(Testo di ENRICO ALLEVA - Foto di ANNE BERRY)
Un gruppo di 150 scimmie è
vissuto in pace per decenni. Quando gli individui sono diventati 200 è
successo qualcosa: si sono divisi in fazioni e han cominciato a uccidersi.
Dunque la violenza di cui l’uomo è capace è “naturale”? Un etologo invita a non
tirare conclusioni affrettate
Da trenta anni esperti primatologi statunitensi (gli etologi
specializzati in scimmie) osservano in Uganda, al Kibale National Park, una
gigantesca colonia di scimpanzé. Questo enorme gruppo sociale, circa 150
individui, è irritualmente numeroso dato che di solito questi nuclei consistono
di una cinquantina di individui. Gli studiosi, coordinati da John Mitani e
David Watts, distinguono con facilità i singoli scimpanzé, le vicende
comportamentali nel tempo, il loro continuo dipanarsi, la ripartizione delle
risorse di spazio territoriale e di cibo. E i rumorosissimi conflitti. Molto
probabilmente grazie ad annate ricche di cibo e altre condizioni ambientali
favorevoli dai circa 150 individui iniziali si è arrivati a duecento. Con
il crescere del numero, sono aumentati gli eventi aggressivi.
Nel tempo gli scontri individuali si sono fatti sempre più violenti, come
fedelmente registrato da Mitani e allievi a partire dal 2015. La crescente
aggressività all’interno della specie (intraspecifica) in questa località è
aumentata fino ad alcuni scontri così sanguinosi da risultare mortali. Al
momento attuale, il grande gruppo iniziale si è suddiviso in tre distinti e
belligeranti gruppi separati: uno occidentale, uno centrale, uno orientale.
Stanno facendo il giro del mondo le foto toccanti dello scimpanzé Basie,
ben prima di essere attaccato e ucciso, mentre mostra i denti, a metà tra
sorriso forzato e gesto di rituale minaccia, al fotografo che lo disturba tra
le fronde ombreggianti della foresta ugandese. A Basie hanno strappato il pene.
Il giovane primatologo Aaron Sandel (Università del Texas), era
fortunosamente presente allo scimpanticidio. Brutta fine anche per Erroll, (un
testicolo divelto), maschio di basso “rango” sociale dunque più vulnerabile
nell’economia sociale del gruppo, e forse periferico durante gli spostamenti
del branco, nonostante la spiccata coesione e cooperazione che caratterizza la
specie: che in effetti è continuamente dedita a risse chiassose e a rabbiosi
rituali di minaccia, come afferrare un lungo ramo fogliuto e sbatterlo per terra
emettendo una varietà di suoni (tra l’urlo rauco e l’abbaiamento) che segnalano
ai conspecifici intenzioni, emozioni, e dunque propensione all’attacco: tutte
strategie di solito intese a far sì che uno dei due contendenti arretri o più
definitivamente si allontani dall’altro.
Nel gennaio del 2018, tre maschi del gruppo occidentale hanno inseguito e
ucciso un giovane di 15 anni (lo scimpanzé vive in cattività fino a più di
60 anni). Alcuni maschi del gruppo occidentale hanno attaccato e soppresso tre
maschi del centrale. Killer e vittime sono tutti maschi che in passato avevano
verosimilmente condiviso scorribande a caccia di frutta e nidi, risse
adolescenziali più o meno giocose e reciproci delicati spulciamenti che ne
vincolavano affinità e alleanze. Parti degli organi sessuali maschili sono
stati estirpati. Il dibattito arde nel mondo degli esperti…
L’aggressività dello scimpanzé era stata pittorescamente descritta dalla
mitica pioniera etologa e primatologa Jane Goodall a cui l’antropologo
Leakey affidò il compito di infiltrarsi con grazia silenziosa e infinitevole
perseveranza in un gruppo sociale di scimpanzé tanzanesi, alla Gombe Stream
National Reserve. Un laboratorio a cielo aperto divenuto nei decenni fonte di
osservazioni dettagliate e continuative sulle vicende famigliari e di gruppo di
queste scimmie antropomorfe: farsi accettare dal gruppo animale finché la
presenza dell’etologo divenisse del tutto indifferente divenne requisito
professionale di base.
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