Dopo anni di lotte contro il depotenziamento e chiusura dei servizi psichiatrici nei territori sardi e il conseguente stato di abbandono delle persone con disturbo mentale, il ritorno alla terapia elettroconvulsivante (elettroshock) all’ospedale San Martino di Oristano, apre un dibattito.
A quasi 50 anni dalla riforma
psichiatrica, il disturbo mentale in Sardegna continua ad essere considerato un
problema marginale. I servizi territoriali sono stati sempre meno incentivati
sino a decretarne la chiusura e con essa l’invisibilità della sofferenza
mentale. Il volontariato, spesso osteggiato dal mondo politico, non può
compensare la latitanza delle istituzioni. Di certo, la risposta meno attesa è
il ripristino dell’elettroshock per i resistenti alle terapie
farmacologiche, dicono.
Una risposta sbrigativa e di
retroguardia, rispetto alla Riforma Psichiatrica di Basaglia (Legge 180 del 78)
che dispose la chiusura dei manicomi e nuovi modelli di cura centrati sulla
dignità della persona e la sua capacità di reinserimento nella società. Eppure,
l’istituzione dei servizi territoriali di assistenza, come alternativa alla
segregazione e ai maltrattamenti nei manicomi sono stati sempre più
sottovalutati.
L’imbarbarimento delle politiche
sanitarie aggrava la condizione della nostra psichiatria. La Sardegna necessita
di centri di salute mentale ben organizzati nei territori e dotati di diverse
professionalità. Strutture che prendano in carico la persona evitando
l’ospedalizzazione con i suoi fallimenti. Poco importa che oggi l’elettroshock,
a differenza del passato, si pratichi da esperti professionisti e in anestesia
generale. Poco importa il consenso della persona, anche se dal Codice di
Norimberga in poi, a cui dobbiamo il diritto al Consenso informato nella
sperimentazione clinica e farmacologica, si sia rivelato di facile violazione a
colpi di decreti ministeriali.
Riteniamo che il problema da superare
non siano le barriere pregiudiziali delle persone, costruite sulla scia della
cultura antipsichiatrica o dalla visione cinematografica. E’ la drammatica
storia della psichiatria che induce le famiglie a diffidare di ogni modello
terapeutico d’ispirazione manicomiale.
Mettere al centro del dibattito politico
il disagio mentale in Sardegna, implica il superamento delle politiche
sanitarie distruttive dei servizi psichiatrici territoriali, che condannano i
malati e le famiglie all’abbandono o relegano tale sofferenza a concezioni
manicomiali superate dalle leggi e dalla storia.
La notizia sull’incarico e la
retribuzione di “altissima professionalità” al medico che effettuerà gli
elettroshock nel SPDC di Oristano, è solamente un sintomo del disorientamento
dei vertici della sanità sarda, della frammentazione della sanità, della
crescita dei costi e delle disuguaglianze, della mancanza di visione, di pianificazione
strategica e non solamente sul fronte della psichiatria.
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