Che la crescita infinita in una biosfera che ha dei limiti fisici fosse un
mito, si sa dal 1972. Quell’anno un gruppo di giovani scienziati del
Massachussets Institute of Technology, con il loro rapporto I limiti
dello sviluppo che ha cambiato il dibattito mondiale sull’ambiente,
hanno messo in guardia l’umanità da due pericoli: l’incoscienza e la cupidigia
che guidavano l’idea di una crescita senza freni. Tuttavia, la nascita
dei concetti di “sviluppo sostenibile” e “crescita verde” ha
frenato la carica trasformativa di quell’allarme. Le istituzioni hanno
riconosciuto i rischi ambientali della crescita a tutti i costi, consentendo
però al sistema economico e produttivo non cambiare le sue logiche. Si è
pensato per decenni che con qualche investimento nell’efficienza il PIL potesse
continuare a salire, mentre l’impatto climatico e ambientale della produzione
sarebbe sceso. Oggi un importante studio dimostra che non c’è mai stato
un disaccoppiamento e chiede un radicale cambio di paradigma. Il
report si intitola Decoupling
debunked e lo ha pubblicato l’European Environmental
Bureau (EEB), una rete di oltre 143 organizzazioni con sede in più di 30 paesi. Il
team internazionale di ricercatori che lo ha scritto ritiene prioritario ridurre
la produzione di beni e servizi, soprattutto nei paesi ricchi. In un
pianeta che si sta riscaldando a velocità forse troppo alte per evitare gli
effetti peggiori dei cambiamenti climatici, secondo gli esperti non si
dovrà più parlare di efficienza, ma di sufficienza. Simili prese di
posizione dovrebbero far discutere, anche se finora i media hanno pressoché
ignorato i risultati della ricerca, perché il dibattito fra le due scuole di
pensiero della “crescita verde” e della decrescita ha visto prevalere
nettamente la prima.
I sostenitori della “crescita verde” ritengono che il progresso tecnologico
consentirà un disaccoppiamento fra la crescita economica ed emissioni
climalteranti. Tradotto: investendo molto nell’efficienza delle produzioni,
sarà possibile continuare ad aumentare la produzione di beni e servizi
inquinando di meno, consumando meno risorse e lasciando il tempo al pianeta di
rigenerarle. I promotori della decrescita o della “post-crescita”, al
contrario, sono convinti che un’espansione infinita dell’economia all’interno
di una biosfera finita sia impossibile. La risposta, a questo punto, starebbe
nella riduzione della produzione e del consumo nei paesi più
ricchi, con conseguente abbassamento del PIL.
La favola della “crescita verde”
Ad oggi, la narrativa sulla “crescita verde” è dominante in tutte le
istituzioni politiche ed economiche internazionali. Tutto è cominciato nel
2001, quando l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
(OCSE) ha sposato l’obiettivo del disaccoppiamento, poi divenuto un perno della
sua strategia verso la “crescita sostenibile”. A ruota è seguita la Commissione
Europea, che nel suo sesto Programma d’azione per l’ambiente, ha annunciato il
suo obiettivo di «rompere il vecchio legame tra crescita economica e danno
ambientale». Nel 2011 la strategia dell’UNEP – il Programma ambientale delle
Nazioni Unite – ha scommesso sulle capacità della “crescita verde” di «ridurre
significativamente i rischi ambientali e la miseria ecologica». Il 2012 ha
visto scendere in campo anche la Banca Mondiale, in un coro unanime coronato
dall’inclusione del disaccoppiamento fra i target specifici degli Obiettivi di
sviluppo sostenibile, la “Bibbia” delle Nazioni Unite per il futuro
dell’umanità sul pianeta. Di qui in poi, è stato un proliferare di ricerche e
studi che confermavano come l’economia in alcuni settori e in alcuni paesi
stesse progressivamente liberandosi dello stigma delle emissioni.
Il castello di carte è crollato l’8 luglio scorso, qundo l’European
Environmental Bureau (EEB) ha pubblicato Decoupling debunked,
la prima analisi di tutta la letteratura empirica e teorica sul tema.
I ricercatori hanno verificato se davvero stiamo assistendo a una “crescita
verde”, arrivando alla conclusione che «non solo non ci sono prove empiriche
a sostegno dell’esistenza di un disaccoppiamento della crescita economica dalle
pressioni ambientali in misura anche solo vicina a ciò che servirebbe per
affrontare il collasso ambientale, ma, e forse è ancora più importante, sembra
improbabile che tale disaccoppiamento si verifichi in futuro».
Questa doccia di acqua ghiacciata pone i decisori politici (soprattutto
quelli dei paesi ricchi) davanti ad un bivio: ignorare le conclusioni dell’EEB
e continuare business as usual, o riconoscere che forse occorre
elaborare politiche più prudenti verso la ricerca di un continuo aumento del
PIL. Il rapporto traccia una strada possibile: le strategie produttive
basate sull’efficienza dovrebbero essere integrate dalla ricerca della
sufficienza, ovvero da un «ridimensionamento della produzione economica in
molti settori e una riduzione parallela del consumo, che insieme consentiranno
un buon vivere entro i limiti ecologici del pianeta».
Perché il disaccoppiamento è impossibile
La validità del discorso sulla “crescita verde” presume un disaccoppiamento
globale, assoluto e permanente, ampio e abbastanza rapido della crescita
economica da tutti gli impatti negativi sull’ambiente. Secondo il team di Decoupling
debunked tutto questo non sta succedendo. In tutti i casi considerati
– materie prime, energia, acqua, gas serra, terra, inquinanti idrici e perdita
di biodiversità – il disaccoppiamento è solo relativo, temporaneo o
localizzato. È successo nel 2007-2008 per la crisi economica e nel
2015-2016, come si legge da entusiastici rapporti dell’Agenzia inernazionale
dell’energia (IEA) poi rivelatisi fuochi di paglia. La Cina stava spostando una
parte significativa della produzione energetica dal carbone all’oil&gas,
mentre gli Stati Uniti accrescevano la quota di gas nel mix energetico. Ben
presto, però, completata la transizione, economia ed emissioni sono tornate ad
accoppiarsi (+1.6% nel 2017 e +2.7% nel 2018). Prendendo altri casi settoriali
in cui il disaccoppiamento dovrebbe verificarsi, il rapporto rivela che non si
è mai vista una forbice, anzi. Per quanto riguarda i flussi di risorse minerali
e organiche estratte dall’ambiente, ad esempio, nei paesi OCSE l’accoppiamento
stabile fra loro uso e crescita è evidente. La cosiddetta material
footprint è aumentata del 50% fra il 1990 e il 2008 registrando un +6%
di utilizzo ogni +10% di PIL. A dirci che siamo già in forte debito con
l’ecosistema sono anche i numeri assoluti: per essere ecologicamente
sostenibili, dovremmo limitare il consumo di risorse a circa 50 miliardi di
tonnellate l’anno. Già nel 2009, però, questo numero era a 67,6. Il rapporto
dimostra come l’entusiasmo dei sostenitori della “crescita verde” sia frutto di
«una sostanziale finzione statistica», e indica almeno sette ragioni per essere
scettici riguardo al verificarsi di un disaccoppiamento assoluto e sufficiente
nel futuro.
1.
Aumento della spesa energetica. L’estrazione risorse
di solito diventa più costosa man mano che le scorte si esauriscono: quando le
opzioni più economiche non bastano più, si passa a sistemi caratterizzati da
una maggiore intensità energetica, con conseguente aumento della pressione
sull’ambiente. È il caso del gas di scisto o del petrolio da sabbie bituminose,
che richiedono processi di estrazione molto impattanti perché si tratta di materie
prime non facili da recuperare.
2.
Effetti rimbalzo. I miglioramenti nell’efficienza sono
spesso compensati, del tutto o in parte, da un utilizzo dei risparmi per
aumentare i consumi nello stesso settore o in altri. Non è raro che un’auto a
basso consumo venga utilizzata più spesso, o che il denaro risparmiato venga
speso in un biglietto aereo per vacanze che altrimenti non ci si poteva
permettere. Inoltre, la promozione di automobili più efficienti può rafforzare
una mobilità basata sull’auto privata, invece di spostare il sistema di
trasporto verso i mezzi pubblici e la bicicletta.
3.
Spostamento dei problemi. Le soluzioni
tecnologiche a un problema ambientale possono crearne di nuovi o esacerbarne
altri. Ad esempio, la produzione di energia elettrica per la mobilità privata
causa pressioni sulle riserve di litio, rame e cobalto, mentre i biocarburanti
sottraggono suolo alla produzione di cibo.
4.
Impatto sottovalutato dei servizi. L’economia dei
servizi può esistere solo se basata sull’economia materiale. I servizi hanno
un’impronta significativa che spesso si aggiunge a quella dei beni invece di
sostituirla.
5.
Potenziale limitato del riciclo. I tassi di riciclo
sono attualmente bassi e crescono lentamente. Un loro aumento richiederà una
quantità significativa di energia e materie prime. Inoltre, ad oggi il riciclo
ha una capacità limitata di supportare un’economia materiale in crescita.
6.
Cambiamenti tecnologici insufficienti e inappropriati. Il progresso
tecnologico non sta prendendo di mira i fattori di produzione che contano per
la sostenibilità ecologica e non porta al tipo di innovazioni che riducono le
pressioni ambientali. Non è abbastanza dirompente perché non riesce a
sostituire altre tecnologie indesiderabili e non è abbastanza veloce da
consentire un disaccoppiamento sufficiente.
7.
Trasferimento dei costi. In alcuni casi il
disaccoppiamento calcolato su base locale non è altro che l’effetto di
un’esternalizzazione dell’impatto ambientale in altri paesi, favorita dalle
regole del commercio internazionale.
Oltre la crescita, di qualunque colore
Di fronte a questi risultati, e con una decina d’anni appena per invertire
i trend di riscaldamento globale, il rapporto dell’European Environmental
Bureau pone una questione non più rinviabile: andare oltre la crescita nella
scrittura delle politiche. Vent’anni di strategie improntate alla “crescita
verde” da parte di tutte le più importanti istituzioni internazionali non hanno
portato ai risultati previsti: «Il disaccoppiamento – scrivono i ricercatori
nelle loro conclusioni – ha fallito nel raggiungere la sostenibilità ecologica
che aveva promesso. Non è che gli aumenti dell’efficienza non siano necessari,
ma è irrealistico aspettarsi che possano scollegare in modo assoluto, globale e
permanente dalla sua base biofisica un metabolismo economico in costante
crescita». Basarsi soltanto su questo per risolvere i problemi ambientali
«sembra essere estremamente rischioso e irresponsabile», scrivono. E cercare di
risolvere questioni di giustizia sociale ed ecologica con il disaccoppiamento
«è come provare a tagliare un albero con il cucchiaio: un’operazione
probabilmente lunga, e ancora più probabilmente destinata a fallire».
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