Tempo di vacanze. E, a quanto
dicono le organizzazioni specializzate in materia, tempo di turismo sessuale,
anche, anzi soprattutto, con minorenni. Secondo gli ultimi dati di Ecpat Italia
Onlus (organizzazione contro lo sfruttamento sessuale dei bambini) i maschi
italiani sono al primo posto in questa squallida pratica, seguiti da tedeschi,
giapponesi, francesi, americani, inglesi e cinesi.
Nel folto gruppo, i pedofili sarebbero ‘solo’ il 5%. Tutti gli altri
sarebbero insospettabili padri di famiglia, vicini premurosi, professionisti
affermati in cerca di trasgressione e di emozioni diverse, e probabilmente
anche di occasioni di cui vantarsi con gli amici, com’è uso tra molti di noi.
Tra le mete preferite dai nostri connazionali, il Kenya si trova al primo
posto. Località turistiche molto conosciute nel nostro paese, quali Malindi,
Diani, Kilifi e perfino Mombasa, la seconda città del paese, sono frequentate
per le spiagge infinite e bianchissime, per il mare limpido e turchese, e per
la possibilità di pagare un dollaro o poco più per un rapporto sessuale con una
ragazzina, molto spesso al di sotto dei 14 anni. La prostituzione minorile è
una vera e propria piaga in tutta la zona costiera del Kenya, a causa della
grande povertà delle comunità che vi risiedono e della richiesta dei turisti
senza scrupoli che la frequentano.
Secondo gli ultimi dati disponibili - un rapporto dell’Unicef risalente al
2006 -, una ragazzina di età tra i 12 e i 18 anni su tre vive di
sfruttamento sessuale nella contea di Kwale, quella in cui si trovano la
maggior parte delle località turistiche della costa. E quella dove la gran
parte della gente vive ben al di sotto della soglia di povertà e la
disoccupazione giovanile è generalizzata. Si tratta di almeno 15.000 minorenni
coinvolte nel traffico.
I dati, certamente vecchi, sono però confermati dalle autorità locali.
Secondo, Athuman Jiti, un funzionario della contea di Kwale recentemente
intervistato dal settimanale The East African, la situazione
da allora, sarebbe addirittura peggiorata. “Nei nostri villaggi si può trovare
almeno una minorenne vittima di sfruttamento sessuale in circa il 90% delle
famiglie”.
Secondo le sue dichiarazioni, spesso sono i genitori stessi a spingere le
ragazzine alla prostituzione, in modo che possano procurare il cibo per se
stesse e anche per gli altri membri della famiglia. Il problema più grande,
prosegue il funzionario, è che la situazione è ormai percepita come normale.
Lo sfruttamento sessuale delle minorenni, spessissimo poco più che
bambine, è talmente diffuso e radicato da essere stato accettato socialmente.
Anche perché le donne, in queste comunità, sono molto vulnerabili, stante le
discriminazioni di cui sono giornalmente oggetto, la diffusa poligamia e la
pratica dei matrimoni precoci.
Secondo Dorcas Wanjiru, dell’associazione Coalition on Violence Against
Women, che opera nei villaggi costieri del Kenya, l’avvio alla prostituzione
delle minorenni avviene in modi diversi. “Spesso gli amici o gli stessi
familiari sono coinvolti nella loro iniziazione precoce; oppure sono avvicinate
da un uomo che dà loro attenzione e poche centinaia di scellini (pochi dollari)
dopo il sesso”.
Molte ragazzine sono coscienti dei rischi che corrono - violenze,
gravidanze malattie come l’hiv/aids, estremamente diffuso nel
paese - ma non hanno altra scelta se non quella di prostituirsi. “Alla fine,
prosegue Dorcas Wanjiru, tutti traggono vantaggio dal loro sfruttamento: le
famiglie qualche soldo; i night club e i bar, clienti; i taxisti corse per
portare i turisti dalle ragazzine o viceversa” e dunque nessuno ha interesse a
denunciare, o a lavorare per cambiare la situazione.
Certo i turisti di casa nostra trovano un contesto particolarmente
favorevole, ma questo non diminuisce le loro responsabilità, anzi, le aggrava.
Non si deve dimenticare, infatti, che il degrado è originato da un’economia
turistica spregiudicata che si è ben guardata dall’essere il volano per lo
sviluppo della zona ma ha anzi aggravato il suo sfruttamento, in tutti campi e
in tutti i modi possibili.
La situazione è ora ad un punto tale che, spesso, in molte località
turistiche keniane, ci si vergogna di essere riconosciuti come italiani e si
cammina con gli occhi bassi per non vedere scene pubbliche che, a casa nostra,
sarebbero inconcepibili.
da qui
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