Money means nothing to
us.
Our children, our
land, our future, is here and that’s what we are going to protect.
Our people never ever
surrendered or ceded any portion of this territory.
We are the rightful
titleholders of the territory,
we are the
caretakers of this land and that’s what we are going to do, take care of
this land.
Chief Madeek, della
riserva indiana Wet’suwet’en,
in protesta contro
l’oleodotto del Canada
They want to take,
take, take.
And they aren’t taking
no for an answer
Siamo
nello stato del British Columbia del Canada, fra foreste, neve, pini e tribù di indigeni.
In tutto questo idillio compaiono
militari in uniforme, armi semi-automatiche, fili spinati. La guerriglia
urbana in mezzo alle nevi bianche. Cosa hanno fatto quelli della tribù
Wet’suwet’en per meritarsi questo, con un contorno di elicotteri, barche della
polizia, arresti, lungo il fiume Morice? Il
petrolio. Gli oleodotti. Il vile denaro.
Anche qui i
petro-speculatori sono oggetto di contenzioso. La
gente protestaperché non vuole oleodotti. Il governo manda le truppe
perché li vogliono far passare per forza. Un giorno di metà gennaio hanno arrestato quattordici
persone che si erano accampate lungo il percorso
dell’oleodotto per protestare.
Ecco quindi
un’altra storia di diritti non rispettati a causa di multinazionali che vogliono per forza avere la meglio. In questo
caso si tratta della ditta canadese Coastal GasLink che vuole estendere il suo
oleodotto lungo il territorio di venti tribù indigene.
Dicono che
cosi facendo daranno lavoro agli indigeni stessi con contratti che arriveranno
a 620 milioni di dollari canadesi, dicono pure che i consigli governativi delle
riserve indiane hanno detto si, e che ci sono stati 120 incontri e 1.300 telefonate
con gli indigeni. Come dire si aspettavano che dopo i 500 milioni e il 78esimo
incontro e la 1294 telefonata arrivasse il si! Alcune cose però non si possono
vendere.
E infatti le
tribù, cioé gli indigeni che vivono per davvero sulle riserve, non ci stanno,
inclusa quella dei Wet’suwet’en, la più vivace nelle proteste. Dicono che i
consigli governativi non li rappresentano e che la loro voce va rispettata,
perché su quelle terre sono loro che ci vivono. Ma nonostante i ripetuti no, la corte ha acconsentito alla
Coastal GasLink di iniziare i lavori. È qui che cinque capi tribù hanno deciso
di scendere nella neve a protestare. In un certo senso il governo del
Canada ha avuto ciò che si merita. Nel 1997 la corte suprema del Canada ha
affidato quelle terre agli indigeni, e ha deciso che lo stato non poteva
esserne considerato titolare. Dove però iniziano i confini e dove finiscano non
è stato mai stabilito.
Intanto
circa 1.300 chilometri quadrati di
terra che i Wet’suwet’en dicono essere loro, ospitano la vita di salmoni, orsi, alci,
aquile ed altri animali selvatici, bacche e piante che vengono usate come
medicinali senza sapere che c’è qualcuno che vuole annientare tutto
per un tubo. In totale i territori dei Wet’suwet’en occupano circa
22mila chilometri quadrati. Ed è per proteggere questa bellezza che tante persone,
indigene e non, si sono mobilitate, installando le tende della resistenza nella
neve.
E non c’è solo la tribu’ Wet’suwet’en. Assieme ad altri gruppi indigeni sparsi per il paese è stata
messa su una organizzazione chiamata Unist’ot’en camp che cerca di
fermare tutti i progetti di oil and gas sui territori degli indigeni, in quanto
non conformi ai propri interessi tribali e culturali. A volte ci sono riusciti,
altre no. Ma con ogni protesta diventano più uniti, più sicuri, piu arrabbiati.
Il loro messaggio è lo stesso che tutte le comunità trivellate conscono:
“vogliono solo prendere, prendere, prendere. E non accettano il no”. Appunto,
dopo neppure 1.300 telefonate!
Non sappiamo come andrà a finire, ma un fatto è
certo: in tutte le parti del mondo continua la speculazione, e in tutte le
parti del mondo chi vive i territori è sempre più arrabbiato, deciso a difendere i propri diritti
e a far sentire la propria voce, anche in questo angolo innevato e remoto del
Canada.
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