Passano gli
anni, ma l’appetito sulle terre collettive in Sardegna non
svanisce.
Come nel
recente passato, in parte della classe politica
isolana c’è
sempre il famelico desiderio di un nuovo Editto delle Chiudende.
Lo scorso 19
novembre 2025 le due Commissioni permanenti IV (Territorio) e I (Autonomia) hanno approvato all’unanimità una proposta di
risoluzione perché si giunga a una norma di attuazione dello statuto speciale
per la Sardegna che consenta di fare il bello e il cattivo tempo sui
terreni a uso civico.
La proposta
sarà portata alla votazione dell’Aula assembleare il prossimo 26 novembre 2025.
Al di là
della politicamente corretta necessità di “attribuire ai
componenti di nomina regionale della Commissione paritetica Stato-Regione di
cui all’articolo 56 dello Statuto speciale per la Sardegna, l’incarico di
elaborazione di una norma di attuazione da portare all’attenzione della
Commissione medesima, che permetta di definire una procedura condivisa con lo
Stato, che contemperi l’esigenza regionale di dare certezza giuridica a
situazioni consolidate e legittime con l’irrinunciabile principio statale di
tutela dei valori paesaggistici e che possa offrire una soluzione alle
problematiche descritte nelle premesse”, l’obiettivo reale è “avviare un
nuovo processo di mappatura dei terreni regionali gravati da uso civico sulla
base di un’interlocuzione diretta con le comunità, affiancando alle risultanze
meramente cartolari la valorizzazione della conoscenza consuetudinaria come
elemento interpretativo essenziale per la ricostruzione giuridica e
cartografica del demanio civico”.
In parole
povere, strafregarsene di decenni di provvedimenti
commissariali e regionali che sono giunti quasi a conclusione degli
accertamenti dei demani civici delle comunità locali per arraffare quanti
più terreni possibile, magari già occupati illegittimamente da complessi
turistico-edilizi (come nel Sarrabus), da centrali eoliche (come nel Goceano,
sul Montiferru, nel Villacidrese, nel Parteolla), da discariche gestite da
aziende private (come a Serdiana) e così via sottraendo ai
diritti delle collettività locali.
Magari
svolgendo quella “interlocuzione diretta con le comunità” attraverso
qualche consuetamente dispendiosa indagine di ricerca da
svolgersi con il non disinteressato supporto di esponenti
universitari.
Se soldi
pubblici devono esser spesi, lo devono essere per rafforzare, formare, rendere
più efficiente strutture regionali competenti in materia di usi civici.
Attualmente in Sardegna, secondo quanto oggetto di
provvedimenti di accertamento, risultano terreni a uso civico in 340 Comuni sui
369 su cui sono state condotte le operazioni.
I criteri
per l’accertamento degli usi civici sono chiari e sono uguali in tutta Italia:
sono i terreni di origine “feudale o ademprivile”e quelli di “antico
possesso” o “originaria pertinenza” e si verificano
fondamentalmente attraverso l’esame degli archivi dello Stato e degli altri
Enti Pubblici Territoriali, degli Archivi notarili, degli archivi commissariali
(per la Sardegna vds. la deliberazione del 10 dicembre
2021, n. 48/15 con
cui la Giunta regionale sarda ha approvato lo specifico “Atto di indirizzo interpretativo e applicativo per la gestione dei
procedimenti amministrativi relativi agli usi civici di cui alla L.R. n.
12/1994, alla L. n. 1766/1927 e alla L. n. 168/2017” anche in attuazione delle
disposizioni nazionali in materia di usi civici, comprese quelle sul
trasferimento dei diritti di uso civico).
I Comuni
sardi sono 377: mancano ancora le attività di accertamento su 7 Comuni, nei
quali si stima, comunque, la presenza di terre collettive.
In 30
Comuni, al termine delle operazioni, non sono risultati terreni a uso civico.
Complessivamente
(considerando anche gli ultimi 7 Comuni dove devono esser svolte le operazioni
di accertamento, ma dove se ne stima la presenza), dovrebbero essere 348 su 377
i Comuni dove sono presenti i demani civici, ben il 92% dei Comuni sardi.
Sono stati,
inoltre, verificati e aggiornati i dati (estensione, catasto, ecc.) relativi ai
340 demani civici accertati (luglio 2021), grazie a un buon lavoro condotto
dalle strutture regionali competenti.
L’estensione
complessiva delle terre collettive finora accertate è di circa
303.676 ettari, pari al 12,62% dell’Isola, riportati nell’Inventario regionale delle Terre
civiche, il
documento fondamentale, di natura ricognitiva, per la conoscibilità dei terreni
appartenenti ai demani civici in Sardegna.
L’Istituto
Nazionale di Economia Agraria stimava (1947) la presenza di 314.814 ettari di
terreni a uso civico in Sardegna.
In Italia si
stima che le terre collettive siano il 7-10% del territorio nazionale e il
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) ha recentemente avviato una indagine conoscitiva in
proposito.
I domini
collettivi, i terreni a uso civico e i demani civici (legge n. 1766/1927 e s.m.i., legge n. 168/2017, regio decreto n. 332/1928 e s.m.i.) costituiscono un patrimonio di
grandissimo rilievo per le Collettività locali, sia sotto il profilo
economico-sociale che per gli aspetti di salvaguardia ambientale, valore
riconosciuto sistematicamente in sede giurisprudenziale.
I diritti di
uso civico sono inalienabili, indivisibili, inusucapibili e imprescrittibili
(artt. 3, comma 3°, della legge n. 168/2017 e 2, 9, 12 della legge n. 1766/1927
e s.m.i.). I domini collettivi sono tutelati ex lege con il
vincolo paesaggistico (art. 142, comma 1°, lettera h, del decreto legislativo n. 42/2004 e
s.m.i.).
Ogni atto di disposizione che comporti ablazione o che comunque incida su
diritti di uso civico può essere adottato dalla pubblica amministrazione
competente soltanto a particolari condizioni, previa autorizzazione regionale e
verso corrispettivo di un indennizzo da corrispondere alla collettività
titolare del diritto medesimo e destinato a opere permanenti di interesse
pubblico generale (artt. 12 della legge n. 1766/1927 e s.m.i.).
I cittadini
appartenenti alle collettività locali sono gli unici titolari dei diritti di
uso civico nei rispettivi demani civici (artt. 2, commi 3° e 4°, e 3, commi 1°
e 2°, della legge n. 168/2017 e s.m.i.). Inoltre, il regime giuridico dei
demani civici prevede la “perpetua destinazione agro-silvo-pastorale”
(art. 3, comma 3°, della legge n. 168/2017), nonché “l’utilizzazione del
demanio civico … in conformità alla sua destinazione e secondo le regole d’uso
stabilite dal dominio collettivo” (art. 3, comma 5°, della legge n.
168/2017).
Quindi, i
beni in proprietà collettiva sono soggetti per legge a vincolo di destinazione
e a vincolo ambientale: non possono essere oggetto di una concessione
amministrativa che ne importi la trasformazione.
E quando si
verifica l’avvenuta irreversibile trasformazione di terreni dei demani civici
si può avviare il procedimento di trasferimento dei diritti di uso civico: la
legge n. 168/2017 in materia di usi civici è stata integrata con le
disposizioni poste dall’art. 63 bis della legge n. 108 del 29 luglio 2021 di conversione con
modificazioni e integrazioni del decreto-legge n. 77/2021, il c.d. decreto governance PNRR)
che consente il trasferimento dei diritti di uso civico da terreni ormai
irrimediabilmente compromessi (es. perché edificati) ad aree
provenienti dal patrimonio comunale o regionale di valore ambientale (es.
boschi, coste, zone umide, ecc.). In Sardegna vi sono già stati diversi procedimenti in proposito (per esempio, a Monti, ad
Abbasanta, a San Vero Milis, a Oristano, a Lanusei, a Sindia, ecc.) che hanno
consentito un recupero ai demani civici di terreni di valore ambientale e
contemporaneamente han risolto le problematiche di tanti cittadini.
Un grande
patrimonio ambientale collettivo che dobbiamo conservare e custodire per le
generazioni future.
E il GrIG,
che da decenni agisce concretamente per la salvaguardia delle
terre collettive sarde, come già avvenuto negli anni scorsi, farà di tutto per evitare
qualsiasi nuovo sciagurato Editto delle Chiudende sotto
qualsiasi forma.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
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