martedì 23 febbraio 2021

Clima globale, di male in peggio - Alberto Castagnola

 

Negli ultimi mesi del 2020 sono apparsi su fonti autorevoli alcuni dati complessivi che è importante tenere presenti. Nel periodo 1990-2015 è stata emessa una quantità di anidride carbonica equivalente a quella prodotta dall’attività umana in tutto il passato, segno questo certo della maggiore intensità  e della accelerazione dei fenomeni di inquinamento dell’atmosfera.

Inoltre, nell’Artico il metano emesso negli ultimi 20 anni  è 80 volte superiore alle emissioni di CO2, a causa principalmente dello scioglimento del permafrost sottomarino durante la sempre più lunga estate artica.

Le bolle di metano salgono anche da 350 metri di profondità e ciò significa che sono le acque del mare a veicolare il riscaldamento.

E’ stata inoltre segnalata la presenza nelle vicinanze dell’Isola della Georgia del Sud, territorio inglese d’oltremare nel Pacifico meridionale, di un grande iceberg staccatosi nel 2017 dall’Antartide, denominato A68, che ha continuato a muoversi sui mari risentendo molto poco della corrosione esercitata dalle onde  e che ora è ancora grande quanto l’isola.

E’ poi da notare che l’anno in corso è molto caldo malgrado la presenza della Nina, la corrente che in genere esercita una azione rinfrescante durante tutto il suo percorso.

Alcune ricerche hanno inoltre elaborato delle analisi socioeconomiche delle emissioni di anidride carbonica, sottolineando che il 10% della popolazione più ricca (730 milioni di persone) ne ha emesso la metà (49%), e tutti gli altri , 6,6 miliardi di persone, la parte restante.  Infine, sempre a livello planetario, il 20 ottobre sono stati registrati i dati minimo e massimo delle temperature, e precisamente  meno 62,7 gradi centigradi a Vostok, in Antartide, e più 45,2 gradi centigradi nella città di Rivadavia, in Argentina.

In tutto il periodo considerato, inoltre , si sono manifestati con sempre maggior virulenza i cosiddetti eventi estremi, influenzati direttamente dagli andamenti climatici globali. In primo luogo, è importante notare che la crisi climatica rende gli uragani più distruttivi.

Limitando le rilevazioni agli ultimi 50 anni, si è notato che alla fine degli anni ‘60 quelli che provenivano dai Caraibi perdevano  circa il 75% della loro intensità  il giorno dopo aver toccato la terraferma negli Stati Uniti; negli ultimi anni perdono solo il 50% della loro potenza e quindi arrecano danni molto più rilevanti su distanze molto maggiori.

Inoltre mantengono quasi intatta la loro umidità ed emanano quindi maggiori quantità di calore. I ricercatori che hanno fornito queste indicazioni avvertono che si tratta ancora di una ipotesi da verificare, ma i danni arrecati in Stati come il Texas sembrano costituire una verifica empirica sufficiente.

Cicloni: tra la fine di ottobre e i primi di novembre l’uragano Eta ha colpito il Nicaragua con venti a 240 chilometri orari, e sembra non abbia causato  vittime a causa delle misure di sicurezza adottate.

In Honduras era meno forte, ha causato 74 morti  e ha coinvolto mezzo milione di famiglie, cioè almeno 3 milioni di persone.  In Guatemala le perdite sono state altrettanto gravi, con 46 morti e 96 dispersi, colpendo  qui mezzo milione di persone  distruggendo le coltivazioni sulle quali vivevano almeno 700mila persone. Eta ha poi raggiunto la Florida

Il 15 novembre, quando ancora gli interventi di soccorso non erano terminati, un nuovo uragano, Iota, il più potente mai visto, ha colpito il Nicaragua,  causando 16 morti e 4 dispersi.

Una parte degli sfollati è stata accolte in 230 Case Solidali, da tempo individuate, sono esondati tre fiumi e 3400 ettari di coltivazioni di caffè sono stati distrutti. Questo denominato Iota era il trentesimo uragano verificatosi  durante l’anno, più dei 28 registrati nel 2005.

Anche le Filippine sono state colpite da un tifone, chiamato Goni, con venti a 225 chilometri orari. Le vittime sono state 9 2 25mila le case distrutte.

Incendi: In California nuovi incendi a sud di Los Angeles, 5900 ettari di vegetazione distrutti e almeno 90mila persone costrette alla fuga. A Tuipasa, in Algeria, un incendio definito doloso ha causato due morti. Nell’Assam, sud ovest dell’India, da almeno cinque mesi è stato in fiamme un pozzo di petrolio, ora faticosamente estinto.

Frane: la pioggia ha causato frane in una miniera illegale di carbone a Sumatra, Indonesia, facendo 11 vittime. Alluvioni: coinvolte almeno 83mila persone in Congo. Epidemie: per evitare il rischio di diffusione della influenza aviaria, in Olanda sono stati uccisi 215mila polli. In Congo è stata dichiarata conclusa l’epidemia di Ebola nella provincia dell’Equatore, che ha causato 55 vittime. Infine, la plastica, ormai considerata onnipresente in natura: ogni anno, 230mila tonnellate di plastica sono state riversate nel Mediterraneo, con gli effetti dannosi che ben si conoscono.

Questa cifra è destinata a raddoppiare in breve tempo se non si adottano misure adeguate di contenimento degli usi.

Nel quadro globale è poi importante inserire alcuni dati relativi all’Italia Durante la Conferenza Nazionale sul Clima, organizzata a metà del mese di ottobre dalla Fondazione per lo Sviluppo sostenibile e da un gruppo di imprese, sono emersi dei dati interessanti sul ritardo con il quale l’Italia affronta i problemi climatici.

Negli ultimi cinque anni sono stati tagliate le emissioni di sole 1,4 mega tonnellate di anidride carbonica equivalente, mentre ne dovremmo tagliare 17 da qui al 2030 per rispettare le indicazioni dell’Unione Europea. Inoltre è allarmante i dato relativo alle energie rinnovabili, che tra il 2014 e il 2018 sono cresciute meno del 7%, mentre la media europea è del 14%, quella della Francia, della Spagna e della Germania è aumentata del 16-18%.

L’industria sembra aver ridotto le sue emissioni solo perché sui dati incide la crisi dovuta alla pandemia, mentre i trasporti negli ultimi trenta anni non hanno ridotto le loro emissioni. I consumi di energia delle abitazioni sono aumentati del 23%.

Il settore terziario ha aumentato del 58% le sue emissioni dal 1990, mentre l’agricoltura genera il 10% dei gas serra ed è il primo settore per emissioni di metano, a causa delle deiezioni animali ma anche dell’uso dei fertilizzanti di sintesi che producono protossido di azoto.

Per concludere, un riferimento al primo paese in campo economico, gli Stati Uniti, per sottolineare ancora una volta  gli effetti sul clima causati dal quadro politico. Nei suoi ultimi giorni al potere, il presidente Trump sta tentando di vendere contratti per prospezioni petrolifere in una pianura di 6500 chilometri quadrati situata all’interno del Parco Nazionale Artico, che ospita una pluralità di specie protette.

Tra le altre decisioni gravide di conseguenze non solo per il paese spicca l’uscita anche formale dall’Accordo di Parigi per l’ambiente, verificatasi in data 4 novembre, dopo essere stata annunciata oltre due anni fa. Il nuovo Presidente ha già espresso la sua intenzione di aderire nuovamente al Trattato, ma questi comportamenti del secondo paese grande inquinatore hanno svolto un ruolo non indifferente nel ridurre il peso di questa sede internazionale nella lotta per l’ambiente.

Nel suo rapporto sulla qualità dell’aria, Legambiente, colloca la capitale all’ultimo posto a causa dei troppi diesel in circolazione, ma anche le altre province del Lazio non presentano una situazione molto migliore.

 

Scelte economiche e danni ambientali

L’aria inquinata dalle polveri sottili PM 10 e PM 2,5 sembra sia la causa di circa il 15% delle vittime del Covid 19, la stima ovviamente non è facile ma stabilisce comunque un collegamento tra l’inquinamento dell’aria preesistente specie nei paesi industriali e la diffusione del virus più recente.

Sempre a tale proposito non possiamo dimenticare che l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per aver superato per oltre dieci anni tutti i limiti relativi alle polveri sottili, in particolare il PM10. Inoltre il 14 novembre a Roma sono stati raggiunti i 35 sforamenti  concessi proprio per questo tipo di inquinamento, stabilendo così un record negativo di pericolosità

L’Australia è il paese maggiore esportatore di carbone  e gas, dai quali trae circa un quarto delle entrate. E’ anche il primo dei paesi grandi inquinatori, con emissioni che nel 2018 raggiungevano le 15,3 tonnellate per persona. A seguire, il Canada con lo stesso quantitativo,  

La Cina continua ad ampliare la sua flotta di navi da pesca industriale, che esercita in numerose aree marittime a scala globale. Il totale reso noto di recente è di 16.966  unità, che permettono di realizzare oltre il 35% del pescato mondiali (Taiwan  solo il 12%, Giappone 5%).

Nei mari della Corea del Sud sembra siano presenti 800 navi da pesca cinesi illegali, mentre di recente sono stati contati ben 340 pescherecci cinesi intorno alle isole Galapagos, considerate un bene da proteggere per le specie antiche che ospitano.

Nei suoi ultimi giorni al potere, il presidente Trump sta tentando di vendere contratti per prospezioni petrolifere in una pianura di 6500 chilometri quadrati situata all’interno del Parco Nazionale Artico, che ospita una pluralità di specie protette. Tra le altre decisioni gravide di conseguenze per il paese spicca l’uscita anche formale dall’Accordo di Parigi per l’ambiente, verificatasi in data 4 novembre, dopo essere stata annunciata oltre due anni fa. Il nuovo Presidente ha già espresso la sua intenzione di aderire nuovamente al Trattato, ma questi comportamenti del secondo paese grande inquinatore hanno svolto un ruolo non indifferente nel ridurre il peso di questa sede internazionale nella lotta per l’ambiente.

Le api continuano a subire i danni derivanti dai livelli ormai molto pesanti di inquinamento del pianeta. Un dato relativo al 2017, caratterizzato dalla siccità, denuncia una riduzione del miele prodotto dell’ordine dell’80%; ma è noto che il danno maggiore risiede nella forte riduzione della capacità di impollinazione delle api , che può danneggiare gravemente la resa delle coltivazioni utili per gli esseri umani.

Nei giorni scorsi è stato raggiunto il nuovo accordo per il nucleare, che sulla carta potrebbe rappresentare un utile impedimento per la proliferazione degli arsenali. In realtà tutti sanno che le maggiori potenze nucleari ((Stati Uniti, Inghilterra, Russia, Cina e Francia)  non lo hanno firmato e nemmeno lo hanno fatto tutti e trenta i paesi aderenti alla Nato.(Italia inclusa).

Ancora due notizie poco rassicuranti: secondo alcune stime recenti, entro il 2050 tre miliardi di persone saranno prive di accesso all’acqua , evento che già oggi colpisce non pochi paesi. La diga di Kariba, costruita 70 anni fa al confine tra  Zambia e Zimbabwe, sul fiume Zambesi presenta gravi segnali di rischio. In particolare, le acque che da oltre sessanta anni fluisce giù dalla diga hanno scavato una buca profonda 80 metri che sta indebolendo le strutture in calcestruzzo. Inoltre la facciata di pietra continua a sgretolarsi. E questa è solo una delle circa 2000 grandi dighe realizzate in Africa, mentre in Zimbabwe, uno dei paesi più poveri del mondo ce ne sono 254. I restauri sono sempre più urgenti, ma chi vorrà sostenere gli immani costi previsti?

da qui

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