Per effetto dell’attività scellerata dell’uomo che causa la deforestazione si sta allargando sempre di più un altro spazio di contatto tra uomo e animali che potrebbe dare origine a nuove pandemie. Non ci sono più scuse: fermiamo la deforestazione!
Oltre allo
spazio dei “mercati umidi” (wet markets) dove
si trafficano anche specie protette - da dove i virus di origine
animale possono passare all’uomo generando pericolose pandemie
-anche l’attività indiscriminata e scellerata dell'uomo che causa la deforestazione
fornisce un altro spazio (e altre occasioni) nel quale esseri umani e altre
specie animali possono entrare a contatto con altri
animali, persino con specie ancora sconosciute alla comunità scientifica.
Pertanto, per prevenire future pandemie sarà cruciale ridurre al massimo gli spazi
e le occasioni di contatto con specie animali che potrebbero trasmettre
pericolosi virus di origine animale.
Di fatto, gli
esperti cinesi e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) - che
recentemente hanno effettuato accurate indagini a Wuhan [1], la capitale della provincia
dello Hubei al centro del paese asiatico dove si è registrato
il primo focolaio pandemico - hanno stabilito che il
virus Sars-Cov-2 sarebbe di origine animale. Si tratterebbe
dunque di una infezione di tipo zoonotico – che
avendo contagiato l’essere umano attraverso una specie animale “intermedia” si
è propagato e ha dato vita alla pandemia conosciua come COVID-19, che da
dicembre 2019 ancora stiamo vivendo, e che ha causato nel mondo oltre
due milioni e trecentomila decessi dei quali 93.000 circa (4%) in
Italia.
L’ipotesi che si
il virus Sars-Cov-2 fosse una malattia zoonotica che ha contagiato l’essere
umano per aver consumato o anche solo per essere stato in contatto con alimenti
contaminati – per esempio una specie “intermedia” (host)
ammalata che entrata in contatto con la specie animale che è “contenitore” (reservoir)
del virus, ovvero che ha in se gli anticorpi del virus stesso, e che può
infettare altri animali che possono a loro volta entrare in contatto con
l’essere umano contagiandolo [2] – non è del
tutto una sorpresa.
Infatti, a metà
circa dello scorso anno la comunità scientifica e di intelligence aveva
ipotizzato che con buona probabilità il contagio tra l’uomo e la specie animale
“intermedia” fosse avvenuto in uno dei così detti “mercati umidi” di
Wuhan, nei quali animali morti e vivi stipati in condizioni
vergognose (anche specie esotiche in via di estinzione e protette vendute
sottobanco) sono commercializzati tra bancarelle ammassate in
spazi costretti e affollati dove le norme sanitarie e fitosanitarie sono poco
osservate e monitorate. Nei “mercati umidi” così popolari nei paesi del
sud est asiatico, gli esseri umani, avventori che comprano o semplicemente
visitano il mercato, entrano in stretto contatto con questi animali,
respirando, oppure mangiandone le carni.
Di
conseguenza, i “mercati umidi” sono stati
presi di mira in Cina e in altri paesi asiatici e in alcuni casi si è giunti a
considerane la chiusura totale, anche se con scarsi risultati.
La pratica è molto radicata e spesso è legata a usi e costumi espressione dell’
identità culturale, oltre al fatto che dal commercio che avviene in questi
mercati dipende buona parte dell’economia formale e informale di questi
paesi.
Nonostante la
necessità del rispetto di norme sanitarie e fitosanitarie e di rispetto per la
vita degli animali in vendita nei “mercati umidi” si possa considerare
un’esigenza imprescindibile, la chiusura totale degli stessi potrebbe non
essere una soluzione per prevenire future pandemie.
Sebbene evitare
che in uno stesso spazio convergano ed entrino in contatto diretto (o per
ingestione delle carni) con l’uomo specie animali di tipo “intermedio” per il
virus - provenienti da un allevamento (e.g. coniglio, furetto, visone) o una
specie selvatica trafficata (e.g. volatile, felino, primate) che a loro volta
sono stati a contatto con animali selvatici che fungono da “serbatoio” del
virus (per esempio una specie di pipistrello come è avvenuto nel caso della
SARS) - sia cruciale per prevenire il contagio, pensare che chiudendo i
“mercati umidi” possa essere un intervento risolutivo è una ingenuità.
Non solo perchè
le specie non protette e allevate in modo intensivo potrebbero comunque entrare
a contatto con animali “serbatoio” - per esempio qualora questi animali
depositassero fluidi o escrementi nelle gabbie degli animali allevati che poi
verrebbero commercializzati legalmente - ma anche perchè nonostante la chiusura
dei “mercati umidi” il mercato e traffico di specie selvatiche protette e in
via di estinzione potrebbe continuare, addirittura amplificandosi, e spostarsi
verso altri spazi e canali illegali, paradossalmente ancor meno controllabili dal
punto di vista sanitario e fitosanitario[3].
Il desiderio di
alcune persone di cibarsi di animali esotici, di possedere animali selvatici
esibendoli come status symbol (sic.), di adornare le loro abitazioni con
animali imbalsamati, di agghindarsi con parti degli stessi o usarli per
produrre medicinali o pozioni che aumentano la potenza sessuale di dubbia
efficacia potrebbe fomentare continuamente la domanda che sostiene questi
traffici illeciti.
Pertanto, oltre
a sanzionare questo scellerato traffico di esseri viventi con pene e ammende
che - rispetto ai profitti che ne derivano - servano a scoraggiare i
trafficanti e a responsabilizzare pubblicamente i consumatori finali,
sarebbe più opportuno intervenire per disincentivare la domanda di questi
“prodotti” per rompere questo circuito criminale.
Sarebbe ora di considerare il
traffico e la commercializzazione di animali selvatici e specie protette come
un’emergenza per tutti i paesi, e quindi esigere il concretarsi
di una volontà politica di intervento con fini preventivi e di contrasto.
Ogni paese
dovrebbe prendere coscienza del problema a livello nazionale e locale, e mettere a punto politiche
pubbliche educative per poter innanzitutto prendere le distanze da certe
tradizioni di antica memoria che troppo spesso giustificano il protrarsi di
pratiche che possono risultare nocive e pericolose per la
salute e la vita delle persone e del pianeta tutto.
Allo stesso
tempo, però, oltre al problema del traffico di specie selvatiche e ai
"mercati umidi" come abbiamo anticipato poc’anzi, in virtù della deforestazione si
sta ampliando un altro spazio nel quale esseri umani e altre specie animali
possono entrare a contatto con animali “serbatoio” o
“intermedi” – addirittura con specie sconosciute alla scienza al momento – che
potrebbero essere vettori per future pandemie.
La deforestazione è causata dal
taglio indiscriminato delle foreste tropicali per fare spazio
a progetti estrattivi su vasta scala, come le miniere, le piantagioni e le
monocolture, di la palma da olio e di soia per i biocombustibili e l’industria
alimentare e gli allevamenti intensivi di bovini e suini per la carne.
Infatti,
l’accento sulla deforestazione nell’origine di almeno il 70% delle ultime epidemie
zoonotiche è stato messo dalla dottoressa e medico
spagnola Maria Neira, direttrice della Salute Pubblica e dell’Ambiente
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in una intervista rilasciata al
quotidiano spagnolo El País il
5 febbraio 2020 .
La dottoressa Neira afferma che
“la pandemia di coronavirus è un'ulteriore prova della pericolosa relazione tra
virus e pressioni umane sull'ambiente” e spiega come come
i virus Ebola, SARS e HIV/AIDS siano passati dagli animali agli esseri umani in
conseguenza della distruzione delle foreste tropicali che fungono come naturale
barriera tra esseri umani e specie selvatiche.
La deforestazione
intensiva, sottolinea la scienziata, per ottenere profitti
immediati, ha “effetti devastanti sul futuro dell'umanità” perché abbattendo la
foresta per fare spazio ad un'agricoltura intensiva sostenuta da pesticidi e
veleni inquinanti, fa si che gli animali che vivono in luoghi dove l’uomo
non era mai arrivato, subiscano “profonde trasformazioni”.
Possono apparire così specie “alterate “ che fungono da vettori per la
trasmissione dei virus. La deforestazione abbatte “quella barriera ambientale
tra le specie che ci protegge naturalmente.”
Secondo la
scienziata è urgente che i governi e le persone si rendano conto che il cambiamento climatico è un
problema prioritario di salute pubblica, non una questione solo per chi si
interessa di ecologia o di attivismo. Neira, inoltre, propone
di cambiare la narrativa sui rischi del cambiamento climatico, poiché questo ha
un impatto notevole anche sulla nostra salute: “A volte, in modo arrogante,
diciamo che dobbiamo salvare il pianeta. E no, dobbiamo salvare noi stessi.
Stiamo distruggendo il pianeta, ma esso troverà un modo per sopravvivere; gli
umani no.”
Ora più che mai, per noi di Salviamo la
Foresta porre l’accento sui pericoli della deforestazione e del traffico di
specie selvatiche e protette in relazione ai rischi di future pandemie non può
che rafforzare e confermare le ragioni del nostro impegno quotidiano e
futuro, essendo la salvaguardia delle foreste tropicali e
dei loro abitanti la nostra missione, la nostra ragion d’essere da sempre.
Attraverso le
nostre petizioni e le firme che i nostri sostenitori ci restituiscono e
realizzando i nostri progetti con
organizzazioni di base nei paesi del sud del mondo, diamo il nostro contributo per
affrontare questa crisi che colpisce la biodiversità globale e che stiamo
vivendo ormai da almeno cinquant’anni, senza sosta, nel silenzio
assordante di molta parte della classe politica internazionale e del settore
impresariale privato.
La crisi della
biodiversità e delle foreste tropicali deve essere una priorità nell’agenda
politica di tutti i paesi. Non c’è tempo. La situazione è arrivata all’estremo.
Basti tenere
conto che nel 2019, secondo il World
Wildlife Fund (WWF), nelle zone tropicali, ogni minuto, si è
persa una superficie di foresta tropicale equivalente a quasi 30 campi da
calcio (1 campo da calcio misura circa 45-90 m). Nella regione amazzonica in
particolare, negli ultimi 50 anni circa il 17% della foresta con la sua biodiversità insostituibile è ormai andato perduto, soprattutto
per fare spazio all'allevamento del bestiame, ma anche per estrarre legname
tropicale, oro e altri metalli, petrolio e gas naturale.
Inoltre,
affrontare questa crisi e gli effetti diretti che ricadono sulla nostra salute
deve tenere conto anche degli impatti negativi causati dalle organizzazioni
criminali transnazionali e dalla corruzione, lungo tutta la catena del traffico
di specie selvatiche e protette, animali e vegetali come ha puntualizzato
la United Nation Organization on Drugs and Crime (UNODC) nel suo report World Wildlife Crime
Report - Trafficking in Protected Species - del 2020.
Non solo siamo
tutti parte dello stesso ecosistema e quindi legati dallo stesso destino, ma
ogni nazione del mondo può essere un paese di origine, di transito e/o di
destinazione per questi traffici illeciti e quindi offrire spazi e occasioni
per il detonarsi e/o il propagarsi di nuove malattie zoonotiche e quindi di
nuove epidemie.
Ogni paese, ogni governo, tutto
il settore privato e ognuno di noi abbiamo un ruolo da svolgere per prevenire e
contrastare questi crimini contro la fauna e la flora selvatica, al fine di
proteggere la natura e l’umanità intera.
Di fatto, per
concludere, se c’è qualcosa di molto evidente che abbiamo imparato durante
questa pandemia è che la collaborazione tra cittadini e la cooperazione tra i diversi
paesi sono di cruciale importanza per affrontare e contrastare una pandemia.
É arrivato il momento di mettere in pratica questo insegnamento anche per
proteggere il pianeta e la natura con la sua biodiversità. La deforestazione pertanto si
deve fermare. Non ci sono più scuse, ormai.
Si dovrebbe considerare un crimine
contro l'umanità. Senza esagerazioni, visti gli effetti.
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