Titina è
un’abitante storica del centro di Napoli. Ha 76 anni, cammina appoggiandosi a
una stampella e percepisce la pensione minima. Vive insieme alla figlia,
casalinga, al genero e a due nipoti. Stanno tutti insieme, in un bilocale in un
vicolo nel cuore del centro storico. Marianna invece ha 30 anni, è una
brillante ricercatrice e vive in affitto a piazzetta Nilo. Per i giovani che
fanno un dottorato di ricerca la vita è dura, perché le borse di studio
italiane sono tra le più basse in Europa, così lei arrotonda facendo lezioni
private di latino e greco.
Fino a
qualche anno fa erano tante le persone che
vivevano nel centro pur non avendo un reddito elevato: gli affitti e il
costo della vita erano accessibili a tutti. Poi è arrivato
il turismo. Inizialmente è sembrata una manna dal cielo: non è sembrato vero ai
napoletani che la città passasse dall’immagine dipinta sui giornali di tutto il
mondo con le tinte nere dell’emergenza rifiuti ad un’immagine di una Napoli
sfavillante e piena di turisti. Ma il sogno ad occhi aperti nel giro di pochi
anni si è trasformato in un incubo. I
proprietari hanno iniziato, uno dopo l’altro, a sfrattare gli inquilini per
investire nella nuova corsa all’oro: le case vacanze. Un appartamento
che prima poteva rendere – come quello di Titina – al massimo 600 euro al mese
oggi può essere affittato ai turisti anche a 50 euro a notte.
La famiglia
di Titina aveva pagato regolarmente il canone d’affitto per 15 anni, ma durante
il boom del turismo era stata costretta a non pagare per quasi un anno. Il
genero, che ha ricominciato da poco a lavorare, aveva subito un brutto
incidente sul lavoro. La
famiglia aveva provato ad accedere al fondo di “morosità incolpevole” (un
fondo statale messo a disposizione dei Comuni in emergenza abitativa proprio
per i casi come quello di Titina), mail proprietario aveva risposto con un
secco rifiuto: girava voce nel quartiere che anche lui avesse intenzione di
trasformare l’appartamento di Titina in una casa vacanze.
Marianna,
invece, aveva sempre pagato regolarmente l’affitto. Eppure il proprietario le
ha intimato di andar via prima della scadenza del contratto: il suo monolocale doveva essere
ristrutturato e trasformato in una casa vacanze. Marianna ha protestato, ma per
tutta risposta il proprietario le ha staccato il gas.
In entrambi
i casi trovare una nuova casa si è rivelata un’operazione disperata. Una fetta
enorme di appartamenti, infatti, negli ultimi anni sono scomparsi dal mercato residenziale per
ri-materializzarsi sotto forma di case vacanze su Airbnb e Booking, spesso
esentasse. A gennaio a Napoli risultano 7.169 annunci sul portale
Airbnb, concentrati soprattutto nel perimetro Unesco, all’interno di un’area
che misura circa 10km2. Il 59,3% di questi annunci non si riferisce a stanze
singole ma ad interi appartamenti. Migliaia
di case sottratte all’abitare e trasformate in strutture ricettive. L’effetto sul mercato immobiliare non ha tardato a
farsi sentire: secondo l’agenzia Tecnocasa, le transazioni immobiliari ad uso
investimento sono cresciute del 41% negli ultimi quattro anni. A sua volta la proliferazione delle case
vacanze ha prodotto una crescita degli affitti dei pochi immobili rimasti sul
mercato residenziale:Idealista ha stimato che nell’ultimo anno a Napoli
le pigioni sono aumentate dell’8,6%, mentre il tasso di disoccupazione resta
altissimo. Il lavoro prodotto dal turismo, infatti,
spesso è a nero e la crescita del costo della vita non è minimamente
proporzionale a quella dei salari.
Eppure la
forza della narrazione di Airbnb è proprio quella di far apparire
la sharing economy come un sistema in cui tutti si arricchiscono
senza alcun bisogno di regole. A guardare i dati, invece, si scopre che i pochi che usano il portale per
affittare la propria stanza in modo da integrare un reddito scarso sono una
minoranza. Una moltitudine di proprietari – multiproprietari,
agenzie e società private – rappresentano la vera fonte di guadagno per il
portale, la cui sede è in un paradiso fiscale. Airbnb protegge i propri utenti
non fornendo alcun dato né ai Comuni né agli enti preposti ai controlli: così
molti gestiscono una vera e propria attività d’impresa evadendo il fisco, ben
protetti dalla privacy.
Dopo mesi di
ricerca Marianna al momento vive senza gas. Dopo
due anni, invece, Titina e i suoi familiari hanno trovato una nuova casa grazie
al passaparola innescato dal nodo napoletano della rete SET. In
quest’ultimo anno SET, insieme alla rete Magnammece ‘o pesone che da
anni è impegnata sul fronte dell’emergenza abitativa, ha organizzato vari
picchetti antisfratto consentendo alla famiglia di Titina di avere il tempo di
trovare una sistemazione dignitosa.
SET (Sud Europa di fronte alla
Turistificazione) è una rete europea di associazioni e
collettivi di alcune delle città del Sud Europa che in questi anni sono state
travolte dall’ondata turistica – tra cui Venezia, Valencia, Siviglia, Palma,
Pamplona, Lisbona, Malta, Malaga, Madrid, Barcellona. Nata in sinergia con la
mobilitazione di diverse città iberiche, la rete SET – si legge in un
comunicato stampa – intende “promuovere
a livello internazionale una riflessione critica sulla turistificazione e un
coordinamento di analisi e pratiche alternative”. Sebbene l’industria
turistica, infatti, non si manifesti con le sembianze fisiche della fabbrica,
il suo impatto sul territorio non è meno significativo. Se i centri urbani diventano terreno per la
monocultura turistica, gli abitanti, espulsi a causa del rialzo dei prezzi e
della sottrazione dal mercato residenziale di un numero di immobili sempre più
elevato, si riverseranno nelle periferie in cui si assisterà ad un ulteriore
rialzo dei prezzi.
Un effetto a
catena le cui vittime sono, come sempre,
gli ultimi: chi non ha una casa di proprietà, chi lavora a nero, chi ha un
basso reddito. Le conseguenze della crescita incontrollata del
turismo sono già visibili a Venezia: nel centro della città, ormai spopolato e
turistificato, l’amministrazione ha imposto un biglietto d’ingresso ai turisti,
mentre nella periferia di Mestre si prospetta la costruzione di nuovi alberghi.
Negli ultimi anni il “capitalismo di piattaforma”,
cioè la nascita di portali come Airbnb e Booking, ha imposto una nuova
accelerazione al processo di turistificazione delle città. L’Italia
è il terzo mercato mondiale per la piattaforma Airbnb e il 73% degli alloggi
italiani attualmente disponibili sono interi appartamenti. Tra il 2014 e il
2015 le abitazioni private utilizzate per locazioni turistiche temporanee hanno
avuto un incremento del 553%. Questi dati sono destinanti a crescere di pari
passo con l’incremento del flusso turistico mondiale che la UNTWO (World
Tourism Organization delle Nazioni Unite) stima in crescita dell’80% entro il
2030.
Il turismo è un’industria e come ogni industria ha
bisogno di essere regolata, tutelando gli abitanti delle città su cui essa
insiste. Delocalizzare
i flussi turistici, come pure in Italia stanno proponendo (nel migliore dei
casi ingenuamente) alcune amministrazioni “volenterose”, non risolve il
problema ma lo moltiplica, perché i
flussi sono destinati a crescere in modo indipendente e a investire sempre
nuovi quartieri. SET sta lottando perché le
amministrazioni si adoperino affinché le città restino uno spazio di democrazia
sociale e non si trasformino in “città vacanze” senza abitanti. Le istituzioni italiane, a partire
dalle amministrazioni comunali, devono trovare il coraggio di convocare le
piattaforme turistiche e di porre ad esse dei limiti come hanno già fatto i
comuni di Londra e Amsterdam, dove la piattaforma Airbnb ha il divieto
di pubblicare annunci privati riguardanti interi appartamenti per un periodo
superiore a tre mesi all’anno. Anche le amministrazioni italiane devono agire
in tempo perché la casa resti un bene primario, un diritto per tutti e tutte, e
perché il turismo senza regole non si trasformi in nuovo, infernale strumento
di diseguaglianza sociale.
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