Il turista in Thailandia ha la memoria corta, si interessa poco della politica locale e quello che gli viene venduto è un paese dalla storia millenaria ma senza presente e contraddizioni, così come vuole il brand nazionale: Amazing Thailand
Ogni anno,
l’arrivo del caldo estivo si accompagna alla voglia di vacanze, lontane o
vicine, rilassanti o sportive, culturali o estreme, ma pur sempre vacanze. La
vacanza è un bisogno moderno, che inizia a diventare di massa dagli anni ’50 in
poi. I suoi predecessori sono i viaggi d’esplorazione compiuti solitamente da
uomini bianchi e occidentali, che tramite i loro diari hanno contribuito alla
costruzione di una visione orientalizzante dell’altra parte del mondo. Ancor
prima esistevano i pellegrinaggi religiosi.
Oggi, la
maggior parte della popolazione occidentale non ha più di trenta giorni di
vacanze all’anno, e solitamente non più di due settimane continuative durante
l’estate. Questo significa cercare di fare di tutto e di più in quelle uniche
due settimane possibili.
L’industria
del turismo è diventata tra le più importanti del mondo, e anche in tempi di
recessione globale, continua ad aumentare il suo fatturato anno dopo anno.
Su questo
sito abbiamo raccontato come i flussi turistici in espansione stiano trasformando le grandi città europee, e le loro resistenze, ma le stesse trasformazioni sono
in corso anche fuori dall’Europa, e non solo nelle città.
Pensate ora
a una meta turistica lontana, con spiagge bianche, mare cristallino, palme,
buon cibo, ma anche montagne, foreste pluviali, in una parola sola: Thailandia.
La
Thailandia è venduta esattamente come il paradiso tropicale alla portata di
tutti, una meta lontana ma possibile per tutti i tipi di vacanze.
Esattamente
il motivo che mi ha spinto a comprare il biglietto verso questo paese. Ma
mentre mi crogiolavo nelle meravigliose spiagge del sud, o provavo a fare un
trekking al nord, era impossibile non incorrere nell’immenso numero di turisti
provenienti da ogni parte del mondo, e delle migliaia di attività e pacchetti
costruiti a loro uso consumo. E anche un po’ al mio, dato che, pur non volendo,
facevo parte di quella massa di turisti.
Il turismo è
una parte fondamentale dell’economia thailandese, contribuisce per il 10% del
Pil e con l’indotto si calcola fino al 20%, senza prendere in considerazione
tutto il sommerso
Le città, le
isole, le montagne sono state plasmate e riconfigurate dai flussi turistici in
costante espansione, così come la cultura e il modo di essere e di
relazionarsi. Chi ha avuto la possibilità, o semplicemente la fortuna, di
ritrovarsi dentro quei flussi – lungo una strada, sul view point di un’isola,
lungo un cammino – è riuscito a uscire dalla povertà, e anche ad arricchirsi.
Chi invece fa parte di una regione lontana, al confine sbagliato, lungo una
strada non tracciata è rimasto senza scampo. I flussi turistici e i loro numeri
hanno ridisegnato la geografia, l’economia e le forme di vita della Thailandia
moderna.
I flussi turistici in
Thailandia
Sono stati i
militari durante la guerra in Vietnam a “scoprire” la Thailandia facendola
diventare la terra del rest and relax durante i loro congedi,
essendo Laos e Cambogia troppo coinvolti nel conflitto. Questo ha significato
poche semplici cose: donne, alcool, gioco. E su queste basi è stata organizzata
l’offerta turistica, ancora oggi, infatti, la Thailandia è tra le prime mete
mondiali per il turismo sessuale.
Finita la
guerra in Vietnam, la Thailandia rimane un regime politico stabile, aperto al
commercio internazionale, e in buoni rapporti con gli Stati Uniti, a differenza
di tutto il resto della regione, che invece è straziata dall’eredità della
guerra, stretta tra regimi e repressione, e questo l’ha resa un paese
visitabile per i viaggiatori occidentali.
Poi sono
arrivati gli anni ’80, paillettes e capelli cotonati, il
turismo internazionale diventa di massa, le ferie un diritto riconosciuto e
inalienabile in tutto il mondo occidentale, il tenore di vita è aumentato, si è
aperta la possibilità di indebitarsi, e la tecnologia ha reso possibile
arrivare in luoghi prima inavvicinabili.
Negli anni
’90 il turismo in Thailandia è prevalentemente occidentale, sono ancora giovani
con lo zaino in spalla, qualche famiglia, e pochi tour.
Il turismo
di questi anni è un turismo fai-da-te e low-cost, alla scoperta di spiagge
isolate e foreste inesplorate. La Thailandia era ancora l’unica meta
accessibile nel sud-est asiatico, poiché gli altri stati rimanevano chiusi al
turismo.
Dagli anni
2000 in poi tutti gli stati della regione si aprono al turismo internazionale,
e dal 2010 i flussi turistici iniziano a spostarsi da ovest verso est.
Nel 2015, il
60% dei turisti che arrivano in Thailandia sono stati asiatici, prima di tutto
cinesi
Seguono
malesiani, giapponesi, coreani, ma anche indiani e russi. Nel 2015 sono entrati
8 milioni di cinesi con una permanenza media di una settimana e una spesa media
di 1000 dollari. Questo turismo si distingue da quello degli anni ’90, i cinesi
viaggiano principalmente in gruppo, solitamente con una guida cinese, e si
muovono tra le attività già programmate, tra cui non manca mai lo shopping.
Così come ha
tenuto a spiegarmi la receptionist del mio ostello a Bangkok: «Non facciamo più
la colazione gratis da quando abbiamo così tanti turisti cinesi, mangiano tutto
senza lasciare niente agli altri». Chissà se non lo abbia detto per
autogiustificarsi rispetto alla mia domanda sulla colazione inclusa, che invece
non era più prevista! Per ovviare a queste incomprensioni il Ministero del
Turismo thailandese ha prontamente pubblicato un vademecum destinato ai turisti
cinesi sulle buone maniere per viaggiare in Thailandia.
Amazing Thailand
Nel 2018
sono entrati quasi 38 milioni e mezzo di turisti in Thailandia, di cui 10
milioni e mezzo erano cinesi. Nonostante la situazione politica instabile nel
2014 che, in seguito a manifestazione represse nel sangue, ha portato al potere
una rigida giunta militare a difesa della sacra monarchia, il turismo
internazionale è leggermente diminuito, per riprendere senza sosta nei mesi a
seguire.
Del resto il
turista ha la memoria corta, si interessa poco della politica locale e quello
che gli viene venduto è un paese dalla storia millenaria ma senza presente e
contraddizioni, così come vuole il brand della nazione Amazing Thailand.
Nel paese dei sorrisi con capitale la città degli angeli, la storia rimane
un’audioguida da ascoltare velocemente tra un massaggio e dell’ottimo cibo. E i
turisti si fanno poche domande, hanno due settimane di vacanze e poi devono
tornare a lavorare, non vogliono ascoltare i problemi di un paese dallo
sviluppo disordinato e diseguale, non vogliono rinunciare alla piscina infinity di
fronte al mare, né si chiedono come tutta quella plastica consumata venga poi
riciclata.
Il turismo
sessuale è forse l’emblema del turismo di massa in Thailandia, tanto più che ne
è stato il settore fondativo, l’emblema di un paese a uso e consumo dove si
viene a dare sfogo a tutte le frustrazioni che si reprimono altrove
Tanto più
che la Thailandia è famosa per la prostituzione minorile: si stima, infatti, che ci siano
decine di migliaia di bambine sfruttate sessualmente, provenienti da famiglie
povere thailandesi e dei paesi limitrofi, e gli uomini italiani sono tra i primi clienti.
Con i soldi
in tasca, lontano da casa, gli uomini credono di poter consumare qualsiasi
cosa, donne, bambine e territorio, senza preoccuparsi di cosa lasciano dopo il
proprio passaggio, vulnerabilità, traumi, tratta di minori, consumo del suolo o
inquinamento. Un turista che usa, consuma, distrugge, butta via e riparte, come
se un paese fosse una semplice placchetta da inserire nel proprio portachiavi o
un puntino rosso nella propria app di google.
Anche grazie
agli introiti del turismo negli ultimi quaranta anni la Thailandia è uscita
dalla povertà, il livello di istruzione è aumentato, la classe media si è
allargata
Oggi è tra i
paesi più benestanti della regione, tanto da essere paese d’arrivo per molti
migranti in cerca di lavoro dai paesi limitrofi. Allo stesso tempo il turismo
ha contribuito alla distruzione dell’ambiente – come ci racconta la recente
chiusura di Maya Bay, la spiaggia delle isole Phi Phi, resa famosa dal
film The Beach – e al consumo di territorio – con le sue
costruzioni scomposte e incontrollate, che hanno reso obsolete le case di legno
tradizionali. Soprattutto ha distrutto culture che vivevano in connubio con
quegli ecosistemi, trasformando tradizioni e costumi millenari in uno “zoo
umano”, come racconta Corrado Ruggeri nel suo famoso libro Farfalle sul
Mekong, quando parla degli “zingari del mare” che «senza nemmeno saperlo
sono diventati un’attrazione turistica e così hanno lasciato marcire le barche
e costruito le palafitte», per rimanere con gli occhi tristi.
Si chiede
Tiziano Terzani, nel libro fotografico Un mondo che non esiste più,
di fronte al Mekong che divide il Laos, ancora con le barche a remi e i
villaggi di capanne, e la Thailandia, con le luci al neon e la musica dagli
altoparlanti, «da una parte il passato da cui tutti vogliono strappare i
laotiani, dall’altra il futuro verso cui tutti credono di dovere correre. Su
quale sponda sta la felicità?». Nell’era dei nomadi digitali, viaggiatori e
turisti si assomigliano sempre di più, così come le nostre foto su instagram,
mentre la quota di turismo responsabile è sempre troppo bassa.
Ci sono però
delle cose che possono essere fatte, anche da piccoli turisti dell’ultima ora,
provando a non contribuire a un turismo predatorio. Forse uno dei primi passi,
ancora prima di rinunciare all’aereo e a mete lontane – cosa che trovo personalmente
difficilissima – è abbandonare una certa mentalità di dover vedere e fare tutto
in quei pochi giorni che abbiamo a disposizione, per finire a inseguire i
tracciati precostituiti.
Forse già
fuoriuscire da questa mentalità bulimica del turista può aiutarci anche solo a
farci delle migliori domande, anche se non a sciogliere le contraddizioni.
E, infine, semplicemente viaggiare con curiosità e rispetto, ricordandoci sempre, che andare in vacanza è un privilegio, e che senza il giusto passaporto non si va da nessuna parte.
Chissà che
poi la Tailandia non ripensi il proprio modello di sviluppo proprio a partire
dalla diminuzione dei flussi turistici che si prevedono per i
prossimi anni per questo paese.
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