna
neolitica. Proposta di una seriazione evolutiva attraverso l’applicazione di
metodi stilistici e dimensionali, in Tanda G. e Lugliè C., a cura di, Il
Segno e l’Idea. Arte preistorica in Sardegna, Cagliari, CUEC, 2008, pp.
11-52. ↑
23.
BUR Rizzoli, Milano, 1994, p. 26. ↑
24.
Si rimanda al seguente lavoro collettaneo per tutte le considerazioni sulla
genetica qui svolte: https://www.cell.com/ajhg/fulltext/S0002-9297(19)30111-9?fbclid=IwAR3QGd_O-zOS1nkTUyiZvfTZ6vIHQshTc3nv9FPrLhjR-av74Mmg5uHUj4w#secsectitle0040 ↑
25.
Non è chiara l’attribuzione cronologica della componente iraniana, poiché
per alcuni potrebbe essere il risultato delle suddette migrazioni neolitiche di
agricoltori mediorientali, per altri un fenomeno riconducibile ai suddetti
popoli delle Steppe tra calcolitico ed età del Bronzo, per altri ancora
un’acquisizione genetica recente collegata in un recente studio (che non fornisce
però una adeguata spiegazione) alla presenza dei Fenici in Sardegna. La
questione dei Fenici, forse geneticamente ne introduce un’altra: la questione
dei Berberi o Amazigh, chiamati da Cicerone Libici (“i Sardi discendono da un
ramo dei Libi”). Chi erano? Essenzialmente, li conosciamo come i mercenari di
Cartagine, come un popolo che ebbe reciproche relazioni ed influenze con i
vicini Cartaginesi, da questi indipendenti sia culturalmente sia (in seguito,
nel corso della storia) militarmente. Ogni Sardo troverà questa componente
berbera, indicata con l’etichetta North-Africa, e che tutti i test datano ad un
arco cronologico compreso tra i 2400 e i 2000 anni fa. Conosciuti come Lybi dai
Greci, gruppo umano di pelle chiara per distinguerli dagli Etiopi, gruppo umano
di pelle scura, i Berberi furono una popolazione guerriera che si incontrò e
scontrò l’Egitto dei Faraoni, dando persino una dinastia di Faraoni berberi.
Popolazione parlante una lingua semitica, essi vennero poi in contatto con
Cartagine e con la Sardegna durante la rivolta dei mercenari. ↑
26.
Riepilogativa, per chiunque, da non giurista, fosse interessato ad
approfondire l’argomento, è la breve analisi di Nocilla: http://www.bibliotecaprovinciale.foggia.it/capitanata/2005/2005pdf/2005_17_181-189_Nocilla.pdf. ↑
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