Diverse attività commerciali tra Matera, Monopoli e Locorotondo sono state bersagliate su Google con pareri negativi e accuse infondate. Dietro l'esercito di account ci sarebbe Naor Meningher, podcaster che ride se si parla di sofferenze a Gaza e che ha lavorato alle campagne elettorali di Netanyahu
Sarà che i Sassi e la Murgia ricordano un
po’ i paesaggi della Palestina storica, sarà che per chi sostiene l’occupazione
e la cancellazione di un popolo è tutto lecito e l’impunità travalica i confini
nazionali. Ma da qualche giorno diverse attività commerciali tra Puglia e
Basilicata, in particolare a Matera, Monopoli e Locorotondo, sono
sommerse da commenti negativi su Google Maps. I profili di parrucchieri,
birrerie, ristoranti, musei e negozi di abbigliamento sono pieni di accuse
infondate e recensioni da una stella riconducibili ad account israeliani,
persone che, se esistono, evidentemente non sono mai neanche entrate in quei
negozi.
A guidare l’esercito
virtuale sarebbe Naor Meningher, podcaster e filmmaker israeliano.
È co-host di “Two nice Jewish boys”, (due bravi ragazzi ebrei), un podcast dal
titolo quantomeno eufemistico che negli scorsi mesi ha fatto parlare di
sé per aver mostrato il lato distopico della società israeliana: “Se avessi un pulsante
per distruggere Gaza, e uccidere ogni essere vivente a Gaza, lo premerei
all’istante, la maggior parte degli israeliani farebbe lo stesso. Non stiamo
promuovendo l’uccisione di bambini, ma perdonateci se non ce ne frega niente se
nella Striscia muoiono tutti”.
Oltre a ridere ascoltando
queste atrocità, Meningher nel suo sito web si definisce uno “specialista in campagne
digitali con una comprovata esperienza in campagne politiche di successo. Tra
il 2019 e il 2022 ho lavorato a cinque campagne elettorali del Primo Ministro
Netanyahu, occupandomi della direzione dei progetti digitali, video e chatbot. Mi occupavo anche della
gestione di tutti i canali digitali del Primo Ministro. Tra i miei principali
progetti durante le campagne elettorali c’era la pagina Facebook di
Netanyahu". Di lavoro, insomma, Meningher è organo di propaganda del
premier israeliano, il megafono di una persona su cui pende un mandato
d’arresto internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Una mansione
che deve avergli procurato un certo livello di stress durante i due anni di
genocidio. Così, seguendo l’esempio dei soldati dell'Idf che si sono rilassati
in Costa Smeralda, ha scelto l’Italia per una vacanza. Ma il lavoro, si sa, ti
segue ovunque. A Matera, Meningher si imbatte in diverse attività commerciali
che in segno di solidarietà al popolo palestinese hanno affisso all’entrata una
bandiera palestinese. Sono parte di un corpo sociale sempre più attivo ed
eterogeneo, lo stesso che ha popolato le piazze di tutta Italia per chiedere la
fine del genocidio a Gaza e di tagliare i rapporti con il governo di Tel Aviv.
La stessa marea ha
travolto anche Naor Meningher, che ha subito deciso di prendere contromisure:
“Un appello importante per gli israeliani che viaggiano in Italia per le
vacanze!!!”, ha scritto in un post su un gruppo Facebook israeliano in cui
turisti si scambiano dritte e consigli sui viaggi a Roma e in Italia. “Avrete
notato che in quasi tutte le città ci sono aziende che scelgono di appendere
orgogliosamente la bandiera di Hamas”. Quella che lui chiama bandiera di Hamas
è in realtà quella palestinese, ma chi lo fa notare nei commenti viene
insultato. “Uniamo tutti le forze”, continua “per sapere come evitare queste
attività e avvisiamo gli altri. Scatta una foto. Entra su Google Maps e lascia
una recensione in ebraico, dicendo che questa azienda supporta Hamas. E
ovviamente non entrare in queste attività e non sostenerle! Mostriamogli che ci
sono conseguenze per le loro azioni! E non restiamo in silenzio”. Nel post ci
sono anche geolocalizzazioni e foto di esercizi commerciali di Matera.
Tra questi c’è il Tam,
museo d’arte contemporanea che da mesi ha all’ingresso una bandiera
palestinese. “Per ragioni statistiche teniamo traccia della provenienza dei
nostri visitatori e negli ultimi anni non abbiamo mai registrato nessuno da
Israele. È quasi certo che nessuno degli autori delle recensioni negative sia
stato davvero qui”, spiega uno dei fondatori del museo. “In alcune veniamo
chiamati terroristi, in altre si lamentano dei prezzi (non essendo mai neanche
entrati). Il nostro museo nasce come luogo di confronto, aperto, civile,
attento e solidale con gli ultimi e riteniamo giusto rendere palese, ancor
prima di entrare, da che parte stiamo: chi non è d’accordo con questa nostra
posizione non è certamente obbligato a entrare”, aggiunge. L’ondata di odio si
è riversata anche nei commenti al post su Instagram in cui il museo ha ribadito
la propria posizione: “Terrorismo, stupro, presa di ostaggi, uccisione di bambini e anziani,
esecuzione di persone a un festival musicale. QUESTO è ciò che tu e il tuo
grazioso piccolo villaggio state promuovendo. E questo è ciò che avete deciso
di fare: invece di chiedere la pace (come farebbe una persona decente), date la
colpa a un altro ebreo per avervi accusato di sostenere il terrorismo. Dovreste
essere completamente privati dei fondi”, ha scritto un utente.
Lo stesso trattamento è
toccato a un parrucchiere, sempre di Matera, definito “non professionale”. Un
negozio di abbigliamento che casualmente proprio negli stessi giorni avrebbe
avuto clienti israeliani che non hanno gradito la qualità dei capi in vendita.
Un bistrot che fa piatti tipici è diventato un “sostenitore di Hamas” e un
birrificio è stato preso di mira con un pretesto: “Dopo solo due drink ho avuto
mal di stomaco e la mia esperienza è stata completamente rovinata”. Tutto ciò
che accumuna questi locali è che sono nel centro storico di Matera e hanno
esposto bandiere o scritte in favore della causa palestinese. Una lista di
proscrizione che non si è fermata alla Lucania. Anche diversi ristoranti di
Monopoli e Locorotondo, in Puglia, hanno subito lo stesso
"bombardamento", con le stesse parole copiate e incollate e le stesse
modalità, e dagli stessi utenti. “Una grande bandiera nazionale inventata
all’ingresso del ristorante”, “disgustoso, ho avuto forti dolori allo stomaco
dopo aver mangiato lì”, “bassa qualità”, sono i commenti che accompagnano
recensioni da una stella per posti che hanno medie ben sopra le quattro stelle
su cinque. Le associazioni locali, tra cui il Comitato per la Pace Matera, si
sono già attivate per rispondere con una contro-ondata di recensioni positive,
in solidarietà a chi è stato vittima della campagna denigratoria.
È probabile però che diversi altri esercizi finiscano nella rete tessuta dal propagandista Naor Meningher. Il gruppo su cui ha invitato a attaccare chiunque in Italia renda visibili al pubblico simboli palestinesi conta 60mila iscritti e, malgrado l’intento originario sia quello di “aiutare, consigliare, orientare, dare recensioni e avvertire i viaggiatori israeliani su tutto ciò che riguarda Roma e la zona circostante”, gli utenti hanno risposto in fretta alla chiamata alle armi. D’altronde, quello di inondare il web con contenuti favorevoli alla propaganda israeliana è un diktat dello stesso Netanyahu: “Le armi cambiano nel tempo, le più importanti oggi sono i social media”, ha detto durante un incontro tenutosi lo scorso settembre con un gruppo di influencer americani. “L’acquisto più importante in corso, ad esempio, è quello di TikTok. Spero che vada in porto, perché può avere conseguenze significative”. Una strategia che Meningher, da responsabile delle campagne social del premier, doveva conoscere bene.
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