Propongo un gioco. Indovinate chi ha scritto queste parole: “Sono, i
nostri, tempi difficili e controversi. Di crisi di meccanismi e modelli di
produzione e consumo. E di necessità di un vero e proprio ‘cambio di
paradigma’. L’orizzonte di riferimento è appunto la sostenibilità ambientale e
sociale: green economy e solidarietà, cura attenta per
l’ambiente e rispetto delle persone”. Non Greta Thumberg, non papa Francesco,
nemmeno Legambiente. Ma il vicepresidente della Confindustria lombarda, Antonio
Calabrò, su Buonenotizie del Corriere della Sera di martedì 8 ottobre. È
partita la grande rincorsa agli adolescenti di Fridey For Future. Come è sempre
accaduto, il sistema dominante prima nega, poi reprime, infine tenta di
sussumere le contraddizioni che genera.
Guardate le paginate di pubblicità dell’Eni: volti di ragazze
sorridenti e “Bioeconomia ai primi posti”. Non c’è banca che non proponga ai
risparmiatori fondi etici garantiti. La Nestlè ha da tempo una
linea di cioccolato e caffè equo e solidale. Il bio è diventato industriale e
lo trovate sugli scaffali dei peggiori supermercati. Lo storico marchio Fair
Trade è distribuito da Amazon. La Amministratrice Delegata di Coop
Italia, Maura Latini, racconta ad Affari e Finanza di Repubblica il
“rinnovato posizionamento del modello comunicativo” della sua azienda. Scrive
il giornale (titolo a pag.39: “Dialoghiamo con i giovani su valori, etica e
ambiente”, lunedì 7 ottobre): “Una sfida ambiziosa: perché si rivolge
principalmente ai consumatori di domani, la Generazione Z. Un target di
persone che vanno dai dieci ai venti anni che, oltre a chiedere cose importanti
– in questo senso il messaggio di Greta è stato dirompente – ha già attuato dei
cambiamenti radicali nei comportamenti”. La risposta della Coop è una serie di
spot con lo slogan: “Una buona spesa può cambiare il mondo”. Se trovate qualche
affinità con lo slogan “Vota con il portafoglio”, lanciato dall’economista
Leonardo Becchetti della NeXt (Nuova economia per tutti), avete visto giusto.
In queste nuove grandi conglomerate che si battono per la green
economy, l’economia circolare, il Green New Deal, ecc. (penso alla Alleanza
per lo sviluppo sostenibile dell’ex ministro Enrico Giovannini, alla Fondazione
per lo sviluppo sostenibile di un altro ex ministro, Edo Ronchi, alla Symbola
di Ermete Realacci che ministro non è riuscito a diventare) c’è di
tutto: dalle associazioni ambientaliste, alla grande distribuzione
organizzata, dalle grandi imprese alle Fondazioni bancarie. Nulla in
comune con i vecchi movimenti del consumo critico e consapevole degli anni
Ottanta e Novanta del secolo scorso, protagonisti di campagne di boicottaggio,
denuncia delle sofisticazioni alimentari, richiesta di etichette trasparenti,
giornata del non acquisto, ecc.
Ma temo che la presunta “svolta etica del capitalismo” – come l’ha chiamata
The Wall Street Journal – non sia solo una operazione di marketing. Pensano di
poter cambiare cavallo in corsa. Scendere da quello “estrattivista” e salire su
quello “immateriale”, etereo ed angelico, pulito e compassionevole, tecnologico
e intelligente. Ovviamente: “senza rinunciare al benessere acquisito”, come ha detto Eddo
Ronchi, presidente della Federazione per lo sviluppo sostenibile” (Cosera 27
settembre) illustrando un piano di trasferimento di investimenti in rinnovabili
ed efficienza per 240 miliardi di nuovo valore aggiunto. Il green – insomma – conviene.
L’unica speranza è che le nuove generazioni non ci caschino. Tutte le
versioni di “sviluppo sostenibile” fin qui conosciute (da quelle più soft della
“crescita verde”, dell’“economia circolare” ed altre, a quelle più
socialmente caratterizzate che oggi prendono il nome del Green New Deal) si
basano sull’ipotesi di fondo del “decoupling” – la separazione della
curva dell’aumento del Pil dalla curva delle pressioni ambientali. Vale a dire,
sulla possibilità di continuare a perseguire un aumento della crescita
economica e, contestualmente, ottenere una diminuzione degli impatti
antropogenici sui cicli naturali, sul “consumo di natura”. Peccato che tale
ipotesi, in un contesto economico di tipo capitalistico, non abbia mai
funzionato e non possa mai funzionare. Ad affermarlo – da ultimo – è una fonte
non sospetta, l’European Environmental Bureau (composto da 143 organizzazioni
di trenta paesi) con il rapporto Decoupling
Debunked. Evidence and arguments against green growth as sole strategy for
sustainability, luglio 2019. Vale la pena leggerlo.
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