Che cosa ci siamo dimenticati? Chiedeva Urbi et
orbi, a Roma e al mondo, the Young Pope di Sorrentino. Ci siamo
dimenticati i cambiamenti climatici e la conversione ecologica.
I cambiamenti climatici provocati dai combustibili
fossili colpiscono tutto il pianeta. Ma devastano di più i paesi fragili
ed esposti, quelli da cui proviene la maggioranza dei profughi e dei migranti
odierni, per lo più sfuggendo a guerre e conflitti innescati da una riduzione
delle fonti di sopravvivenza e dall’appropriazione da parte di alcuni, o di
pochissimi, delle terre e delle risorse ancora disponibili. Sono guerre e
conflitti in gran parte alimentati anche da diversi Governi dell’Occidente e
non, che hanno trasformato in rapina economica e degrado ambientale il
controllo diretto che esercitavano quando quei paesi erano ancora le loro
colonie.
I cambiamenti climatici in corso si possono ancora
frenare, e in parte anche invertire; le terre che ne vengono devastate si
possono bonificare e recuperare; i profughi ambientali e di guerra costretti ad
abbandonarle potrebbero, e in molti vorrebbero, tornare da dove sono partiti
per ricostruire i loro paesi e rigenerare le loro terre e le loro comunità, se
solo ne avessero la possibilità; e molti altri loro connazionali potrebbero a
loro volta partire alla volta dell’Europa, decisi a fare ritorno, dopo aver
lavorato qualche anno con noi, se avessero la possibilità di farlo per vie
sicure e legali. Niente di ciò che sta trasformando l’Europa in una caserma, il
Mediterraneo in un cimitero e la Libia in un Lager è irreversibile, ma non c’è
più molto tempo.
Tra breve quei processi diventeranno irreversibili: il
pianeta Terra si trasformerà in un habitat insopportabile per la maggior parte
dei suoi abitanti, compresi quelli che oggi si sentono al sicuro; le persone
costrette ad abbandonare il loro paese per cercare di sopravvivere si
conteranno a centinaia di milioni; il falso benessere che molti di noi (in
realtà sempre meno) pensano di poter difendere con barriere sempre più alte
intorno al proprio paese, affidando a politici menzogneri il compito di
costruirle, è destinato a dissolversi nel giro di pochi decenni. Ne
beneficeranno solo i ricchissimi: sempre di meno è sempre più ricchi, come già
sta succedendo da tempo sotto i nostri occhi.
Per anni i padroni del petrolio e quelli delle industrie
che ne dipendono, corrompendo studiosi, politici e giornalisti, hanno cercato
di negare il pericolo mortale dei cambiamenti climatici e loro cause, pur
sapendo benissimo quanto quel pericolo fosse invece reale; anche i militari lo
sapevano benissimo e si preparavano da tempo a combattere non più il comunismo,
il narcotraffico o il terrorismo (tutte cose con cui hanno giustificato in
passato la necessità di armarsi sempre di più), bensì le ondate migratorie che
avrebbero investito le cittadelle ricche dell’Occidente quando gli effetti dei
cambiamenti climatici cominceranno a farsi sentire in modo diffuso e
profondo: lo testimonia un documento del Pentagono di 15 anni fa.
Oggi non si nega più niente di tutto ciò; semplicemente
lo si ignora: lo fanno politici, media, giornalisti, intellettuali, solo
flebilmente contraddetti dal grido di quegli scienziati che vedono avvicinarsi
la notte per la vita umana sul nostro pianeta. Il problema al centro della
politica, in Europa come negli Stati Uniti, è ormai solo come fermare i
profughi ai confini esterni o interni degli Stati, come se i migranti si
materializzassero improvvisamente ai bordi del Mediterraneo o alla frontiera
con il Messico, senza preoccuparsi né del prima né del dopo.
Il “prima” è la devastazione delle terre, la rapina delle
risorse, le guerre e la vendita di armi che hanno costretto tanta gente, e
continueranno a costringerla, a fuggire. Il dopo, se un dopo ci potrà ancora
essere, non è certo “la crescita”, i pochi punti o decimali di punto di aumento
dei PIL, purchessia, che economisti, politici e banchieri si affannano a
inseguire come se fosse quella la chiave della salvezza per tutti (lo è solo, e
per poco tempo, per alcuni di loro).
Il vero “dopo”, se sapremo costruirlo, è quello che può
offrire terra, casa, lavoro a tutti, migranti e nativi, anche a chi si ritrova
sempre più ai margini di una società che non offre e non promette più niente,
se non rinunce e sacrifici; e proprio mentre fa balenare davanti agli occhi di
tutti i lussi sfrenati dei pochi che possono permetterseli.
Quel futuro per tutti c’é solo nella conversione
ecologica, nella cura della casa comune, nella salvaguardia della Terra; cioè
nell’abbandono in tempi rapidi di tutti i combustibili fossili, nella
riconversione delle industrie inquinanti e delle fabbriche di armi, nella
chiusura di tutti i cantieri delle “Grandi opere” che devastano il territorio e
non creano né occupazione né benessere, nell’arresto del saccheggio delle
risorse, nell’abbandono della cultura e dell’economia dello scarto, che
trasforma uomini e cose in rifiuti nel più breve tempo possibile, nella lotta
alla povertà e allo sfruttamento garantendo a tutti, migranti e nativi, un
reddito sufficiente a vivere, ma anche la possibilità di studiare, imparare e
trovare un lavoro che valorizzi le capacità di ciascuno.
Sono le cose che tutti (tranne chi vive dello
sfruttamento altrui) sognano, ma che sono riusciti a farci credere che siano
irraggiungibili perché il problema vero sarebbe la crescita che non porta più
nessun vantaggio se non a chi ha già tutto e vorrebbe avere sempre dì più. Sono
le uniche cose di cui dovrebbero parlarci i partiti politici, invece di
impegnarsi in una corsa cinica, crudele e mortifera a chi fa di più e meglio
per respingere i migranti che cercano di raggiungere l’Europa: pochissimi,
finora, rispetto ai tanti costretti ad abbandonare le proprie terre.
Così la politica è avvizzita e si è incrudelita; e invece
di capire, studiare e spiegare come tutti quegli obiettivi, e altri ancora, si
potrebbero ricondurre a un unico grande programma per rimettere in sesto il
nostro pianeta, articolandolo paese per paese, città per città, quartiere per
quartiere, azienda per azienda, campo per campo – e che senza l’arrivo di nuovi
migranti e senza dare loro la possibilità di tornare per risanare le terre e le
comunità che hanno lasciato – nessuno di quegli obiettivi potrà mai essere
raggiunto (e le nostre condizioni peggioreranno sempre più), ci si accanisce
lungo una spirale che ci sprofonda nella miseria.
Ma chi potrà fare quello che finora nessuno ha fatto?
Possiamo cominciare con le associazioni, i comitati, i gruppi impegnati sul
terreno della solidarietà e dell’accoglienza, che sono tanti ma non hanno voce
né peso, soffocati da un dibattito insulso che parla d’altro e si svolge
altrove. Di lì possono nascere e crescere le forze in grado di misurarsi con
ciò che il nostro tempo mette all’ordine del giorno.
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