sabato 21 luglio 2018

ISRAELE VUOLE CHE IL VILLAGGIO DI KHAN AL-AHMAR SIA RASO AL SUOLO PER TAGLIARE FUORI GERUSALEMME DALLA CISGIORDANIA - Mariam Barghouti




Radendo al suolo la Palestina, un villaggio alla volta
Israele vuole che il villaggio di Khan al-Ahmar sia raso al suolo per tagliare fuori Gerusalemme dalla Cisgiordania.


E’ stato un po’ ironico vedere un piccolo gruppo di coloni israeliani entrare nella grande tenda di solidarietà posizionata all’ingresso di Khan al-Ahmar lo scorso mercoledì. Erano venuti, hanno detto, per mostrare “solidarietà” ai beduini palestinesi che protestavano contro un ordine di demolizione.
Dal 2017, l’intero villaggio beduino è stato minacciato di demolizione dalle autorità israeliane. In precedenza quel giorno, i soldati israeliani hanno attaccato gli abitanti del villaggio e gli attivisti che avevano inscenato una protesta, ferendone 35.
Khan al-Ahmar, un villaggio di 180 persone, si trova a circa 15 km a nord-est di Gerusalemme e rientra nella cosiddetta area C della Cisgiordania occupata, come definita dagli accordi di Oslo. L’area è stata inondata da oltre 300.000 israeliani che vivono in 125 insediamenti illegali ed è sotto il controllo amministrativo israeliano. Secondo gli Accordi di Oslo, le Autorità Palestinesi avrebbero dovuto subentrare nella gestione dell’area, ma, ovviamente, Israele non ha mai permesso che ciò accadesse.
Di conseguenza, è ora lo stato israeliano che controlla i terreni nell’area C e che decide sui permessi di costruzione. Khan al-Ahmar esisteva prima che lo stato di Israele fosse creato nel 1948. Negli anni ’50, i beduini palestinesi espulsi dal deserto del Negev dall’esercito israeliano si trasferirono in Cisgiordania e si insediarono nel villaggio, espandendolo.
Lo stato israeliano ha ora deciso che tutti i suoi edifici sono illegali e devono essere demoliti. Khan al-Ahmar si trova tra due insediamenti illegali israeliani in espansione – Kfar Adumim (fondato nel 1979) e Maale Adumim (fondato nel 1975) – e sul cosiddetto “corridoio E1” tra Gerusalemme Est e la Cisgiordania, che lo stato israeliano vorrebbe controllare per tagliare l’accesso palestinese alla città.
Sono stati i coloni di questi due insediamenti che si sono presentati a Khan al-Ahmar mercoledì per mostrare “supporto” alla protesta, come se la loro esistenza non avesse nulla a che fare con il problema che i residenti dei villaggi palestinesi stavano affrontando.
La prospettiva di sfollamento e miseria ha fatto sì che il popolo di Khan al-Ahmar accetti l’aiuto di chiunque lo offra. Se qualcuno può impedire ai bulldozer israeliani di radere al suolo le loro case, allora lasciatelo venire.
Il loro villaggio è essenzialmente un insieme di case sparse su poche colline che circondano un’autostrada che collega Gerusalemme est con gli insediamenti israeliani nella West Bank. Non ha strade asfaltate, nessun sistema fognario, niente elettricità e fino a poco tempo fa non aveva una scuola. Alcuni anni fa, la comunità locale, con il supporto internazionale, costruì una scuola con fango e gomme.
A est e a sud di Khan al-Ahmar, ci sono i due insediamenti israeliani che non assomigliano affatto a tutto questo. I coloni israeliani hanno raccolto i frutti dell’occupazione, erigendo insediamenti prosperi forniti di tutti i servizi e comodità. Sembrano città, sempre ben illuminate e pulite, con acque reflue e acqua corrente ben funzionanti; hanno diverse scuole, cliniche e ovviamente la sicurezza fornita dall’esercito israeliano.
Ai residenti di Khan al-Ahmar è stato negato l’accesso ad ognuno dei servizi di cui godono i loro vicini israeliani. I loro figli non possono andare nelle loro scuole, e prima della costruzione della scuola di fango, dovevano camminare per diversi chilometri per ottenere un’istruzione.
Da quando il villaggio ha iniziato a resistere ai tentativi da parte dello stato israeliano di spingerli fuori dalla loro terra, è diventata una comunità pesantemente sorvegliata.
Mercoledì scorso, uomini e donne sono stati picchiati dai soldati israeliani di fronte ai loro bambini.
Il dodicenne Jibril Jahalin ha cercato di raccontare la violenza, con la sua voce che si spezzava dietro una risata che era più forzata che genuina. “Hanno continuato a colpire tutti”, mi ha detto. Più tardi quella notte, suo cugino – Mohammad Jahalin, di 14 anni, è rimasto a preparare il tè per gli attivisti che erano venuti a sostenere la comunità e si erano fermati durante la notte.
Mentre faceva bollire l’acqua, mi ha detto: “Sai, cerco di non avere paura, ma non so cosa ci succederà. Dove andremo, cosa faremo? Ho paura”. E come Jibril, anche lui ha cercato di sorridere della sua paura.
Khan al-Ahmar non è l’unica comunità beduina che sta affrontando la decimazione dallo stato israeliano. Il modo di vivere e le tradizioni dei beduini sono gravemente minacciati. Dopo la colonizzazione e la militarizzazione delle terre palestinesi, che mise fine alla libertà di movimento dei beduini e dei palestinesi in generale, le comunità beduine palestinesi furono costrette a stabilirsi e oggi affrontano una sistematica campagna di espulsione.
Tra il 2008 e il 2014, circa 6.000 beduini sono stati sfollati con la forza nella zona C dopo che lo stato israeliano ha raso al suolo le loro case. Proprio l’anno scorso, il villaggio beduino di al-Araqib è stato distrutto per la 119° volta dalle forze israeliane, anche se i suoi abitanti hanno la cittadinanza israeliana.
Dopo l’attacco a Khan al-Ahmar da parte dell’esercito israeliano la scorsa settimana, un tribunale israeliano ha posto un congelamento temporaneo sull’ordine di demolizione per “indagare” sulla proprietà della terra. Ma le corti israeliane si sono dimostrate molte volte negli ultimi decenni a lavorare per preservare il progetto coloniale israeliano.
La storia di Khan al-Ahmar è solo un esempio degli sfollamenti forzati sistemici e illegali e della sostituzione di palestinesi con israeliani in Palestina. I palestinesi sono stati rimpiazzati da una varietà di politiche israeliane calcolate.
A Gerusalemme, i residenti devono affrontare la revoca dei loro documenti di identità e residenza a Gerusalemme se vengono ritenuti “sleali” allo stato di Israele. In Cisgiordania, solo nel 2016, Israele ha utilizzato pratiche discriminatorie per allontanare 1.283 palestinesi dalle loro case.
A Gaza, l’assedio israeliano di 11 anni ha spinto molti palestinesi a cercare una vita migliore al di fuori della striscia – alcuni a saltare su barche con rifugiati siriani che tentano di attraversare il Mediterraneo verso l’ Europa.
Da quando Trump è entrato in carica, un incoraggiato Israele ha approvato più di 14.000 unità di insediamenti supplementari in Cisgiordania.
Solo poche ore dopo le violenze di mercoledì, il dodicenne Jibril ha tenuto alta la sua bandiera palestinese e mi ha detto: “Siamo forti, combatteremo [le forze israeliane]”. Poi ha guardato a terra e ha aggiunto, “ma in realtà, voglio solo giocare.”
I palestinesi hanno il diritto di vivere in dignità e giustizia. I bambini palestinesi hanno il diritto ad una normale infanzia. E continueremo a lottare in modo che forse la prossima generazione di bambini palestinesi non debba preoccuparsi di perdere le loro case e di non avere istruzione, così non dovranno sventolare le bandiere durante le proteste, inalare gas, essere picchiati e imprigionati sotto una spietata occupazione.
Continueremo a stare con gli abitanti di Khan al-Ahmar perché la loro resistenza è parte della più grande lotta contro l’intera struttura del brutale colonialismo israeliano.

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