Tra il 28 settembre e l’8 ottobre 1937 si consumò il massacro degli haitiani in Repubblica Dominicana ordinato dalla dittatura di Rafael Leónidas Trujillo in un’operazione di pulizia etnica considerata da molti storici come un vero e proprio genocidio.
Pesíl e perejil sono
due parole utilizzate per indicare il termine prezzemolo. Il primo viene
utilizzato in lingua francese, il secondo in spagnolo ed è proprio basandosi su
questa distinzione che il dittatore dominicano Rafael Leónidas Trujillo si rese
responsabile, tra il 28 settembre e l’8 ottobre 1937, di una vera propria
pulizia etnica ai danni della popolazione haitiana residente nel suo paese.
Il cosiddetto “massacro del
prezzemolo”, ancora sconosciuto ai più, provocò tra le 20.000 e le 30.000
vittime. L’ordine di uccidere fu dato dopo che ai cittadini haitiani veniva
presentato dall’esercito dominicano un mazzo di prezzemolo che,
inevitabilmente, gran parte di loro, riconosceva utilizzando il termine
francofono. In questo modo l’esercito di Trujillo riconosceva facilmente gli
haitiani poiché non conoscevano bene la lingua spagnola preferendo utilizzare
termini francesi con i quali avevano maggior dimestichezza e questo rappresentò
per loro una automatica condanna a morte.
Il “massacro del prezzemolo”,
ritenuto da molti storici un vero e proprio genocidio perpetrato ai danni della
popolazione haitiana, fu compiuto dai militari dominicani con le armi fornite
dagli Usa e a ben poco servì, successivamente, il tentativo di Franklin
Roosvelt di pulirsi la coscienza offrendo al regime trujillista un prestito da
750.000 dollari per pagare gli indennizzi alle famiglie degli uccisi che
peraltro Trujillo distribuì solo in minima parte: solo 2 centesimi di dollaro a
ogni famiglia sopravvissuta.
Al massacro degli haitiani
parteciparono non solo gli uomini dell’esercito, ma anche delinquenti comuni
fatti uscire dalle carceri e utilizzati per il lavoro sporco, lo sterminio di
donne, bambini e anziani i cui corpi furono nascosti in fosse comuni o gettati
nel mare e nei fiumi nell’ambito della politica di blanqueamiento imposta
da Trujillo che, non contento della pulizia etnica e dell’espulsione degli
haitiani sopravvissuti dal suo paese, si adoperò anche per promuovere l’arrivo
nella Repubblica Dominicana di migranti europei, ovviamente di pelle bianca.
La mattanza degli haitiani si
verificò per via dell’arrivo di molti di loro nella zona di confine tra
Repubblica Dominicana e Haiti e seguito delle lotte per conquistare
l’indipendenza rispettivamente da Spagna e Francia e alla definizione assai
incerta della frontiera tra i due paesi nonostante il trattato siglato da
entrambi gli stati nel 1929.
A seguito del massacro, la
dittatura di Trujillo fece di tutto per nascondere le proprie responsabilità e
far credere ai dominicani che quanto accaduto potesse essere derubricato a
sconti di scarso rilievo tra i campesinos residenti sul confine tra
i due paesi.
Trujillo, che rimase al potere
dal 1930 al 1961, utilizzò gli haitiani come capro espiatorio a causa del
prolungarsi della crisi economica del 1929, quando quest’ultimi cercarono di
oltrepassare la frontiera per iniziare le loro attività di commercio in
Repubblica Dominicana e lavorare nelle piantagioni di zucchero.
Inoltre, lo sterminio degli
haitiani fu fortemente voluto da Trujillo per eliminare dall’isola ogni traccia
della cultura haitiana senza alcun interesse, da parte del dittatore, di far
integrare la cultura haitiana con quella dominicana, in realtà complementari.
La cosiddetta desnacionalización haitiana finì per
coinvolgere gli stessi dominicani, a loro volta discendenti, in alcuni casi,
degli stessi haitiani, approfittando anche del silenzio complice degli Stati
Uniti.
Ancora oggi, la vita degli
haitiani in Repubblica Dominicana, continua ad essere agra, vittime
dell’estremo sfruttamento nelle piantagioni di canna da zucchero, dell’estrema
povertà e delle condizioni di degrado nei bateys dove vivono senza alcun
diritto.
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