domenica 7 settembre 2025

Gaza: genocidio di popolo e terra - Paola Caridi

Un bulldozer che sradica un ulivo. A Mughayyir, un villaggio palestinese a neanche 30 km di distanza da Ramallah. Cisgiordania. Ben lontano da Gaza. Ancor più invisibile (che paradosso!) di Gaza. È uno dei simboli del genocidio che Israele sta compiendo sui palestinesi. C’è tutto, in questo fermo immagine ricavato da un video in cui la soldata israeliana alla guida del bulldozer si assume tutta la responsabilità (morale e penale) di un gesto che a prima vista sembra folle. Tutto è, meno che folle. Descrive nella sua essenza il genocidio, sottolinea il senso di impunità che da decenni segna le azioni delle forze armate israeliane, mostra il senso di onnipotenza e, intrinseca, la rimozione totale che gli israeliani esercitano sui crimini che stanno commettendo. Ne hanno già sradicati tremila, di ulivi, a Mughayyir: il sostentamento economico, produttivo del paesino cisgiordano, con il preciso obiettivo di espellere, cacciare la popolazione palestinese.

L’ulivo, l’albero non può neanche accusato di essere un terrorista. Viene, però, considerato palestinese. La soldata dice: oggi l’albero, domani ti demolisco la casa. Ed è ben singolare che, per la soldata israeliana e per tutti gli israeliani che bruciano gli alberi o non fanno niente per fermare la spirale di ferocia in cui sono attanagliati, l’albero venga abbattuto e sradicato in quanto palestinese. Ma come, quella terra non è Eretz Israel? Non è parte fondamentale del ritorno – appunto – “alla terra” di “un popolo senza terra”? Qui è la differenza fondamentale tra le comunità, tra l’israeliana e la palestinese. Per la prima, l’ulivo è da abbattere, bruciare, sradicare,  come fanno da decenni coloni ed esercito. Centinaia di migliaia di alberi sacrificati, c’è chi parla di un milione. E’ tutto legato all’idea di dominare, anche la terra: possederla, esserne proprietari. Per i palestinesi, invece, l’albero è compagno, un elemento del sistema, dell’ecosistema, della terra: come della terra sono elemento gli umani.

La ferocia si esprime in modi differenti, in questo ultimo capitolo della questione israelo-palestinese. Anche nella violenza irriducibile, nella rabbia protetta da una impunità incomprensibile e inaccettabile che prende di mira… un albero.

È per questo che per il genocidio in atto dei palestinesi, da parte di Israele, andrà cercata una nuova parola. Genocidio non basta, anche se è termine ineludibile perché è quello che gli israeliani stanno compiendo, e che è sanzionato dalla convenzione sul genocidio del 1948 che abbiamo sottoscritto (come Italia), e che è crimine punito dalla nostra stessa legislazione attraverso la legge 962 dell’ottobre 1967 (firmata dall’allora presidente del consiglio Aldo Moro). Dettaglio importante: dovrebbero leggerla tutti e tutte, questa legge, politici compresi, giornalisti compresi, perché nessun cittadino, nessuna cittadina è esclusa da possibili accuse e condanne.

Una parola aggiuntiva, dunque, oltre quella conclamata di genocidio. L’ecocidio, di cui s’è già scritto: la distruzione dell’ambiente. Non basta, però. È genocidio ed ecocidio assieme, tentativo di annichilire, cancellare popolo e terra assieme. E in quell’assieme c’è la relazione indissolubile che non ne fa due ‘cidi’ staccati. Non è genocidio sommato a ecocidio. È popolo e terra assieme, ed è questa relazione ancestrale, consolidata, naturale che fa più paura a chi ha orchestrato, intenzionalmente, lo sterminio in atto. Com’è successo ai popoli nativi oggetto dei genocidi in epoca coloniale, certo. Ma qui, ora c’è una misura che va oltre, non solo perché la tecnologia la rende più feroce. Bisogna azzerare la terra, espellere il popolo. Fare tabula rasa per cancellare la sua storia.

Gaza è a ferro e fuoco, da quasi due anni. E in questi ultimi giorni è la città di Gaza a essere il bersaglio primo. La città di Gaza, la città che ha migliaia di anni e di storia, la città-porto terminale della via dell’Incenso e della via delle Spezie, la città della scuola teologica cristiana di Gaza, la città delle moschee e dei commerci e dei festival poetici delle rose, la città capoluogo di una regione molto più estesa della Striscia in cui è stata rinchiusa dal 1948. Non penseranno mica, gli israeliani, di bombardare, minare, distruggere l’abitato di Gaza e cancellare, in questo modo, la storia plurimillenaria di Gaza? Come se la storia plurimillenaria di Gaza possa essere azzerata da un misero insieme di ferraglie che si chiama caterpillar. Come se non risorgerà proprio dalla sua distruzione per dire: “sono perché sono stata, la storia di questo posto, e lo testimonia il mare che ha sempre bagnato Gaza e non può essere distrutto”.

da qui

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