Se c’è una cosa che pare mettere d’accordo tutti è
l’astio nei confronti delle telefonate. Ricevere una telefonata? Essere
disturbati nel bel mezzo della propria routine giornaliera da un telefono che
squilla? Jamais. Cosa c’è che non si può dire via email o via messaggio che
deve essere per forza comunicato tramite un’invadente telefonata? Per molte
persone di mia conoscenza, quasi nulla. In effetti anche io quando sento
vibrare il mio telefono – ormai non ricordo nemmeno più quale sia la mia
suoneria – guardo lo schermo e in primis mi domando che avrà questa volta lo
scellerato che mi chiama. È che le telefonate oggi se la passano davvero male.
Il fisso ormai è un muffito aggeggio di cui, nel caso lo si abbia ancora,
ricorda il numero solo tua nonna e gli innumerevoli call center che
intercettano sempre quel momento del sabato dopo pranzo in cui hai la
sensazione di cadere in un sacrosanto riposino. Gli stessi però conoscono anche
il numero del tuo cellulare, e quotidianamente da improbabili cittadine sparse
su tutto lo Stivale ti chiamano per proporti ogni giorno la stessa offerta,
molto spesso la stessa che già possiedi.
Abbiamo dunque consegnato il concetto della telefonata
in mano a un manipolo di scriteriati che hanno contribuito alla pessima
reputazione di questo mezzo di comunicazione. Ma non è sempre stato così. Una
volta nelle pubblicità le telefonate allungavano la vita, erano il modo per
saldare l’amore delle relazioni a distanza a suon di quanto mi ami e quanto mi
pensi. Erano il pretesto per scrivere delle favole. Nelle canzoni venivano
celebrate un po’ come oggi faremmo con i messaggini, se telefonando io potessi
dirti addio e ti telefono o no, io non cedo per prima. A sottolineare che il
visualizzare e non rispondere e la pratica del ghosting non è certo questa
grande invenzione contemporanea. Negli anni Novanta, in pieno clima europeista,
se rispondevi “Europa Europa” un inusitato duo formato dal compianto Fabrizio
Frizzi ed Elisabetta Gardini ti faceva vincere milioni di lire in gettoni
d’oro. Nei film e nei telefilm le telefonate erano parte integrante
dell’iconografia della donna un po’ superficiale che doveva raccontare tutto,
ma proprio tutto, alla sua amica del cuore, anche a costo di essere citata in
giudizio per peculato. Ma dopotutto un tempo le telefonate costavano per
davvero e giustamente si faceva quello che si poteva, tipo sfruttare la linea
del luogo di lavoro.
Per giunta ci siamo inventati che possono essere
altrettanto utili e funzionali i messaggi vocali. Abbiamo deciso che può
bastare registrare una sorta di podcast personale dove in realtà non ci
rendiamo conto di divagare e di aver dimenticato già al secondo 32 il motivo
per cui abbiamo lucchettato il microfono. Di rimando, l’ingrato destinatario,
come in uno scambio di tennis, ci risponderà con un messaggio vocale
altrettanto lungo, quantomeno per sottolineare che il suo giga di iCloud non lo
ha di certo acquistato per i nostri sproloqui sullo shopping del sabato
pomeriggio. Dunque che cosa abbiamo contro le telefonate? Cosa ci impedisce,
oggi, di includerle tra le nostre pratiche quotidiane, sempre più frenetiche?
Abbiamo assottigliato incredibilmente le attese. Ci spazientiamo se la metro ci
mette più di tre minuti ad arrivare, se il rider non corre abbastanza con la
nostra pizza, se dobbiamo fare un po’ di fila alla cassa, tanto da perdere il
doppio del tempo cercando il codice a barre alle spocchiose casse automatiche
del supermercato. Però consegnamo la nostra razionalità ai messaggini.
Con le telefonate non serve aspettare, sai subito la
risposta. Ed è vero che a prendere in mano il telefono si rischia di passare
per pesanti, ma se stai uscendo e vuoi sapere se anche stavolta dovrai
aspettare la tua amica ritardataria, in questa giungla di gente dalla privacy
facile che ha tolto le spunte blu, che ha rimosso l’online, che ha finito i
dati, venirlo a sapere per tempo è un inferno. Ed è vero che ormai a prendere
in mano il telefono per parlarci dentro è ormai un gesto dissidente, ma quanto
è liberatorio avere la risposta subito, senza sbloccare il telefono mille
volte?
Così come certi messaggi sappiamo bene che non servono
davvero per sapere “dove sei”, non di tutte le domande vogliamo sapere la
risposta secca, live, incontrovertibile. La vogliamo edulcorata,
interpretabile, relativizzabile in base alla lunghezza, l’orario, l’emoji, la
presenza o meno del punto, dei puntini di sospensione. Vogliamo rileggere le
chat per capire se stiamo perdendo tempo, se sa usare un lessico forbito e
quanto può essere ampio il suo vocabolario, sarà pur sempre collegato al Dna in
qualche modo. Vogliamo avere la possibilità di contare quante volte abbiamo
scritto per primi, di soffrire per mezzo di un cuore al nostro ultimo direct su
Instagram. Continuiamo a riporre sui messaggini la nostra fiducia perché
abbiamo reso la telefonata ancora più intima di una dichiarazione d’amore. Ma
forse ci risparmieremmo un bel po’ di telefonate finte al supermercato e di
telefonate vere alla sventurata amica.
Le telefonate, anche nel caso siano inaspettate (o
proprio per questo), danno una sensazione di calore confortante più di quel
messaggio su Whatsapp, anche dopo mesi di silenzio. Parlare al telefono è così
naturale che se lo fai con le auricolari a un certo punto finisci per farci la
doccia e puoi sempre fingere di chiamare qualcuno parlando da solo per strada.
Scorrendo le ultime chiamate del mio telefono, i nomi che si ripetono maggiormente
sono sempre gli stessi. Mia madre, il mio capo, spero ancora per poco il mio
agente immobiliare. Al di là di quelle di servizio, è vero che certe telefonate
sono figlie di un’attenzione particolare, quella che si merita una sparuta
manciata di contatti della nostra rubrica. Quella che capisce cos’hai a seconda
del tipo di pronto che dici e dell’orario in cui chiami e del preavviso che dai
(quando lo dai). Il fatto che ormai lo capisca anche il mio agente immobiliare
può in effetti essere indicatore di un problema. Ma è proprio questo che
sottolinea una volta di più quanto la telefonata sia di un’altra pasta. Perché
è la cosa che più assomiglia a vedersi di persona, qualcosa che ci fa capire
subito chi c’è dall’altra parte. Che risposta riceveremo, cosa faremo appena
mettiamo giù la cornetta.
C’è una quote che in questo periodo gira soprattutto
su Instagram: «Fra cinque mesi sarà il 2020, è arrivato il momento di smettere
di fare ciò che ti fa perdere tempo», l’ha postata anche Rihanna. Ecco, forse ce l’ha anche con tutti
questi messaggini che ci lasciano appesi. Ancora meglio del monitor che ci
avvisa quanto manca al prossimo treno e ci lascia incerti se sederci o stare in
piedi, la telefonata ci dà tutta la forza di capire cosa fare un istante dopo.
Terribilmente facile.
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