martedì 13 agosto 2019

La telefonata è un gesto dissidente - Teresa Bellemo



Se c’è una cosa che pare mettere d’accordo tutti è l’astio nei confronti delle telefonate. Ricevere una telefonata? Essere disturbati nel bel mezzo della propria routine giornaliera da un telefono che squilla? Jamais. Cosa c’è che non si può dire via email o via messaggio che deve essere per forza comunicato tramite un’invadente telefonata? Per molte persone di mia conoscenza, quasi nulla. In effetti anche io quando sento vibrare il mio telefono – ormai non ricordo nemmeno più quale sia la mia suoneria – guardo lo schermo e in primis mi domando che avrà questa volta lo scellerato che mi chiama. È che le telefonate oggi se la passano davvero male. Il fisso ormai è un muffito aggeggio di cui, nel caso lo si abbia ancora, ricorda il numero solo tua nonna e gli innumerevoli call center che intercettano sempre quel momento del sabato dopo pranzo in cui hai la sensazione di cadere in un sacrosanto riposino. Gli stessi però conoscono anche il numero del tuo cellulare, e quotidianamente da improbabili cittadine sparse su tutto lo Stivale ti chiamano per proporti ogni giorno la stessa offerta, molto spesso la stessa che già possiedi.
Abbiamo dunque consegnato il concetto della telefonata in mano a un manipolo di scriteriati che hanno contribuito alla pessima reputazione di questo mezzo di comunicazione. Ma non è sempre stato così. Una volta nelle pubblicità le telefonate allungavano la vita, erano il modo per saldare l’amore delle relazioni a distanza a suon di quanto mi ami e quanto mi pensi. Erano il pretesto per scrivere delle favole. Nelle canzoni venivano celebrate un po’ come oggi faremmo con i messaggini, se telefonando io potessi dirti addio e ti telefono o no, io non cedo per prima. A sottolineare che il visualizzare e non rispondere e la pratica del ghosting non è certo questa grande invenzione contemporanea. Negli anni Novanta, in pieno clima europeista, se rispondevi “Europa Europa” un inusitato duo formato dal compianto Fabrizio Frizzi ed Elisabetta Gardini ti faceva vincere milioni di lire in gettoni d’oro. Nei film e nei telefilm le telefonate erano parte integrante dell’iconografia della donna un po’ superficiale che doveva raccontare tutto, ma proprio tutto, alla sua amica del cuore, anche a costo di essere citata in giudizio per peculato. Ma dopotutto un tempo le telefonate costavano per davvero e giustamente si faceva quello che si poteva, tipo sfruttare la linea del luogo di lavoro.
Per giunta ci siamo inventati che possono essere altrettanto utili e funzionali i messaggi vocali. Abbiamo deciso che può bastare registrare una sorta di podcast personale dove in realtà non ci rendiamo conto di divagare e di aver dimenticato già al secondo 32 il motivo per cui abbiamo lucchettato il microfono. Di rimando, l’ingrato destinatario, come in uno scambio di tennis, ci risponderà con un messaggio vocale altrettanto lungo, quantomeno per sottolineare che il suo giga di iCloud non lo ha di certo acquistato per i nostri sproloqui sullo shopping del sabato pomeriggio. Dunque che cosa abbiamo contro le telefonate? Cosa ci impedisce, oggi, di includerle tra le nostre pratiche quotidiane, sempre più frenetiche? Abbiamo assottigliato incredibilmente le attese. Ci spazientiamo se la metro ci mette più di tre minuti ad arrivare, se il rider non corre abbastanza con la nostra pizza, se dobbiamo fare un po’ di fila alla cassa, tanto da perdere il doppio del tempo cercando il codice a barre alle spocchiose casse automatiche del supermercato. Però consegnamo la nostra razionalità ai messaggini.
Con le telefonate non serve aspettare, sai subito la risposta. Ed è vero che a prendere in mano il telefono si rischia di passare per pesanti, ma se stai uscendo e vuoi sapere se anche stavolta dovrai aspettare la tua amica ritardataria, in questa giungla di gente dalla privacy facile che ha tolto le spunte blu, che ha rimosso l’online, che ha finito i dati, venirlo a sapere per tempo è un inferno. Ed è vero che ormai a prendere in mano il telefono per parlarci dentro è ormai un gesto dissidente, ma quanto è liberatorio avere la risposta subito, senza sbloccare il telefono mille volte?
Così come certi messaggi sappiamo bene che non servono davvero per sapere “dove sei”, non di tutte le domande vogliamo sapere la risposta secca, live, incontrovertibile. La vogliamo edulcorata, interpretabile, relativizzabile in base alla lunghezza, l’orario, l’emoji, la presenza o meno del punto, dei puntini di sospensione. Vogliamo rileggere le chat per capire se stiamo perdendo tempo, se sa usare un lessico forbito e quanto può essere ampio il suo vocabolario, sarà pur sempre collegato al Dna in qualche modo. Vogliamo avere la possibilità di contare quante volte abbiamo scritto per primi, di soffrire per mezzo di un cuore al nostro ultimo direct su Instagram. Continuiamo a riporre sui messaggini la nostra fiducia perché abbiamo reso la telefonata ancora più intima di una dichiarazione d’amore. Ma forse ci risparmieremmo un bel po’ di telefonate finte al supermercato e di telefonate vere alla sventurata amica.
Le telefonate, anche nel caso siano inaspettate (o proprio per questo), danno una sensazione di calore confortante più di quel messaggio su Whatsapp, anche dopo mesi di silenzio. Parlare al telefono è così naturale che se lo fai con le auricolari a un certo punto finisci per farci la doccia e puoi sempre fingere di chiamare qualcuno parlando da solo per strada. Scorrendo le ultime chiamate del mio telefono, i nomi che si ripetono maggiormente sono sempre gli stessi. Mia madre, il mio capo, spero ancora per poco il mio agente immobiliare. Al di là di quelle di servizio, è vero che certe telefonate sono figlie di un’attenzione particolare, quella che si merita una sparuta manciata di contatti della nostra rubrica. Quella che capisce cos’hai a seconda del tipo di pronto che dici e dell’orario in cui chiami e del preavviso che dai (quando lo dai). Il fatto che ormai lo capisca anche il mio agente immobiliare può in effetti essere indicatore di un problema. Ma è proprio questo che sottolinea una volta di più quanto la telefonata sia di un’altra pasta. Perché è la cosa che più assomiglia a vedersi di persona, qualcosa che ci fa capire subito chi c’è dall’altra parte. Che risposta riceveremo, cosa faremo appena mettiamo giù la cornetta.
C’è una quote che in questo periodo gira soprattutto su Instagram: «Fra cinque mesi sarà il 2020, è arrivato il momento di smettere di fare ciò che ti fa perdere tempo», l’ha postata anche Rihanna. Ecco, forse ce l’ha anche con tutti questi messaggini che ci lasciano appesi. Ancora meglio del monitor che ci avvisa quanto manca al prossimo treno e ci lascia incerti se sederci o stare in piedi, la telefonata ci dà tutta la forza di capire cosa fare un istante dopo. Terribilmente facile.

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