Ieri ho condiviso una foto sul mio profilo
Instagram, e ho aggiunto una didascalia tristemente profetica: “Vivere, altro
che sopravvivere”. Perché poi tutti abbiamo saputo della lettera di
Michele, trentenne suicida, che non voleva più “continuare a sopravvivere”.
La mia foto ritrae due rocce enormi, granito del mio Monte Ortobene: l’ho scattata mentre rientravo a Nùoro, a casa, a piedi. Ci ho messo un’ora a salire, quaranta minuti a scendere. Una giornata spettacolare.
La mia foto ritrae due rocce enormi, granito del mio Monte Ortobene: l’ho scattata mentre rientravo a Nùoro, a casa, a piedi. Ci ho messo un’ora a salire, quaranta minuti a scendere. Una giornata spettacolare.
All’inizio è stato faticoso, perché avevo
finito da poco di fare colazione e perché Bobore, che era con me, ha cominciato
a camminare a una velocità che non mi aspettavo. Non che non riuscissi a
stargli dietro, ma non me l’aspettavo. Non ero pronto, ecco.
Il sentiero che abbiamo percorso è il
numero 101. Se è parte di un elenco di sentieri non so di quale si tratti, di
preciso. Neppure mi interessa. Mi piace pensare che Centouno sia un nome e non
un numero.
In venticinque minuti abbiamo raggiunto un
grande spiazzo in cui abbiamo abbandonato il sentiero per imboccarne un altro.
Siamo saliti al Monte per verificare che fosse sgombro, che nessun albero
caduto durante la bufera di qualche settimana fa ostruisse il passaggio.
Dovevamo verificare che ci fosse acqua nelle fontane e abbastanza legna per
accendere dei fuochi.
C’era l’acqua, fredda. E un sacco di legna.
Decine di migliaia di tonalità di verde, un cielo che pareva respirarci sopra
la testa, immacolato. Celeste come dev’essere e sgombro dalle nuvole. C’erano
dei corvi, vicini a noi ma nascosti, che gracchiavano forte. E quelle rocce
enormi che ho fotografato, certo. Fango, muschio, pozzanghere, freddo, foglie
morte, ghiandaie, prati, rovi, cinciallegre, tracce di volpi, alberi caduti –
nessuno ha ostruito nessun sentiero in maniera irreparabile. E aria,
moltissima, pulita. Pochissimo vento, ma determinato. La libertà si muove a
cavalcioni del vento, e se sai respirare ti riempie i polmoni.
Volevo scrivere un post già da ieri, per
raccontare la bellezza della mia libertà, la fatica che mi rende felice. Da
casa mia al cuore del bosco c’è un’ora a piedi, e il tragitto è mozzafiato.
Perché dovrei andarmene?
Già, perché la domanda retorica di questo
posto bistrattato e umiliato che chiamiamo Sardegna è l’opposta: perché dovrei
rimanere? E poi i corollari che rafforzano la tesi sottintesa: non c’è nulla,
non c’è lavoro, non ci sono possibilità, non c’è speranza, non c’è niente da
fare la sera.
Io rimango. Per non perdere la possibilità
di salire a piedi al Monte e sentirmi ancora vivo, rimango per i nonni che non
ho conosciuto e per la Storia che non mi hanno raccontato, rimango per i miei
figli e perché sappiano che non ci sono posti giusti e posti sbagliati, ci sono
solo le persone.
Io resto per provarci, perché vivere in mezzo al vuoto di opportunità coincide con il restare nella totalità delle possibilità, resto perché solo dove non c’è niente si può ancora costruire.
Io resto per provarci, perché vivere in mezzo al vuoto di opportunità coincide con il restare nella totalità delle possibilità, resto perché solo dove non c’è niente si può ancora costruire.
Io mi ostino a scegliere i sogni che voglio
per me, per il tempo della mia libertà, per non darla vinta a chi ride dei miei
studi, delle mie competenze, del mio percorso.
Questa è la mia resistenza, per la mia
terra e per la mia generazione: perché nessuno abbia mai abbastanza potere da
dirmi “questo è il lavoro che abbiamo scelto per te”, “questo è quello che
abbiamo da offrirti”. È la mia resistenza per il mio diritto, acquisito da
essere umano, sardo, nato libero, di inventarmi quello che voglio. È forse la
resistenza degli illusi, di chi si accontenta, di chi si è arreso e non vuole
provare a cambiare il mondo.
Ma io credo che solo chi cambia il pezzo di
mondo attorno a sé cambi realmente qualcosa.
A Settembre compirò trent’anni. Ci
arriverò, come accade da molti anni a questa parte, stanco.
Qualcuno ha avuto dal destino la
possibilità di essere ricco. A me Dio ha donato la fortuna di essere felice. E
se questo comporta stancarsi fino allo stremo e lottare, e resistere, io sono
fiero della mia resistenza.
È una rivoluzione gentile, e debole, ma determinata. Come il vento ieri al Monte.
È una rivoluzione gentile, e debole, ma determinata. Come il vento ieri al Monte.
Miche’, per te conservo una preghiera. Temo
che turberai le coscienze per poco tempo, e i giornali si dispiaceranno sempre
meno, e parleranno di nuovo degli arbitraggi, delle canzoni e dei vestiti dei
conduttori e di qualche scandalo che ne rimpiazzerà un altro, in tempo zero.
Ogni tanto una defibrillatina con la morte di qualche disperato, giusto per
stringere quel piccolo nodo alla gola che ci ricorda di essere umani.
Io, intanto, costruirò piccoli castelli con
solide fondamenta, quaggiù, alle pendici del mio Monte, nella mia isola al
centro del mare.
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