Radendo al suolo la
Palestina, un villaggio alla volta
Israele vuole che il
villaggio di Khan al-Ahmar sia raso al suolo per tagliare fuori Gerusalemme
dalla Cisgiordania.
E’ stato un po’ ironico
vedere un piccolo gruppo di coloni israeliani entrare nella grande tenda di
solidarietà posizionata all’ingresso di Khan al-Ahmar lo scorso mercoledì.
Erano venuti, hanno detto, per mostrare “solidarietà” ai beduini palestinesi
che protestavano contro un ordine di demolizione.
Dal 2017, l’intero villaggio
beduino è stato minacciato di demolizione dalle autorità israeliane. In
precedenza quel giorno, i soldati israeliani hanno attaccato gli abitanti del
villaggio e gli attivisti che avevano inscenato una protesta, ferendone 35.
Khan al-Ahmar, un villaggio
di 180 persone, si trova a circa 15 km a nord-est di Gerusalemme e rientra
nella cosiddetta area C della Cisgiordania occupata, come definita dagli
accordi di Oslo. L’area è stata inondata da oltre 300.000 israeliani che vivono
in 125 insediamenti illegali ed è sotto il controllo amministrativo israeliano.
Secondo gli Accordi di Oslo, le Autorità Palestinesi avrebbero dovuto subentrare
nella gestione dell’area, ma, ovviamente, Israele non ha mai permesso che ciò
accadesse.
Di conseguenza, è ora lo
stato israeliano che controlla i terreni nell’area C e che decide sui permessi
di costruzione. Khan al-Ahmar esisteva prima che lo stato di Israele fosse
creato nel 1948. Negli anni ’50, i beduini palestinesi espulsi dal deserto del
Negev dall’esercito israeliano si trasferirono in Cisgiordania e si insediarono
nel villaggio, espandendolo.
Lo stato israeliano ha ora
deciso che tutti i suoi edifici sono illegali e devono essere demoliti. Khan
al-Ahmar si trova tra due insediamenti illegali israeliani in espansione – Kfar
Adumim (fondato nel 1979) e Maale Adumim (fondato nel 1975) – e sul cosiddetto
“corridoio E1” tra Gerusalemme Est e la Cisgiordania, che lo stato israeliano
vorrebbe controllare per tagliare l’accesso palestinese alla città.
Sono stati i coloni di
questi due insediamenti che si sono presentati a Khan al-Ahmar mercoledì per
mostrare “supporto” alla protesta, come se la loro esistenza non avesse nulla a
che fare con il problema che i residenti dei villaggi palestinesi stavano
affrontando.
La prospettiva di
sfollamento e miseria ha fatto sì che il popolo di Khan al-Ahmar accetti
l’aiuto di chiunque lo offra. Se qualcuno può impedire ai bulldozer israeliani
di radere al suolo le loro case, allora lasciatelo venire.
Il loro villaggio è
essenzialmente un insieme di case sparse su poche colline che circondano
un’autostrada che collega Gerusalemme est con gli insediamenti israeliani nella
West Bank. Non ha strade asfaltate, nessun sistema fognario, niente elettricità
e fino a poco tempo fa non aveva una scuola. Alcuni anni fa, la comunità
locale, con il supporto internazionale, costruì una scuola con fango e gomme.
A est e a sud di Khan al-Ahmar,
ci sono i due insediamenti israeliani che non assomigliano affatto a tutto
questo. I coloni israeliani hanno raccolto i frutti dell’occupazione, erigendo
insediamenti prosperi forniti di tutti i servizi e comodità. Sembrano città,
sempre ben illuminate e pulite, con acque reflue e acqua corrente ben
funzionanti; hanno diverse scuole, cliniche e ovviamente la sicurezza fornita
dall’esercito israeliano.
Ai residenti di Khan
al-Ahmar è stato negato l’accesso ad ognuno dei servizi di cui godono i loro
vicini israeliani. I loro figli non possono andare nelle loro scuole, e prima
della costruzione della scuola di fango, dovevano camminare per diversi
chilometri per ottenere un’istruzione.
Da quando il villaggio ha
iniziato a resistere ai tentativi da parte dello stato israeliano di spingerli
fuori dalla loro terra, è diventata una comunità pesantemente sorvegliata.
Mercoledì scorso, uomini e
donne sono stati picchiati dai soldati israeliani di fronte ai loro bambini.
Il dodicenne Jibril Jahalin
ha cercato di raccontare la violenza, con la sua voce che si spezzava dietro
una risata che era più forzata che genuina. “Hanno continuato a colpire tutti”,
mi ha detto. Più tardi quella notte, suo cugino – Mohammad Jahalin, di 14 anni,
è rimasto a preparare il tè per gli attivisti che erano venuti a sostenere la
comunità e si erano fermati durante la notte.
Mentre faceva bollire
l’acqua, mi ha detto: “Sai, cerco di non avere paura, ma non so cosa ci
succederà. Dove andremo, cosa faremo? Ho paura”. E come Jibril, anche lui ha
cercato di sorridere della sua paura.
Khan al-Ahmar non è l’unica
comunità beduina che sta affrontando la decimazione dallo stato israeliano. Il
modo di vivere e le tradizioni dei beduini sono gravemente minacciati. Dopo la
colonizzazione e la militarizzazione delle terre palestinesi, che mise fine
alla libertà di movimento dei beduini e dei palestinesi in generale, le
comunità beduine palestinesi furono costrette a stabilirsi e oggi affrontano
una sistematica campagna di espulsione.
Tra il 2008 e il 2014, circa
6.000 beduini sono stati sfollati con la forza nella zona C dopo che lo stato
israeliano ha raso al suolo le loro case. Proprio l’anno scorso, il villaggio
beduino di al-Araqib è stato distrutto per la 119° volta dalle forze
israeliane, anche se i suoi abitanti hanno la cittadinanza israeliana.
Dopo l’attacco a Khan
al-Ahmar da parte dell’esercito israeliano la scorsa settimana, un tribunale
israeliano ha posto un congelamento temporaneo sull’ordine di demolizione per
“indagare” sulla proprietà della terra. Ma le corti israeliane si sono
dimostrate molte volte negli ultimi decenni a lavorare per preservare il
progetto coloniale israeliano.
La storia di Khan al-Ahmar è
solo un esempio degli sfollamenti forzati sistemici e illegali e della sostituzione
di palestinesi con israeliani in Palestina. I palestinesi sono stati
rimpiazzati da una varietà di politiche israeliane calcolate.
A Gerusalemme, i residenti
devono affrontare la revoca dei loro documenti di identità e residenza a
Gerusalemme se vengono ritenuti “sleali” allo stato di Israele. In
Cisgiordania, solo nel 2016, Israele ha utilizzato pratiche discriminatorie per
allontanare 1.283 palestinesi dalle loro case.
A Gaza, l’assedio israeliano
di 11 anni ha spinto molti palestinesi a cercare una vita migliore al di fuori
della striscia – alcuni a saltare su barche con rifugiati siriani che tentano
di attraversare il Mediterraneo verso l’ Europa.
Da quando Trump è entrato in
carica, un incoraggiato Israele ha approvato più di 14.000 unità di insediamenti
supplementari in Cisgiordania.
Solo poche ore dopo le
violenze di mercoledì, il dodicenne Jibril ha tenuto alta la sua bandiera
palestinese e mi ha detto: “Siamo forti, combatteremo [le forze israeliane]”.
Poi ha guardato a terra e ha aggiunto, “ma in realtà, voglio solo giocare.”
I palestinesi hanno il
diritto di vivere in dignità e giustizia. I bambini palestinesi hanno il
diritto ad una normale infanzia. E continueremo a lottare in modo che forse la
prossima generazione di bambini palestinesi non debba preoccuparsi di perdere
le loro case e di non avere istruzione, così non dovranno sventolare le
bandiere durante le proteste, inalare gas, essere picchiati e imprigionati
sotto una spietata occupazione.
Continueremo a stare con gli
abitanti di Khan al-Ahmar perché la loro resistenza è parte della più grande
lotta contro l’intera struttura del brutale colonialismo israeliano.
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