It’s hell here.
People go to polluted streams to
fetch drinking water.
We inhale the polluted air, farm and
fish from
the same polluted environment.
Kpobari Vieme, Gokana, Nigeria
.
Ecco un altra storia e un’altra umanità che il Corriere della Sera non
racconterà mai. È una storia di disperazione e di Eni, di povertà e di
Nigeria. La bimba si chiamava Mary e per tre anni il suo corpicino era stato coperto da
insopportabili allergie e pruriti. Sono iniziati dopo un riversamento di
petrolio a Goi, il suo villaggio. Siamo nel
Gokona local government nello stato detto Rivers, nella terra degli Ogoni, in Nigeria. Mary
viveva qui dove l’Eni e la Shell fanno bello e cattivo tempo da decenni. Ma più
che altro cattivo tempo.
Nell’ottobre del 2008 ci fu un enorme perdita di
petrolio nell’Ogoniland. Goi era
all’epicentro del disastro, assieme con le sue vicine Bomu e Bodo. Un oleodotto
della Shell si spezzò e per due settimane ci fu riversamento continuo di
petrolio. Circa quattordicimila
tonnellate di petrolio finirono nei campi, nell’acqua, fra le mangrovie. In un
istante Goi cessò di essere quella che era stata fino allora e si trasformò in
una lunga distesa nera.
Ma non ci sono solo le perdite del 2008 a Goi. Ci sono quelle quelle precedenti,
quelle successive, quelle future. C’è l’inquinamento e ci sono petrol-incendi
che colpiscono la zona incessantemente. E chi ancora vive qui è spesso afflitto
da strani dolori che vengono attribuiti tutti a perdite di petrolio nei campi e
nelle vite.
Dopo tre
anni di prurito insopportabile, Mary è morta, in preda a forti dolori. Non era
mai stata in ospedale perché la famiglia non ne aveva i soldi.
Dal 1970 al 2000 ci sono stati 7000 riversamenti di
petrolio in Nigeria. Secondo il
Nigerian Oil Spill Monitor fra il 2005 e il 2014 altri 5.296. Nel 2010, la
Shell ha ammesso che sono finiti in ambiente circa 100.000 barili di petrolio
in diciotto comunità Ogoni. Amnesty
International parla di un totale variabile fra 9 e 13 milioni di barili. Shell
e ENI nel solo 2014 hanno causato 550 riversamenti.
L’Onu dice che qui l’acqua contiene livelli
elevatissimi di idrocarburi. Il 70 percento degli Ogoni vive oggi in povertà. Di queste comunità Ogoni, Goi è la
più colpita perché da ambo i lati ha petrolmostri, campi estrattivi e
oleodotti che riversano di tutto nei fiumiciattoli della zona e nelle
campagne.
Goi è a
valle di tutto e dunque il ricettacolo di ogni goccia di petrolio fuoriuscito
da condotte difettose, sabotate, o corrose. Mangrovie, acqua, fiumi, campi, è
tutto annerito e contaminato.
A un certo punto, la Shell ha appeso un
cartello dichiarando Goi zona morta.
Ai residenti
è stato chiesto di evacuare per dare spazio a tentativi di ripulire la zona. Ma
a nessuno è stato detto dove andare, cosa fare nel frattempo, chi aveva ucciso
la loro zona. Comunicazione: zero. Compensazione: zero.
E cosi, dei
residenti di Goi chi poteva è andato
via, a volte sapendo dove sarebbe arrivato, altre volte senza ben chiaro
dove sarebbe finito, senza cibo e tutti un po’ malandati. Ma se chi aveva
soldi a sufficienza per andarsene, se n’è andato, chi resta vive in preda ad un
misto di disperazione e rassegnazione.
C’è una
causa in corso, contro la Shell in un tribunale a l’Aia ma la causa è in corso
dal 2003 e non si sa quando mai finirà. Nel frattempo? Nel frattempo non solo l’ambiente è morto, ma tutte le
attività sane che un tempo esistevano sono scomparse: piccola
imprenditoria, pesca, agricoltura, mangrovie, vite tranquille. Ora niente. I
bambini non vanno a scuola. I residenti di Goi, quelli rimasti, si dichiarano
rifugiati ambientali, soprattutto perchè tutta la loro economia era basata
sull’ambiente: pesca, agricoltura e piccolo allevamento di bestiame. Anche la
gente muore.
I funerali si svolgono quasi tutti i sabati. Circa
dieci persone alla volta.
Se Goi è
zona morta, tutte le altre nel vicinato che non hanno ancora ricevuto
l’appellativo in questione, non è che stiano meglio. Si muore dappertutto. I
residenti lamentano che non c’è mai stata una vera e propria analisi
epidemiologica. Tutti lamentano malattie più o meno gravi che non hanno una
vera definizione: stanchezza, calore, spossatezza, confusione, tosse
persistente.
Intanto,
come sempre sono i bambini a risentirne di più:
i neonati sono troppo spesso malaticci e la mortalità infantile aumenta.
Diarrea, sottosviluppo dei feti, basso peso alla nascita sono tutti stati
documentati qui a Goi come collegati al petrolio. Anzi, in Svizzera hanno fatto
pure uno studio: The Effect of Oil Spills on Infant Mortality:
Evidence from Nigeria. Il tasso di mortalità infantile è di 38
a 76 morti per 1.000 nascite nel raggio di dieci chilometri da qualsiasi
riversamento, cioé un aumento del 100 per cento rispetto a zone lontane dal
petrolio. Per fare un esempio, in Italia il tasso di mortalità infantile è di 2
per 1.000.
Di ripulire tutto, per ora, solo le parole. ENI e
Shell? Zitti zitti, non deve fiatare neanche una mosca!
Intanto mentre
il Corriere della Sera continua a mandare i suoi assurdi petro-editoriali, a
Goi continuano tutti a bere l’acqua inquinata perché non c’è altro, continuano
tutti a mangiare pesci avvelenati perché non c’è altro.
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