Le ultime vittime della guerra contro
l’ambiente in Palestina sono stati 450 ulivi distrutti la scorsa settimana da
bulldozer dell’esercito israeliano. La distruzione di alberi di proprietà
palestinese ha avuto luogo nei villaggi di Bardala, nella valle del Giordano, e
di Yatta, nel sud della Cisgiordania. Anche altre decine sono state distrutte
da coloni ebrei illegali.
È un mito che solo l’Israele sionista
abbia “fatto fiorire il deserto.” Al contrario, da quando è stato fondato sulle
rovine di più di cinquecento villaggi e cittadine palestinesi che distrusse e
cancellò dalla carta geografica, Israele ha fatto l’esatto contrario. Nel lasso
di qualche decennio la terra abitata da palestinesi musulmani, cristiani ed
ebrei da migliaia di anni è stata sfigurata al di là di ogni immaginazione.
“La Palestina contiene un ampio
potenziale per la colonizzazione di cui gli arabi non hanno necessità né sono
in grado di sfruttare,” scrisse uno dei padri fondatori di Israele e primo capo
del governo, David Ben Gurion a suo figlio Amos nel 1937.
Tuttavia l’Israele sionista ha fatto di
più che “sfruttare” semplicemente quel “potenziale per la colonizzazione”: ha
anche sottoposto la Palestina storica a un’incessante e crudele campagna di
distruzione che continua tuttora. È probabile che essa continui finché prevarrà
il sionismo, in quanto ideologia razzista, egemonica e sfruttatrice.
Fin dai suoi inizi, a metà e alla fine
del XIX^ secolo, il sionismo politico ha ingannato i suoi seguaci con la
descrizione della Palestina storica. Per incoraggiare la migrazione ebraica in
Palestina e per fornire un simulacro di giustificazione etica per la
colonizzazione ebraica, il sionismo ha costruito miti che rimangono tuttora un
tema centrale. Secondo i primi sionisti, per esempio, la Palestina era una
“terra senza popolo per un popolo senza terra”. Venne anche detto che si
trattava di un deserto arido, che attendeva i coloni ebrei dall’Europa e da
altre parti con l’urgente missione di “farlo fiorire”.
Tuttavia quello che i sionisti hanno
fatto alla Palestina invece è incompatibile con il loro discorso teorico, in
quanto razzista, colonialista ed esclusivista, come è sempre stato. La terra di
Palestina, circa 16.000 km2 dal fiume Giordano a est fino al
mar Mediterraneo, diventò l’oggetto di un crudele esperimento, iniziato nel
1948 con la pulizia etnica del popolo palestinese e con la distruzione dei suoi
villaggi, della sua terra e delle sue coltivazioni. Questo sfruttamento della
terra e del suo popolo è cresciuto con intenso fervore nelle generazioni
successive.
Sradicare alberi, bruciare coltivazioni
Le colonie ebraiche illegali a
Gerusalemme est e nella Cisgiordania occupate sono state costruite su terre
agricole e da pascolo palestinesi confiscate. L’ impatto immediato di queste
azioni è stato lo sradicamento di milioni di ulivi e di alberi da frutto, e la
conseguente erosione del suolo in molte parti della Palestina occupata.
Coloni armati aggrediscono contadini
palestinesi in tutta la Cisgiordania, spesso con la protezione dell’esercito
israeliano. Una delle loro principali missioni è sradicare gli alberi
palestinesi e dare alle fiamme le coltivazioni, nel tentativo di obbligare i
palestinesi ad andarsene, come primo passo prima di rubare la terra e costruire
altre colonie illegali.
Per avere un’idea di quello che ciò
significhi a livello locale, si legga parte della testimonianza del contadino
palestinese Hussein Abu Alia, pubblicata in uno studio dell’ufficio dell’ONU
per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei territori palestinesi occupati
(UNOCHA OPT): “All’inizio abbiamo sorpreso i coloni che rubavano le olive dai
nostri alberi. Poi hanno iniziato a spezzare i rami, ma quelli ricrescevano e
abbiamo anche piantato nuovi alberi per sostituire quelli danneggiati. Allora
tre anni fa, quando siamo andati a raccogliere le nostre olive, siamo rimasti
scioccati nel trovare gli alberi tutti gialli e secchi…I coloni hanno forato i
tronchi e hanno iniettato una sostanza velenosa che ha ucciso gli alberi fin
dalle radici.”
Prosciugare il fiume Giordano
Le colonie ebraiche illegali consumano
grandi quantità delle già impoverite risorse idriche palestinesi. Di fatto il
controllo dell’acqua è stato una delle prime politiche messe in atto da Israele
dopo l’inizio della sua occupazione militare nel 1967. Le politiche
discriminatorie di Israele riguardo all’uso e abuso dell’acqua sono note come
“apartheid idrico”. Lo sconsiderato consumo di acqua da parte di Israele e
l’irregolare uso delle dighe hanno un esteso e forse irreversibile impatto
ambientale, alterando profondamente l’ecosistema idrico.
“A causa delle nuove dighe costruite nel
nord per fornire ai contadini (cioè ai coloni ebrei illegali) accesso
all’acqua”, ha informato l’israeliano Ynet News [sito informativo in rete,
ndtr.], “la portata del fiume Giordano è significativamente diminuita.”
Queste informazioni dei media
sull’impatto distruttivo di Israele sul Giordano sono state per anni importanti
notizie.
Spianare il paesaggio
La costruzione per abitazioni, per
l’agricoltura e per le infrastrutture da parte e per i coloni ebrei è di per sé
un disastro ambientale. C’è un significativo impatto sulla biodiversità locale
della Cisgiordania.
Il livellamento del terreno e gli scavi
alterano il suolo e hanno un notevole impatto sull’agricoltura. Oltretutto
interrompono anche l’uniformità del paesaggio e il rapporto organico tra gli
esseri umani e l’ambiente naturale.
Israele non dimostra alcun rispetto per
la Palestina e la sua gente. Lo Stato colonialista sionista sta distruggendo
l’habitat locale, gli animali e le specie uniche della regione.
La spazzatura di Israele
Secondo uno studio condotto dall’Ufficio
per l’Ambiente dell’Amministrazione Civile [l’istituzione militare che governa
i territori palestinesi occupati, ndtr.] in Cisgiordania, giornalmente vengono
prodotte dai coloni israeliani circa 145.000 tonnellate di rifiuti domestici.
Come prevedibile, molta di questi rifiuti, comprese le acque reflue, vengono
scaricati su terra palestinese senza tenere in alcun conto l’ambiente
palestinese o le persone e gli animali che vi vivono.
Nel solo 2016 sono stati sversati in
Cisgiordania 83 milioni di m3 di acque di scarico. Questa quantità
sta aumentando costantemente e rapidamente.
Strade solo per ebrei
Per di più, i danni inflitti
all’ambiente dalle colonie ebraiche vanno oltre lo spazio fisico di quelle
colonie illegali. Negli anni Israele ha costruito una fitta rete di strade che
uniscono le colonie illegali tra loro e con Israele. Lo scopo è fornire un
“transito sicuro” per i coloni ebraici. Queste strade di comunicazione sono
solo per l’uso degli ebrei, ai palestinesi è vietato utilizzarle per qualunque
ragione.
I cosiddetti “percorsi sicuri”
circondano completamente molti villaggi palestinesi nella Cisgiordania occupata
e la loro costruzione ha comportato la confisca di centinaia di ettari di terra
palestinese fertile. Oltretutto col tempo le fattorie palestinesi situate
all’interno di queste strade di collegamento diventano inaccessibili ai loro
proprietari e sono quindi lasciate incustodite o occupate da Israele per
ragioni “di sicurezza”.
Avvelenare la Striscia di Gaza
La guerra di Israele contro la natura va
oltre le colonie ebraiche illegali. L’uso da parte dello Stato sionista di
uranio impoverito, fosforo bianco e altri tipi di armi tossiche ha ucciso e
ferito migliaia di palestinesi, per lo più civili, nella Striscia di Gaza
assediata. Oltretutto esso ha distrutto anche l’ambiente in modo quasi
irrimediabile.
Le massicce offensive militari contro i
palestinesi a Gaza nel corso dello scorso decennio hanno lasciato terribili
ferite sulle persone e sul loro ambiente. L’incalcolabile numero di bombe e
missili lanciati da Israele nei bombardamenti del 2008-09, del 2012 e del 2014
ha lasciato nel suolo un’alta concentrazione di metalli tossici.
Secondo il “New Weapons Research Group”
[Gruppo di Ricerca sulle Nuove Armi] – un gruppo di scienziati indipendenti e
medici con sede in Italia – frammenti metallici lasciati da armi israeliane
includono tungsteno, mercurio, molibdeno, cadmio e cobalto. Sono tutti elementi
tossici che si sostiene provochino tumori, infertilità e serie malformazioni
congenite.
Raccolti rovinati
All’ambiente di Gaza non viene
risparmiato un destino terribile neppure quando finiscono le offensive e le
incursioni militari, seppur di solito in modo temporaneo. Anzi, l’esercito
israeliano spruzza regolarmente erbicidi nei pressi della barriera che separa
il territorio assediato da Israele. L’erbicida più comunemente utilizzato è il
glifosato.
La Croce Rossa ha avvertito che il danno
causato dal frequente uso di erbicidi nelle zone di confine da parte di Israele
va al di là della distruzione delle coltivazioni palestinesi. Provoca alle
persone che vivono nella Striscia di Gaza anche complicazioni a lungo termine
per la salute.
Il prezzo del muro dell’apartheid
Mentre il muro dell’apartheid, che
Israele ha costruito sulla terra palestinese nella Cisgiordania occupata, è spesso
preso in considerazione da un punto di vista politico o dei diritti umani, il
suo impatto sull’ambiente è raramente affrontato.
Tuttavia, perché venisse costruito, sono
stati sradicati dai bulldozer israeliani decine di migliaia di ulivi, alcuni
vecchi di 600 anni. Il fatto che alcuni di questi alberi fossero protetti dalla
legge sul patrimonio culturale internazionale ha semplicemente fatto rallentare
l’esercito israeliano. La distruzione continua tuttora.
Per fare posto al muro, anche migliaia
di ettari di terra palestinese sono stati bruciati, insieme agli alberi e
all’habitat che li circondava. Al loro posto Israele ha costruito un muro alto
otto metri massicciamente fortificato, totalmente estraneo al paesaggio
palestinese e accompagnato da tutto l’armamentario dell’occupazione, comprese
torri di guardia, recinzioni elettrificate e telecamere di sorveglianza.
È questo il “vasto potenziale per la
colonizzazione” di cui si vantava Ben Gurion più di 80 anni fa? La verità è che
i palestinesi hanno dimostrato di essere molto più “qualificati” a coesistere
con la natura piuttosto che a “sfruttarla”, come hanno fatto i sionisti. Il
costo di questo sfruttamento, tuttavia, non è solo pagato dal popolo
palestinese, ma anche dall’ ambiente. Le prove davanti ai nostri occhi mettono
ulteriormente l’accento sulla natura colonialista ed egocentrica del progetto
sionista e dei suoi fondatori, totalmente privi di prospettiva.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono
necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor)
(traduzione di Amedeo Rossi)
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