Negli ultimi mesi del 2020 sono apparsi su fonti autorevoli alcuni dati
complessivi che è importante tenere presenti. Nel periodo 1990-2015 è stata
emessa una quantità di anidride carbonica equivalente a quella prodotta
dall’attività umana in tutto il passato, segno questo certo della maggiore
intensità e della accelerazione dei fenomeni di inquinamento
dell’atmosfera.
Inoltre, nell’Artico il metano emesso negli ultimi 20 anni è 80 volte
superiore alle emissioni di CO2, a causa principalmente dello scioglimento del
permafrost sottomarino durante la sempre più lunga estate artica.
Le bolle di metano salgono anche da 350 metri di profondità e ciò significa
che sono le acque del mare a veicolare il riscaldamento.
E’ stata inoltre segnalata la presenza nelle vicinanze dell’Isola della
Georgia del Sud, territorio inglese d’oltremare nel Pacifico meridionale, di un
grande iceberg staccatosi nel 2017 dall’Antartide, denominato A68, che ha
continuato a muoversi sui mari risentendo molto poco della corrosione esercitata
dalle onde e che ora è ancora grande quanto l’isola.
E’ poi da notare che l’anno in corso è molto caldo malgrado la presenza
della Nina, la corrente che in genere esercita una azione rinfrescante durante
tutto il suo percorso.
Alcune ricerche hanno inoltre elaborato delle analisi socioeconomiche delle
emissioni di anidride carbonica, sottolineando che il 10% della popolazione più
ricca (730 milioni di persone) ne ha emesso la metà (49%), e tutti gli altri ,
6,6 miliardi di persone, la parte restante. Infine, sempre a livello
planetario, il 20 ottobre sono stati registrati i dati minimo e massimo delle
temperature, e precisamente meno 62,7 gradi centigradi a Vostok, in
Antartide, e più 45,2 gradi centigradi nella città di Rivadavia, in Argentina.
In tutto il periodo considerato, inoltre , si sono manifestati con sempre
maggior virulenza i cosiddetti eventi estremi, influenzati direttamente dagli
andamenti climatici globali. In primo luogo, è importante notare che la crisi
climatica rende gli uragani più distruttivi.
Limitando le rilevazioni agli ultimi 50 anni, si è notato che alla fine
degli anni ‘60 quelli che provenivano dai Caraibi perdevano circa il 75%
della loro intensità il giorno dopo aver toccato la terraferma negli
Stati Uniti; negli ultimi anni perdono solo il 50% della loro potenza e quindi
arrecano danni molto più rilevanti su distanze molto maggiori.
Inoltre mantengono quasi intatta la loro umidità ed emanano quindi maggiori
quantità di calore. I ricercatori che hanno fornito queste indicazioni
avvertono che si tratta ancora di una ipotesi da verificare, ma i danni
arrecati in Stati come il Texas sembrano costituire una verifica empirica
sufficiente.
Cicloni: tra la fine di ottobre e i primi di novembre l’uragano Eta ha colpito il
Nicaragua con venti a 240 chilometri orari, e sembra non abbia causato
vittime a causa delle misure di sicurezza adottate.
In Honduras era meno forte, ha causato 74 morti e ha coinvolto mezzo
milione di famiglie, cioè almeno 3 milioni di persone. In Guatemala le
perdite sono state altrettanto gravi, con 46 morti e 96 dispersi,
colpendo qui mezzo milione di persone distruggendo le coltivazioni
sulle quali vivevano almeno 700mila persone. Eta ha poi raggiunto la Florida
Il 15 novembre, quando ancora gli interventi di soccorso non erano
terminati, un nuovo uragano, Iota, il più potente mai visto, ha colpito il
Nicaragua, causando 16 morti e 4 dispersi.
Una parte degli sfollati è stata accolte in 230 Case Solidali, da tempo
individuate, sono esondati tre fiumi e 3400 ettari di coltivazioni di caffè
sono stati distrutti. Questo denominato Iota era il trentesimo uragano
verificatosi durante l’anno, più dei 28 registrati nel 2005.
Anche le Filippine sono state colpite da un tifone, chiamato Goni, con
venti a 225 chilometri orari. Le vittime sono state 9 2 25mila le case
distrutte.
Incendi: In California nuovi incendi a sud di Los Angeles, 5900 ettari di
vegetazione distrutti e almeno 90mila persone costrette alla fuga. A Tuipasa,
in Algeria, un incendio definito doloso ha causato due morti. Nell’Assam, sud
ovest dell’India, da almeno cinque mesi è stato in fiamme un pozzo di petrolio,
ora faticosamente estinto.
Frane: la pioggia ha causato frane in una miniera illegale di carbone a
Sumatra, Indonesia, facendo 11 vittime. Alluvioni: coinvolte
almeno 83mila persone in Congo. Epidemie: per evitare il
rischio di diffusione della influenza aviaria, in Olanda sono stati uccisi
215mila polli. In Congo è stata dichiarata conclusa l’epidemia di Ebola nella
provincia dell’Equatore, che ha causato 55 vittime. Infine, la plastica, ormai
considerata onnipresente in natura: ogni anno, 230mila tonnellate di plastica
sono state riversate nel Mediterraneo, con gli effetti dannosi che ben si
conoscono.
Questa cifra è destinata a raddoppiare in breve tempo se non si adottano
misure adeguate di contenimento degli usi.
Nel quadro globale è poi importante inserire alcuni dati relativi
all’Italia Durante la Conferenza Nazionale sul Clima, organizzata a metà del
mese di ottobre dalla Fondazione per lo Sviluppo sostenibile e da un gruppo di
imprese, sono emersi dei dati interessanti sul ritardo con il quale l’Italia
affronta i problemi climatici.
Negli ultimi cinque anni sono stati tagliate le emissioni di sole 1,4 mega
tonnellate di anidride carbonica equivalente, mentre ne dovremmo tagliare 17 da
qui al 2030 per rispettare le indicazioni dell’Unione Europea. Inoltre è
allarmante i dato relativo alle energie rinnovabili, che tra il 2014 e il 2018
sono cresciute meno del 7%, mentre la media europea è del 14%, quella della
Francia, della Spagna e della Germania è aumentata del 16-18%.
L’industria sembra aver ridotto le sue emissioni solo perché sui dati
incide la crisi dovuta alla pandemia, mentre i trasporti negli ultimi trenta
anni non hanno ridotto le loro emissioni. I consumi di energia delle abitazioni
sono aumentati del 23%.
Il settore terziario ha aumentato del 58% le sue emissioni dal 1990, mentre
l’agricoltura genera il 10% dei gas serra ed è il primo settore per emissioni
di metano, a causa delle deiezioni animali ma anche dell’uso dei fertilizzanti
di sintesi che producono protossido di azoto.
Per concludere, un riferimento al primo paese in campo economico, gli Stati
Uniti, per sottolineare ancora una volta gli effetti sul clima causati
dal quadro politico. Nei suoi ultimi giorni al potere, il presidente Trump sta
tentando di vendere contratti per prospezioni petrolifere in una pianura di
6500 chilometri quadrati situata all’interno del Parco Nazionale Artico, che
ospita una pluralità di specie protette.
Tra le altre decisioni gravide di conseguenze non solo per il paese spicca
l’uscita anche formale dall’Accordo di Parigi per l’ambiente, verificatasi in
data 4 novembre, dopo essere stata annunciata oltre due anni fa. Il nuovo
Presidente ha già espresso la sua intenzione di aderire nuovamente al Trattato,
ma questi comportamenti del secondo paese grande inquinatore hanno svolto un
ruolo non indifferente nel ridurre il peso di questa sede internazionale nella
lotta per l’ambiente.
Nel suo rapporto sulla qualità dell’aria, Legambiente, colloca la capitale
all’ultimo posto a causa dei troppi diesel in circolazione, ma anche le altre
province del Lazio non presentano una situazione molto migliore.
Scelte economiche e
danni ambientali
L’aria inquinata dalle polveri sottili PM 10 e PM 2,5 sembra sia la causa
di circa il 15% delle vittime del Covid 19, la stima ovviamente non è facile ma
stabilisce comunque un collegamento tra l’inquinamento dell’aria preesistente
specie nei paesi industriali e la diffusione del virus più recente.
Sempre a tale proposito non possiamo dimenticare che l’Italia è stata
condannata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per aver superato per
oltre dieci anni tutti i limiti relativi alle polveri sottili, in particolare
il PM10. Inoltre il 14 novembre a Roma sono stati raggiunti i 35
sforamenti concessi proprio per questo tipo di inquinamento, stabilendo
così un record negativo di pericolosità
L’Australia è il paese maggiore esportatore di carbone e gas, dai
quali trae circa un quarto delle entrate. E’ anche il primo dei paesi grandi
inquinatori, con emissioni che nel 2018 raggiungevano le 15,3 tonnellate per
persona. A seguire, il Canada con lo stesso quantitativo,
La Cina continua ad ampliare la sua flotta di navi da pesca industriale,
che esercita in numerose aree marittime a scala globale. Il totale reso noto di
recente è di 16.966 unità, che permettono di realizzare oltre il 35% del
pescato mondiali (Taiwan solo il 12%, Giappone 5%).
Nei mari della Corea del Sud sembra siano presenti 800 navi da pesca cinesi
illegali, mentre di recente sono stati contati ben 340 pescherecci cinesi
intorno alle isole Galapagos, considerate un bene da proteggere per le specie
antiche che ospitano.
Nei suoi ultimi giorni al potere, il presidente Trump sta tentando di
vendere contratti per prospezioni petrolifere in una pianura di 6500 chilometri
quadrati situata all’interno del Parco Nazionale Artico, che ospita una
pluralità di specie protette. Tra le altre decisioni gravide di conseguenze per
il paese spicca l’uscita anche formale dall’Accordo di Parigi per l’ambiente,
verificatasi in data 4 novembre, dopo essere stata annunciata oltre due anni
fa. Il nuovo Presidente ha già espresso la sua intenzione di aderire nuovamente
al Trattato, ma questi comportamenti del secondo paese grande inquinatore hanno
svolto un ruolo non indifferente nel ridurre il peso di questa sede
internazionale nella lotta per l’ambiente.
Le api continuano a subire i danni derivanti dai livelli ormai molto
pesanti di inquinamento del pianeta. Un dato relativo al 2017, caratterizzato
dalla siccità, denuncia una riduzione del miele prodotto dell’ordine dell’80%;
ma è noto che il danno maggiore risiede nella forte riduzione della capacità di
impollinazione delle api , che può danneggiare gravemente la resa delle
coltivazioni utili per gli esseri umani.
Nei giorni scorsi è stato raggiunto il nuovo accordo per il nucleare, che
sulla carta potrebbe rappresentare un utile impedimento per la proliferazione
degli arsenali. In realtà tutti sanno che le maggiori potenze nucleari ((Stati
Uniti, Inghilterra, Russia, Cina e Francia) non lo hanno firmato e
nemmeno lo hanno fatto tutti e trenta i paesi aderenti alla Nato.(Italia inclusa).
Ancora due notizie poco rassicuranti: secondo alcune stime recenti, entro
il 2050 tre miliardi di persone saranno prive di accesso all’acqua , evento che
già oggi colpisce non pochi paesi. La diga di Kariba, costruita 70 anni fa al
confine tra Zambia e Zimbabwe, sul fiume Zambesi presenta gravi segnali
di rischio. In particolare, le acque che da oltre sessanta anni fluisce giù
dalla diga hanno scavato una buca profonda 80 metri che sta indebolendo le
strutture in calcestruzzo. Inoltre la facciata di pietra continua a
sgretolarsi. E questa è solo una delle circa 2000 grandi dighe realizzate in
Africa, mentre in Zimbabwe, uno dei paesi più poveri del mondo ce ne sono 254.
I restauri sono sempre più urgenti, ma chi vorrà sostenere gli immani costi
previsti?
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