Qualche anno fa ho avuto uno studente che dormiva in classe. Aveva
vent’anni – era stato bocciato due volte – si faceva almeno due, tre ore di
sonno pieno con la faccia sul banco. Non dormiva per noia – o insomma, credo,
non solo. Era il sonno di chi arrivava a scuola distrutto, dopo una nottata in
bianco. Non era l’unico.
Ogni volta che chiedo ai miei studenti – tra i 15 e i 19 anni – quanto
dormono, ricevo una risposta abbastanza preoccupante: più della metà meno di
sette ore; ma c’è chi mi dice che dorme anche cinque o tre ore. Le mie classi
non sono un osservatorio privilegiato, né in positivo né in negativo. È
l’impressione che hanno anche quei professori e quei genitori che osservano con
attenzione ragazze e ragazzi, anche se questo interesse spesso manca.
Nelle molte interviste che ho fatto in varie scuole superiori, ho capito
che della questione non si parla quasi mai.
Le parole di ragazze e ragazzi
Milena, una ragazza di sedici anni di un liceo di Avezzano, ci teneva a farlo e mi ha richiamato diverse volte nelle settimane successive: mi ha spiegato che dorme in media quattro ore e che la sua vita è completamente influenzata dall’insonnia: “Mi addormento verso le cinque del mattino. Quando mi sveglio bevo tanto caffè, anche tre o quattro tazze, mi preparo in fretta, vado a scuola, e rimugino sulle cose tutto il giorno, fino a rimettermi nel letto senza riuscire ad addormentarmi”, dice.
Milena, una ragazza di sedici anni di un liceo di Avezzano, ci teneva a farlo e mi ha richiamato diverse volte nelle settimane successive: mi ha spiegato che dorme in media quattro ore e che la sua vita è completamente influenzata dall’insonnia: “Mi addormento verso le cinque del mattino. Quando mi sveglio bevo tanto caffè, anche tre o quattro tazze, mi preparo in fretta, vado a scuola, e rimugino sulle cose tutto il giorno, fino a rimettermi nel letto senza riuscire ad addormentarmi”, dice.
Carlo, al primo anno di università a Bologna, mi ha detto che dorme sei
ore, ma molti dei suoi compagni non arrivano a quattro: “Giocano alla play,
anche fino alle cinque del mattino, si sfondano”.
Sara, diciott’anni, frequenta un istituto professionale a Ponticelli, nella
periferia di Napoli. Mi ha raccontato che dorme al massimo due o tre ore per
notte e che neanche lei si spiega il perché. Si addormenta alle quattro, si
sveglia alle sei, alle volte fa la lunga, come mi dice: non chiude nemmeno
occhio. Da due anni è così: “Durante il giorno fatico a reggermi in piedi, a
scuola non riesco a seguire, sono sempre distratta”.
Insonnie che nascono da disagi psicologici o da stati d’ansia non gestiti
come si deve, ore di sonno sottratte per giocare e portare avanti relazioni
sociali esili ma spesso uniche. I motivi per cui una ragazza o un ragazzo non
dorme sono tanti. A chi si rivolgono per parlarne e affrontarli? Nella maggior
parte dei casi a nessuno. Molto spesso non riescono nemmeno a riconoscere che
sia un problema.
Studi ed esperimenti
Ogni caso è un caso a sé, ma ci sono sicuramente delle costanti che negli ultimi anni sono diventate evidenti, e socialmente importanti.
Ogni caso è un caso a sé, ma ci sono sicuramente delle costanti che negli ultimi anni sono diventate evidenti, e socialmente importanti.
In Adolescenti, una storia naturale,
David Bainbridge parla delle fasi della crescita attraversate dagli esseri
umani. Nell’età cruciale dello sviluppo – tra i 13 e i 15 anni per le ragazze,
tra i 15 e i 17 per i ragazzi, secondo Bainbridge – il cervello ha bisogno di
una quantità importante di ore di sonno, e sarebbe questa una delle ragioni
principali per cui normalmente a quell’età si dorme tanto. Superata questa fase
si acquisisce una resistenza fisica tale da riuscire a stare svegli fino a
tardissimo o a soffrire meno la stanchezza. Ma abituarsi a dormire meno di
sette o di cinque ore al giorno fa male, dicono gli esperti.
Ci sono molti studi che indicano in modo chiaro che la ripetuta mancanza di
sonno provoca effetti negativi sullo sviluppo cerebrale. In un articolo
del 2016 l’équipe guidata da Chiara Cirelli – direttrice del
dipartimento del Wisconsin institute for sleep and consciousness – si legge
che, nonostante ci sia bisogno di ulteriori studi su questo aspetto, “la
cronica diminuzione del sonno nella prima adolescenza può influire sulla
connettività cerebrale (cioè le vie di comunicazione tra neuroni, ndr)
dell’adulto”.
New Scientist ha
raccontato un progetto in corso in alcune scuole di Seattle per cercare di
affrontare il problema:
Rimandare
l’orario di inizio delle lezioni non solo migliora la qualità del sonno degli
studenti, ma aumenta anche la frequenza in classe e le prestazioni scolastiche
(…) Gli adolescenti sono naturalmente portati a fare tardi la notte e a farsi
belle dormite la mattina per via delle modifiche all’orologio biologico che si
verificano durante la pubertà. ‘Praticamente si taglia l’ultima fase di sonno
di cui hanno bisogno’, dice Horacio de la Iglesia dell’università di
Washington. Per risolvere questo problema, dalla metà del 2016 le scuole di
Seattle hanno deciso di spostare l’orario di inizio dalle 7:50 alle 8:45 (…) La
durata media del loro sonno è passata da 6 ore e 50 minuti a 7 ore e 24 minuti,
ma questo non è ancora abbastanza, dice Gideon Dunster all’università di
Washington, coautore dello studio. ‘Gli studenti dormono di più, ma non stanno
ancora dormendo la media di nove ore a notte raccomandata’.
In un altro articolo della rivista, Russel Foster fa un esempio che
rende bene l’idea: “Per un adolescente, svegliarsi alle 7 è come svegliarsi
alle 5 per una persona sui cinquant’anni”.
L’iperconnessione
Davide, 18 anni, frequenta un istituto tecnico a Roma. Mi racconta perché va a letto tardi, o tardissimo: “Gioco alla play”. Spesso lo fa su internet, con i compagni. Oppure chatta. Oppure manda video e foto agli amici fino all’una o alle due di notte.
Davide, 18 anni, frequenta un istituto tecnico a Roma. Mi racconta perché va a letto tardi, o tardissimo: “Gioco alla play”. Spesso lo fa su internet, con i compagni. Oppure chatta. Oppure manda video e foto agli amici fino all’una o alle due di notte.
L’iperconnessione per gli adolescenti (e non solo per gli adolescenti) non
è un’eccezione, è la norma. Come scrive Jean M. Twenge nel libro Iperconnessi,
a proposito degli adolescenti:
Quasi tutti
dormivano con il telefono accanto: sotto il cuscino, sul materasso o comunque a
portata di mano. Controllavano i social e guardavano video subito prima di
andare a letto, e agguantavano il telefono appena aprivano gli occhi. Il
telefono era l’ultima cosa che vedevano la sera e la prima al mattino. Se si
svegliavano nel cuore della notte, finivano per dare uno sguardo al cellulare.
La quantità di tempo che ragazze e ragazzi passano online è cresciuto
esponenzialmente negli ultimi dieci anni: se a metà degli anni duemila era
un’ora al giorno, i dati che Twenge cita dall’inchiesta Monitoring the future dicono che oggi le ore sono
almeno sei, passate su internet, sui social network, a spedirsi messaggi, a
giocare. Anche in Italia, le varie statistiche – per esempio quella contenuta
in Generazioni connesse,
uno studio del ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca –
indica più o meno la stessa media.
La correlazione tra dipendenza da internet e riduzione del sonno è al
centro di molti studi. Alcuni hanno lavorato su ampi campioni di studenti, in
contesti geografici e sociali estremamente diversi, dalla Turchia all’Iran,
dalla Corea del Sud a Taiwan.
I ricercatori spiegano che la luce blu degli
smartphone e dei tablet influenzerebbe negativamente il sonno, e mettono in
guardia da possibili danni
fisiologici, da quelli agli occhi a quelli neurologici.
Uno dei motivi che spinge ragazze e ragazzi a non staccarsi dal telefono
sarebbe la cosiddetta Fomo (fear of missing out),
ovvero l’ansia di perdersi quello che fanno gli altri e la paura di esserne
tagliati fuori.
Immaginate che la gran parte della vita sociale dei vostri amici si svolga
online – nelle chat di gruppo o durante partite con altri – e immaginate che una
parte importante avvenga la sera tardissimo, quando la giornata è finita e si è
tutti a letto. Se voi vi addormentate alle undici, vuol dire che vi perderete
ore di chiacchiere e giochi con i vostri amici.
Gli svantaggi della mancanza di sonno non sono pochi. Scrivono Marije
Nije Bijvank, Geertje H. Tonnaer e Jelle Jones:
Cambiare le
abitudini che precedono il sonno ha conseguenze sui risultati ottenuti a scuola
(…) Rimandare il momento in cui ci si addormenta porterebbe a un minore
autocontrollo, a posticipare le cose da fare e a gestire male il proprio tempo.
Sostanze eccitanti
E tutto questo senza considerare gli effetti del caffè, degli energy drink e di droghe come la cocaina. Matteo, vent’anni, al primo anno di scienze politiche a Roma, mi dice che per lui è normale studiare con le bevande energetiche: ha cominciato quando era al liceo e doveva prepararsi per le interrogazioni.
E tutto questo senza considerare gli effetti del caffè, degli energy drink e di droghe come la cocaina. Matteo, vent’anni, al primo anno di scienze politiche a Roma, mi dice che per lui è normale studiare con le bevande energetiche: ha cominciato quando era al liceo e doveva prepararsi per le interrogazioni.
Anche lui non è un’eccezione. Uno studio condotto dall’equipe guidata dalla
professoressa Sabrina Molinaro, coordinatrice dell’European school survey on
alcohol and other drugs, mostra che il
loro consumo è considerato normale dagli adolescenti; mentre la consapevolezza
dei rischi per la salute – che altri studi segnalano – è praticamente
inesistente. Una ricerca
dell’European food safety authority fornisce dei dati
preoccupanti:
Circa il 68
per cento degli adolescenti intervistati erano consumatori di bevande
‘energetiche’. In circa il 12 per cento di questi, il consumo era ‘elevato e
cronico’ con una media di sette litri in un mese, e nel 12 per cento il consumo
è ‘elevato e acuto’. Circa il 18 per cento dei bambini intervistati erano
consumatori di bevande ‘energetiche’. In circa il 16 per cento di questi, il
consumo era ‘elevato e cronico’ con una media di 0,95 litri alla settimana
(quasi quattro litri in un mese).
Giampaolo, quattordici anni, frequenta un liceo dell’Aquila e mi dice che
lui consuma una bevanda energetica prima di andare in palestra, di pomeriggio,
così riesce a studiare anche fino all’una o le due di notte. Sara, di un
istituto tecnico di Roma, mi conferma che tutti i suoi compagni ogni tanto
bevono una di queste bevande.
Come reagiscono le scuole rispetto al consumo degli energy drink? In Italia
non esiste nessun dibattito che si interroghi sul loro consumo tra gli
adolescenti. Nel Regno Unito si
discute se proibirle ai minorenni. Mentre in Lettonia e in Lituaniasono
vietati già da due anni a chi ha meno di 18 anni.
Federico Tonioni, psicologo e psichiatra che coordina il centro sulle
dipendenze giovanili dell’ospedale Gemelli a Roma, mi tranquillizza su ciò che
sembra allarmante, e mi allarma rispetto a ciò che invece può sembrare meno
preoccupante. Lo fa provando a spostare il centro del dibattito non solo sugli
aspetti patologici e di rischio:
Il nostro profilo cognitivo sta cambiando, influenzato dall’uso degli
smartphone. Pensiamo che siano solo degli strumenti, ma hanno invece una
funzione relazionale ed emotiva. Pensiamo sempre che il problema sia il
telefono, quando invece sono le relazioni. I giochi online fatti di notte,
soprattutto per chi ha problemi relazionali, sono gli unici possibili per chi
non riesce a stabilire altri contatti: per alcuni, le persone conosciute in
quei contesti, sono gli unici amici. Non è che i ragazzi si divertano ad avere
solo relazioni nate solo su telefoni o tablet, è che spesso non hanno
alternative. E per poter mantenere queste relazioni, magari si addormentano
alle due di notte.
Il rapporto tra la riduzione del sonno e l’uso dei telefoni riguarda anche
il modo di concepire, far nascere e mantenere le relazioni tra le nuove
generazioni, e quindi richiede un’offerta pedagogica più strutturata e creativa
del semplice interrogativo su come facciamo a far andare i nostri figli a letto
prima o a fargli posare il telefono.
È una sfida, non può essere solo un auspicio, o una buona prassi delle
famiglie o delle scuole. Occorre tenere a mente esperimenti come quelli
realizzati a Seattle, certo. Ma occorre ancora di più una vera inchiesta del
ministero dell’istruzione sulle abitudini del sonno delle ragazze e dei ragazzi
in Italia, così da mettere in campo dei progetti concreti, prima che il
problema assuma proporzioni più ampie e meno gestibili di oggi.
da qui
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