L'indagine dell’unità investigativa di
Greenpeace, Unearthed e dell’organizzazione Public Eye mette in luce i rischi:
"Possiamo importare prodotti agricoli trattati con queste sostanze".
Negli ultimi sette anni, a dispetto dei suoi impegni, l’Unione europea ha
continuato a esportare pesticidi rischiosi per la salute e
l’ambiente (e per questo vietati nei campi coltivati europei) principalmente
verso Paesi a medio e basso reddito. Anzi, come racconta una nuova inchiesta
dell’unità investigativa di Greenpeace, Unearthed e
dell’organizzazione Public Eye, nel 2024 l’Ue ha autorizzato l’export
di pesticidi contenenti 75 sostanze chimiche proibite nei campi
europei, quasi il doppio rispetto alle 41 esportate nel 2018, come aveva
svelato una precedente indagine. Tutto possibile a causa delle lacune nella legislazione
europea che rende le aziende libere, anche quando un pesticida viene vietato,
di produrre ed esportare il prodotto in Paesi con regolamentazioni più deboli.
Ad aumentare, però, non sono soltanto le sostanze chimiche pericolose, ma anche
i volumi che l’Unione Europea cerca di inviare all’estero: nel 2024 l’Ue ha
notificato l’intenzione di esportare circa 122mila tonnellate di
prodotti contenenti pesticidi vietati, più del doppio di quelli esportati
nel 2018, primo anno per il quale sono disponibili dati completi. Tra questi
sono inclusi pesticidi che comportano danni cerebrali nei
bambini, infertilità e interferenze endocrine, oltre a enormi
quantità di insetticidi letali per le api e pericolosi per la fauna selvatica,
che la stessa Ue ha definito una minaccia globale per la biodiversità e la
sicurezza alimentare. Una distorsione che rischia di diventare un boomerang:
non c’è alcuna garanzia, infatti, che in Europa e in Italia non rientrino
prodotti agricoli trattati con quegli stessi pesticidi.
I pesticidi esportati in 71 Paesi a medio e basso reddito, 25 in Africa – I risultati
provengono da centinaia di “notifiche di esportazione”, documenti che le
aziende Ue devono produrre prima di esportare un prodotto contenente sostanze
vietate in Europa, ottenuti tramite Foia (Freedom of Information Act, Accesso
civico generalizzato). “È vergognoso e allo stesso tempo profondamente ipocrita
che l’esportazione europea di pesticidi banditi nelle stesse aziende agricole
dell’Ue sia cresciuta così tanto negli ultimi sette anni” commenta Simona
Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. Nel
2024, pesticidi vietati nell’Ue sono stati esportati in 93 Paesi, 71
dei quali (oltre i tre quarti) sono a medio o basso reddito e
risultano destinatari del 58% in peso del totale dei prodotti. Il maggior
importatore tra questi è il Brasile, una delle nazioni con le
riserve di biodiversità più importanti al mondo, seguito da Ucraina, Marocco, Malesia, Cina, Argentina, Messico, Filippine, Vietnam e Sudafrica.
Tra i Paesi destinatari ci sono 25 nazioni africane, mentre gli
Stati Uniti sono il maggiore importatore tra i Paesi ad alto reddito, nonché
primo importatore in assoluto al mondo. Tredici gli Stati membri coinvolti
nell’export di pesticidi vietati: al primo posto la Germania (oltre
50mila tonnellate), seguita da Belgio (16.500
tonnellate), Spagna, Paesi Bassi, Bulgaria, Italia (7mila
tonnellate), Francia, Danimarca, Ungheria e Romania.
Questi dati potrebbero presto cambiare: in Belgio, per esempio, è entrata in vigore
una legge che vieta l’esportazione di molti pesticidi banditi, mentre in
Francia è stato approvato un emendamento per chiudere una delle principali
scappatoie residue nel divieto nazionale. Il pesticida vietato maggiormente
esportato dall’Ue è il ‘fumigante del suolo’ (1,3-dicloropropene),
vietato dal 2007 per il rischio di contaminazione delle acque sotterranee e di
pericoli per la fauna selvatica, seguito dal diserbante glufosinate,
prodotto dal colosso chimico tedesco Basf e il mancozeb, fungicida
vietato nel 2020 dopo la sua classificazione come tossico per la riproduzione e
come interferente endocrino.
Quali sono le aziende che esportano – Oltre 40 le aziende
esportatrici in Europa, tra cui Basf, maggiore esportatrice per peso,
Teleos Ag Solutions, Agria, le multinazionali Corteva, Syngenta, Bayer e
AlzChem. “In Italia sei aziende, tra cui Finchimica, Tris International,
Corteva e Sipcam Oxon, hanno notificato complessivamente l’esportazione di
quasi 7mila tonnellate di pesticidi contenenti 11 sostanze chimiche
vietate – racconta Greenpeace – su tutti l’erbicida trifluralin,
proibito da quasi 20 anni in Unione Europea perché altamente tossico per pesci
e altri animali acquatici, nonché sospetto cancerogeno e altamente persistente
nel suolo, ma anche il suo parente chimico ethalfluralin”. Questi pesticidi
sono noti per essere pericolosi per gli esseri umani, gli insetti impollinatori
e altre specie selvatiche. “Eppure le aziende al centro dell’inchiesta di Unearthed e Public
Eye, comprese quelle italiane – sottolinea Simona Savini –
continuano a trarre profitto vendendo prodotti vietati soprattutto a Paesi più
poveri e con normative più deboli, mettendo a repentaglio la salute dei
lavoratori del comparto agricolo, delle comunità locali e della natura”.
Un meccanismo che può rivelarsi un boomerang – Come
sottolinea Simona Savini, inoltre, “nulla ci garantisce che nel
nostro Paese non rientrino prodotti agricoli trattati con quegli stessi
pesticidi vietati esportati fuori dai confini europei, creando un ulteriore
paradosso”. La scorsa estate, presentando un dossier dedicato alle filiere di
mais e di grano, Slow Food ha sottolineato la necessità che ai
prodotti importati nell’Ue vengano applicate le stesse norme sui pesticidi in
vigore per le produzioni comunitarie, ricordando che i composti utilizzati
fuori dai confini Ue, spesso provengono proprio dai Paesi europei (dove
però sono vietati dai regolamenti comunitari) ed esportati all’estero per
essere usati su colture (tra cui i cereali) poi esportate proprio nell’Unione.
La promessa infranta della Commissione europea – Poco dopo la
pubblicazione della prima inchiesta sull’export di pesticidi vietati firmata
da Unearthed e Public Eye nel 2018, ricorda
Greenpeace, la Commissione europea si era impegnata a porre
fine a questa pratica, dichiarando che avrebbe garantito che le sostanze chimiche
pericolose vietate nell’Ue non sarebbero state prodotte per l’esportazione,
anche modificando la legislazione, se necessario. Ma il 2018 per l’Unione
europea era una diversa era geologica. In mezzo c’è stata, nel 2019, la
presentazione del Green Deal europeo (“come lo sbarco
dell’uomo sulla Luna” secondo Ursula von der Leyen) e il suo
smantellamento. Morale: alle promesse, finora, non sono seguiti i fatti.
“La Commissione Europea – conclude Savini –
deve intensificare i suoi sforzi e rispettare il suo impegno a introdurre un
divieto a livello Ue su questo commercio tossico. È scandaloso che i profitti
dell’industria chimica europea debbano avere la precedenza sull’ambiente e
sulla salute delle persone”.
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