Perù, Ecuador e Venezuela hanno impedito la svolta scatenando le reazioni delle comunità indigene, che hanno anche denunciato la "posizione blanda" del presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva.
La foresta dell’Amazzonia non sarà una “zona libera da
combustibili fossili”, ma per la prima volta le comunità indigene
parteciperanno attivamente alle discussioni dell’Otca, l’Organizzazione del
Trattato di Cooperazione Amazzonica, e nasce l’idea di un “Fondo Boschi
tropicali” da proporre alla COP30 di Belém,
in Brasile.
Ma andiamo con ordine: lo stop ai combustibili fossili è il grande assente
nella Dichiarazione di Bogotá, sottoscritta dai membri dell’Otca al
termine del vertice dell’Amazzonia tenutosi questa settimana, da lunedì 18 a
sabato 23 agosto, nella capitale colombiana, nonostante le pressioni di
scienziati, società civile, comunità indigene e persino del Paese ospitante,
che aveva introdotto la proposta attraverso la viceministra dell’Ordinamento
ambientale del territorio colombiano, Tatiana Roa Avendaño.
“L’Amazzonia è molto più di un bioma: è un regolatore climatico globale, una
riserva di acqua dolce e di biodiversità senza eguali”, ha detto Roa Avendaño,
denunciando che “la sua distruzione, provocata in grande misura dall’estrazione
e dal processamento dei combustibili fossili, compromette la nostra sicurezza
alimentare, la salute pubblica e la stabilità climatica globale” e mette “a
rischio la sopravvivenza umana”.
Tuttavia, Perù, Ecuador e Venezuela hanno
impedito l’inclusione dello storico punto negli accordi, scatenando le reazioni
delle comunità indigene, che hanno anche denunciato la “posizione blanda” del
presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva durante i
lavori. Le comunità accusano il Paese ospitante della prossima COP30 – cui
appartiene il 60% della superficie amazzonica – di espandere “la frontiera
petrolifera” sulla foresta, difendendo a spada tratta lo sfruttamento dei
combustibili fossili. Ma sul tema, la dichiarazione finale di 35 punti si
riduce all’invito “verso una transizione energetica giusta, ordinata ed equa”,
ricordando il 45° anniversario del trattato sottoscritto nel 1978 da Brasile,
Bolivia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela.
Qualche risultato è stato ottenuto con l’apertura al confronto con le
comunità indigene, attraverso l’istituzione del Mapi, il Meccanismo
amazzonico dei popoli indigeni – sono 511, di cui 66 in isolamento volontario –
che dà “voce e voto” alle comunità nella “definizione delle politiche sui loro
territori e sul futuro del bioma amazzonico”. “Non è una responsabilità
piccola”, ha commentato Sonia Guajajara, presidente del Fondo per
lo sviluppo dei popoli indigeni dell’America Latina e i Caraibi, ribadendo
l’urgenza di trasformare “la relazione fra esseri umani e natura”. È stato
rilanciato anche il Fondo Boschi tropicali, che sarà discusso alla
COP30 affinché i Paesi ricchi “paghino il loro debito per
l’industrializzazione”. La proposta era già stata presentata alla COP28 di
Dubai e rinnovata nella Settimana dell’Azione climatica, il mese scorso a
Londra, contando sul sostegno di Regno Unito, Norvegia, Emirati
Arabi e altri Stati, oltre a enti privati – Pimco, Bank
of America e Barclays – e dell’United Nations
Development Program.
Sempre su iniziativa del governo brasiliano sarà istituito il Centro di
cooperazione di polizia internazionale dell’Amazzonia a Manaus per
“lo scambio agile di informazioni” e lo “sviluppo di azioni integrate” contro
reati ambientali, narcotraffico e contrabbando.
“Un singolo Stato non può più affrontare da solo questo flagello”, ha ammesso
il ministro della Giustizia brasiliano Ricardo Lewandowski,
denunciando una ventina di organizzazioni criminali transnazionali nel polmone
verde, dove il tasso di mortalità raggiunge 30,9 persone ogni 100mila abitanti.
L’emergenza c’è e non fa più sconti: stando ai dati pubblicati dall’Ideam,
l’Istituto colombiano di idrologia, meteorologia e studi ambientali, nel 2024
il Rio delle Amazzoni ha raggiunto il livello più basso degli
ultimi 122 anni, con un calo dell’82% della fluvialità nella stazione
idrologica di Nazareth (Colombia). Nello stesso anno si sono
verificati quasi 54mila incendi, di cui il 95% provocati
dall’intervento umano: +80% rispetto all’anno precedente, portando le emissioni
di carbonio accumulate a 183 megatonnellate. Quanto alla deforestazione:
il 20% della superficie della foresta è già colpito, secondo la Banca Mondiale,
e la percentuale rischia di essere raddoppiata nel 2040, sfiorando i 4,3
milioni di ettari.
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