Ci sono
notizie su cui bisognerebbe avere la decenza di tacere per rispetto della loro
tragicità. E vorrei poterlo fare anche in questo caso. Ma essendo la tragicità
generale di ciò che ci sta succedendo così profonda, allora il silenzio
purtroppo non basta. Purtroppo lo sentiamo tutti il brusio di fondo che
accompagna la morte del giovane nigeriano Prince
Jerry: “Mi spiace, ma lo avevamo detto che qui non c’era posto” o
qualcosa di maledettamente simile, che striscia nelle viscere confuse del
Paese. Allora bisogna dire altro, muovere altre parole, fornire vie di uscita
dal vortice della banalità del male. Di certo non possiamo mettere da parte
certe notizie, essere distratti, risolvere tutto con qualche like, abbiamo
bisogno di pensare con calma e di agire.
In molti per
fortuna lo stanno facendo. La maggior parte dei commenti finora sembra
concentrarsi sul legame tra il
diniego dell’asilo e la tragedia. Ed è importante che sia così perché la
connessione l’ha espressa lo stesso Jerry. Ma il
libro di chimica che Jerry tiene tra le braccia nella foto che rimbalza sui
social ci può aiutare forse a capire qualcosa di più.
Lo esprimo
con una provocazione: il diniego alla richiesta asilo di Jerry nella sua
tragicità è giusto, perché riconosce che Jerry
non doveva chiedere asilo, non doveva essere accolto. Jerry doveva poter
chiedere di venire regolarmente a studiare chimica in Italia.
Mio padre
era professore di Chimica e mi spiegava che la riduzione di studenti di chimica
era uno dei problemi seri del nostro Paese, perché un Paese, mi diceva, “non
può avere solo comunicatori, creativi o registi…”. Un Paese serio ha bisogno di
esperti di chimica, come di fisica, di ingegneria, di biologia…. E in un mondo
globale non ha nessuna importanza, nessuna, lo ribadisco nessuna, che questi
esperti siano bianchi, gialli, neri, italiani, tedeschi, nigeriani, giapponesi.
I Paesi meno provinciali fanno di tutto per attrarre studenti da altri Paesi
più poveri che abbiano voglia di studiare ciò che i propri giovani in un
determinato momento storico non hanno voglia. È normale e sano.
Noi invece consideriamo Prince Jerry una povera vittima
che deve fare richiesta asilo, lo obblighiamo a viaggiare su camion e barconi,
ad essere torturato in Libia, a pagare i trafficanti e poi, se sopravvive, ad
aspettare per anni il responso di una commissione che verifica non i suoi
desideri, i suoi progetti,
ma la sua sofferenza. Se la sua sofferenza non è certificata, gli diciamo che
non può più stare qui, esattamente dove invece avremmo bisogno di ragazzi che
hanno voglia di studiare chimica.
Così produciamo morte, solo morte. La morte di un ragazzo di
venticinque anni, la morte di migliaia di suoi coetanei che non riescono
nemmeno ad arrivare fin qui e la morte civile e strutturale del nostro Paese,
destinato a chiudersi in una miopia incapace di costruire futuro. È questo il
nostro progetto?
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