Con una
piccola variazione, il proverbio inglese: you are what you eat (tu sei quello
che mangi), diventa: You are who you meet (tu sei quelli/e che
incontri). In italiano l’assonanza non rende e quindi mi rassegno ad usare
l’inglese. Tra le persone che ho incontrato, alcune fugacemente, altre con
qualche profondità, non posso non pensare a Jane Goodall, una
zoologa molto speciale, che ha studiato gli animali più simili a noi.
Con
gli scimpanzé condividiamo gran parte del patrimonio genetico
(il 98%) e discendiamo da un antenato comune relativamente recente:
se discendessimo da loro, sarebbero i padri (e le madri) e noi i figli, mentre
la discendenza comune ci dice che siamo fratelli: deriviamo dagli stessi
“”genitori”. Capire gli scimpanzé, quindi, ci aiuta a capire noi stessi,
riportandoci alle origini: Goodall più di ogni altro ci ha fatto conoscere gli
scimpanzè.
Jane ci ha
lasciato a 91 anni, ma non possiamo essere tristi per lei. Ha fatto
la vita che ha desiderato fin da bambina, e l’ha vissuta in attività fino alla
fine, sopraggiunta durante un ciclo di conferenze. Jane aveva la biofilia, la
naturale propensione verso gli esseri viventi che hanno tutti i giovani umani.
A scuola cercano, di solito riuscendoci, di estirparla, anche se ne restano
tracce nell’amore che molti umani nutrono per gattini e cagnolini. Jane non si
fermò a gattini e cagnolini: andò a Gombe, in Tanzania, e
si innamorò degli scimpanzé.
Non era laureata, ma nel 1965 conseguì il dottorato in Etologia a Cambridge, dove fu ammessa in base alla sua esperienza sul campo, pur non avendo titoli formali accademici. Scrisse molti articoli su riviste di divulgazione e libri, ma in seguito pubblicò anche articoli scientifici su riviste prestigiose che le permisero di essere universalmente riconosciuta come l’esperta mondiale degli scimpanzé. Fondò il Jane Goodall Institute nel 1977, per proteggere gli scimpanzé e promuovere una convivenza sostenibile tra esseri umani e ambiente. Nel 1991 diede vita al programma Roots & Shoots, per coinvolgere giovani di tutto il mondo nel prendersi cura della Terra, non come spettatori, ma come protagonisti attivi.
Il suo
contributo alla conoscenza dei nostri fratelli scimpanzé, mirò poi alla
creazione di una consapevolezza della loro importanza biologica e storica,
visto che condividiamo con loro, e con i bonobo, gli scimpanzé nani, gran parte
della nostra storia evolutiva. Jane non si accontentò di conoscere, decise
anche di agire, e puntò sui giovani per creare una “pace” tra
la nostra specie e il resto della natura. Una volta cresciuti, a fronte
del condizionamento dell’educazione corrente, gli umani diventano
insensibili alla natura, la considerano al loro servizio e non si curano di
tutelarla. La biofilia va coltivata.
Vista la
rilevanza dei suoi contributi, secondo me avrebbe meritato il premio
Nobel per la Medicina e Biologia, e anche quello per la Pace.
Il Jane
Goodall Institute ha una branca anche in Italia, presieduta da Daniela De
Donno, collaboratrice di Jane fin dagli anni Novanta, ed è stato grazie a
Daniela che ho incontrato Jane. La prima cosa che mi stupì fu che poteva
passare dal nostro linguaggio a quello degli scimpanzé, lo “scimpanzese”, per
spiegarne il significato. Noi “scienziati” professionisti non
approviamo legami emotivi con l’oggetto dei nostri studi. Per Jane, invece, gli
scimpanzé sono persone come noi.
Non fece
esperimenti, Jane: osservò. Nel 1960, scoprì che gli scimpanzé
usano ramoscelli per estrarre termiti da un termitaio, utilizzando uno “strumento” per
procurarsi cibo: l’uso di strumenti non è una nostra prerogativa. Questa
scoperta fu pubblicata su Nature e fece scalpore, aprendo un
dibattito duraturo nella comunità scientifica. Nel nostro immaginario, gli
scimpanzé mangiano banane, come Cita, lo scimpanzé compagno di Tarzan. Tanto
che Umberto Veronesi dichiarò di essere vegetariano perché
“l’animale a noi più vicino, lo scimpanzé, è vegetariano”: era un luminare
dell’Oncologia, ma non della biologia degli scimpanzè. Goodall, infatti,
osservò che gli scimpanzé cacciano altre scimmie e altri piccoli animali: non
sono esclusivamente vegetariani. Sono onnivori proprio come noi. E come noi,
purtroppo, hanno un comportamento bellico.
Durante le sue osservazioni a Gombe, Goodall documentò conflitti prolungati tra comunità di scimpanzé, incluse incursioni, uccisioni e divisioni, mostrando che la guerra sociale non è esclusiva dell’uomo. In alcuni casi documentati, alcuni scimpanzé attaccarono orfani o infanti di altri gruppi, e in casi estremi osservò episodi cannibalistici. Proprio come noi, gli scimpanzé hanno personalità individuali e Goodall li trattò come individui: diede loro nomi, osservò differenze individuali nel carattere, temperamento e preferenze, con individui timidi e altri dominanti. Le sue osservazioni mostrarono che gli scimpanzé hanno strutture sociali complesse.
Jane Goodall
ha perfezionato la scoperta di Darwin sulla nostra origine animale (e quindi
non divina) e i suoi risultati ci insegnano una dote per noi rara: l’umiltà. Non
siamo fatti a immagine e somiglianza di una divinità, siamo molto simili ai
nostri fratelli scimpanzè, abbiamo sviluppato tecnologie più efficienti,
soprattutto nella letalità, ma restiamo pur sempre animali. Come diceva
Bracardi: l’uomo è una bestia! e nessuno più di Jane ci ha
anche insegnato che non solo siamo bestie ma che ci sono altre bestie molto
umane.
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