Il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR), che ha assunto il titolo di “Next Generation Italia” si basa, sulla carta, su tre pilastri: Digitalizzazione/Innovazione, Transizione Ecologica, ed Equità/Inclusione, in coerenza con lo strumento europeo (Next Generation EU) proposto per fare uscire il continente dalle secche della gravissima crisi economica, sanitaria ed ecologica legata all’epidemia da Covid-19.
Ormai
sappiamo tutti che l’Italia è la maggiore beneficiaria dei Fondi UE (per
complessivi 209 miliardi di euro) e che perciò ricade sul nostro Paese la
maggiore responsabilità in Europa di essere all’altezza della partita, come del
resto è stato nella prima fase dell’emergenza sanitaria.
Il
nostro Piano, ribattezzato appunto “Next Generation Italia” dal Consiglio dei
ministri del 12 gennaio scorso che lo ha approvato, è dal 15 gennaio all’esame
delle commissioni Bilancio e Affari europei dei due rami del Parlamento
italiano che dovranno esprimere un parere sui suoi contenuti. Contenuti che, a
quanto pare, sono stati al centro del confronto politico che ha portato alla
crisi di governo.
Ma,
come spesso succede, il confronto tra le forze politiche sembra che sia stato
limitato ad alcuni aggiustamenti importanti sull’assegnazione delle quote dei
fondi messi a disposizione dall’Europa, senza rivedere e rafforzare i contenuti
innovativi e “di sistema” della proposta di Piano. Il Recovery Plan italiano,
così viene anche chiamato nella pubblicistica, si articola in 6 diverse
“Missioni”: 1. Digitalizzazione, Competitività e Cultura; 2. Rivoluzione Verde
e Transizione Ecologica; 3. Infrastrutture per una Mobilità Sostenibile; 4.
Istruzione e Ricerca; 5. Inclusione e Coesione; 6. Salute.
C’è
voluto prima il Wwf e poi la Campagna Sbilanciamoci! – confortati dalle
valutazioni del Servizio studi della Camera e del Senato trasmesse alle Camere
il 25 gennaio – per rilevare come le risorse destinate ad uno dei tre pilastri
del PNRR, quello della “Missione 2”, risultassero sottostimate, e non di poco.
Infatti il Piano votato dal Consiglio dei ministri prevede che a questo fine
siano destinati 69,80 miliardi di euro, che costituiscono il 31% delle risorse
complessivamente messe in campo dal PNRR italiano (il totale è 223,9 miliardi
di euro).
L’Europa
chiede che venga destinato almeno il 37% dei PNRR ad azioni
per contrastare il cambiamento climatico e alla tutela della biodiversità, a
cui si può aggiungere una quota del 3% di fondi destinati a interventi per il
clima (come chiariscono le “Linee guida” della Commissione europea per la
redazione dei PNRR, risalenti al 22 gennaio scorso). Quindi appare evidente che
il governo italiano debba chiarire come abbia intenzione di rispettare
formalmente la richiesta dell’Europa e soprattutto cosa voglia fare di
sostanziale per sostenere la decarbonizzazione dell’economia e difendere la
natura d’Italia.
La
Commissione europea vuole un dettaglio degli strumenti messi in campo, vuole
sapere ad esempio da quale “mucchio” vengano le risorse allocate per le diverse
componenti delle Missioni, Paese per Paese. In questo caso la cifra che
“balla” non è irrilevante (il 6% in meno equivale a oltre 13,4 miliardi di
euro). Ma la Commissione vuole comprendere anche come i fondi verranno spesi,
visto che all’Italia manca, ad esempio, la definizione una long term
strategy di decarbonizzazione, che avrebbe dovuto essere presentata nel
gennaio 2020 e che dovrebbe servire a verificare la coerenza del Piano. Per non
parlare della tutela e valorizzazione della biodiversità, a cui non viene
assegnato nel PNRR italiano nemmeno un euro. Mentre sia le “Linee guida” che la
“Bozza di Regolamento” chiariscono come si debba specificare quanto viene
destinato alla protezione della natura e alla tutela dei siti della “Rete
Natura 2000”, che sono siti di pregio tutelati dalla Ue.
Ciò che
non appare ancora pervenuto nella percezione del governo italiano
è che tutelare e valorizzare la natura d’Italia, significa sostenere uno
degli asset portanti del rilancio competitivo del nostro Paese
nel mondo, perché le nostre pregiate risorse naturali (l’Italia ha una delle
più ricche biodiversità d’Europa), insieme ai beni archeologici, artistici e
culturali, fanno parte della ricchezza nazionale.
Continua
ad esserci poca convinzione sulle scelte green. Tanto che, mentre
ad altre “Missioni” sono state assegnate nel tempo maggiori risorse, alla
“Missione 2 – Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica”, come ricordato dal
Wwf in occasione dell’audizione sul PNRR dell’1 febbraio davanti alla
commissione Bilancio della Camera della Campagna Sbilanciamoci!, nel tempo si è
avuto un taglio di 4,6 miliardi di euro dei fondi assegnati a questo titolo.
Nella prima bozza del PNRR del 6 dicembre 2020, infatti, alla “Missione 2”
erano stati assegnati 74,4 miliardi di euro, mentre la proposta di Piano
approvata in Consiglio dei ministri il 12 gennaio scorso, come abbiamo visto,
assegna 69,8 miliardi di euro, nonostante l’ammontare complessivo delle risorse
rese disponibili dal Piano sia cresciuto, passando dai 193 miliardi iniziali ai
223 miliardi di euro attuali.
Anche a
proposito di innovazione il governo deve chiarire. La quota di “progetti in
essere”, cioè di interventi già finanziati, sull’ammontare complessivo delle
risorse messe in campo dal Piano raggiunge la ragguardevole quota del 28% e nel
caso specifico della “Missione 2” arriva addirittura al 45,5%. Non si
tratta di una questione di lana caprina, perché, come chiarisce il dossier dei
Servizi studi di Camera e Senato, bisogna capire perché il PNRR faccia una
distinzione tra questi e i progetti classificati come “nuovi” e, di
conseguenza, bisogna avere un dettaglio dei contenuti all’interno dei progetti
in essere più rilevanti per rendersi conto se siano coerenti o meno
con le finalità dello strumento “Next Generation EU”.
Non
finisce qui. Un altro nodo è quello relativo ai fondi destinati, sempre
nell’ambito della “Missione 2”, all’efficientamento energetico e alla
ristrutturazione degli edifici che pesano per il 42,2% (pari a 29,55 miliardi)
dei fondi messi a disposizione per la “Rivoluzione Verde e la Transizione
Ecologica”. Di questi il 26,4% (ovvero 18,51 miliardi) vanno al superbonus del
110% per l’efficientamento energetico e sismico destinato all’edilizia
residenziale pubblica e privata. Per carità, nobile fine, ma forse si dovrebbe
fare un pensiero se destinare una quota così rilevante dei fondi europei per
sgravi che potrebbero essere garantiti con risorse nazionali.
Da
notare che a interventi di grande rilevanza per il futuro verde e sostenibile
del Paese il PNRR dedica incomprensibilmente poche risorse. Alla tutela del
territorio dal rischio idrogeologico – quindi, per far fronte ad una
delle maggiori emergenze che assillano la comunità nazionale – vengono
destinati solo 3,61 miliardi di euro, pari ad appena l’1,6% dell’ammontare
complessivo delle risorse messe in campo dal Piano. Per l’economia circolare,
elemento strategico che dovrebbe trainare la riconversione ecologica
dell’apparato produttivo, si assegna la magra cifra di 4,5 miliardi,
corrispondente al 2% del totale.
Anche
in questo caso però non si tratta solo di quantità, quanto di qualità del
progetto. Perché non è chiaro, dalle descrizioni contenute nel “Next Generation
Italia”, quanti siano i progetti per contrastare il rischio idrogeologico
proposti dalle Regioni che giacevano da anni nei cassetti. E neanche quanti di
questi progetti abbiano come obiettivo anche il miglioramento dello stato
ecologico dei corsi d’acqua (a cui destinare almeno una quota del 20% dei
finanziamenti disponibili, come richiesto dal decreto legge n. 133/2014).
Per
l’economia circolare, poi, sembra che si punti semplicemente ad intervenire
puntando a realizzare impianti per la valorizzazione degli scarti e
la chiusura del ciclo dei rifiuti oppure per la costruzione di impianti
industriali per ridurre, a valle, l’utilizzo di materie prime. Mentre farebbe
la differenza dedicare a questo obiettivo fondamentale le risorse riunite in un
Fondo specifico che sostenesse la realizzazione di interventi innovativi quali
quelli dedicati alla simbiosi industriale, al riciclo chimico, al riciclaggio
dei rifiuti, all’attivazione di sistemi di riutilizzo di prodotti, in coerenza
con le azioni indicate nel Piano europeo per l’economia circolare delle 11
marzo 2020.
Farebbe
la differenza non solo dedicare almeno una parola, che invece non c’è, alla
progressiva cancellazione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD). O
addirittura pensare ad una filiera dello smontaggio, del recupero e del riuso
dei materiali derivanti dallo smantellamento delle piattaforme per l’estrazione
degli idrocarburi liquidi a gassosi. E anche, contemporaneamente, alla messa in
sicurezza e bonifica dei siti dove si sono svolte per decenni queste attività,
non più compatibili con un Paese che deve emanciparsi dalle energie fossili.
Le
commissioni parlamentari stanno lavorando come se la crisi di governo non ci
fosse. Qualsiasi governo emerga da questa crisi, di certo non potrà ignorare il
lavoro sin qui fatto sul PNRR. Speriamo solo che abbia la piena consapevolezza
dei limiti della proposta di Piano sinora elaborata e abbia quel coraggio e
quella visione che, coniugate, con un sano realismo, possano davvero garantire
un futuro sostenibile ad un Italia capace di innovare il suo affaticato e non
dinamico sistema economico e produttivo.
Nessun commento:
Posta un commento