venerdì 16 aprile 2021

la bellissima sorpresa nelle elezioni della Groenlandia

 

Groenlandia, tesoro sotto i ghiacci, ma vince l’ambiente sulla ricchezza

   

Le elezioni in Groenlandia sono state vinte dal partito di opposizione contrario allo sfruttamento dei giacimenti di metalli rari del monte Kuannersuit. Il partito della Comunità Inuit (Inuit Ataqatigiit), il popolo nativo della regione artica, ha vinto le elezioni per decidere sul futuro del  monte Kuannersuit (Kvanefjeld in danese), che secondo una stima del Polar Research and Policy Initiative sarebbe «il secondo più grande giacimento di metalli rari al mondo, e la quinta più grande riserva di uranio» al mondo.

 

Felicità e natura prima della ricchezza

56mila abitanti in un mondo di ghiaccio immenso che appare ancora più vasto nel nord estremo del pianeta per la distorsioni create dalla rappresentazione di Mercatore, la mappa disegnata del pianeta. Non ci sono ferrovie, ha poche strade e un unico aeroporto internazionale, Kangerlussuaq, dove spesso non si può atterrare perché il ghiaccio rompe la pista. La Groenlandia è anche l’isola più grande del pianeta, più grande dell’altro deserto opposto, quello caldo dell’Arabia Saudita. Destino comune di due terre difficili per l’uomo, i tesori più preziosi nascosti sotto.

 

Monte Kuannersuit uranio e terre rare

Groenlandia di Danimarca, ma ognuno a casa sua. Un territorio che pur avendo molte autonomie fa parte della Danimarca e che grazie ai quei giacimenti di metalli rari attira l’interesse di diverse compagnie minerarie straniere. Comunità Inuit, partito indipendentista, non è contrario allo sfruttamento delle risorse minerarie in generale, ma a quelle del monte Kuannersuit sì. Secondo parte dei groenlandesi, il monte non dovrebbe diventare un sito di estrazione mineraria perché tra i materiali che contiene c’è anche l’uranio che è radioattivo. Le decisioni del futuro governo a proposito dello sfruttamento minerario potrebbero avere conseguenze ben al di là dei confini groenlandesi e interessare anche le economie di diversi paesi del mondo.

 

Difficile viverci, facile da distruggere

Non è semplice costruire infrastrutture sull’isola dove circa l’80 per cento del territorio è coperto dal ghiaccio per tutto l’anno. A causa del riscaldamento globale e progressivo scioglimento dei ghiacci, potrebbe presto diventare più facile sfruttare le grandi risorse minerarie dell’isola. La Groenlandia sa du giacimenti di ferro, uranio, alluminio, rame e metalli rari, minerali che si trovano in alte concentrazioni solo in alcuni punti della Terra e che sono fondamentali per l’economia contemporanea, dato che si usano per fare smartphone, batterie, impianti di fibra ottica, ma anche turbine eoliche e automobili elettriche. Estrarre e vendere i minerali della Groenlandia, oltre che stringere legami economici con i Paesi coinvolti, aumenterebbe la loro influenza nell’Artico.

 

Cina concorrente diretto per le terre rare

Attualmente la Cina è il principale esportatore di questi materiali -le ‘terre rare’- perché possiede la stragrande maggioranza dei giacimenti in cui si trovano (il secondo paese che ne ha di più è il Vietnam), mentre gli Stati Uniti importano la maggior parte di quelli che usano. La decisione del prossimo governo groenlandese riguarderà anche le società straniere che vorrebbero estrarre e vendere i minerali della Groenlandia.

 

Il monte Kuannersuit, a meno di 10 chilometri dalla cittadina di Narsaq, che, con i suoi 1.300 abitanti è la nona località più popolosa della Groenlandia. A Narsaq molti sono contrari per i detriti radioattivi che sarebbero prodotti dalle attività minerarie.

 

Ripensamenti politici a favore dell’ambiente

Lo scorso settembre il Siumut, l’allora partito di governo, aveva concesso alla società australiana Greenland Minerals lo studio per lo sfruttamento dei giacimenti del monte Kuannersuit. Ma prima delle consultazioni con le parti sociali di Narsaq necessarie all’autorizzazione definitiva, il Siumut aveva cambiato leader, e anche la posizione sullo sfruttamento minerario. Nuovo capo del partito più attento alle preoccupazioni di chi vive nel sud della Groenlandia, vicino alla montagna. A febbraio crisi di governo con proteste contro il progetto di sfruttamento del sito di Kuannersuit.

 

Vivere felici pescando

L’economia delle piccole comunità del sud della Groenlandia si basa sulla pesca e tutti temono che le polveri prodotte dalle attività minerarie possano inquinare il mare e l’acqua potabile. Le esportazioni groenlandesi attuali sono per il 95 per cento prodotti ittici, un limitato settore turistico andato in crisi con la pandemia, e sul sostegno finanziario della Danimarca, che ogni anno dà al suo territorio autonomo quasi 500 milioni di euro che coprono circa la metà del bilancio statale. Indipendentismo groelandese, ma prima indipendenza economica: per questo lo sviluppo del settore minerario, è fondamentale per tutti, compresa la Comunità Inuit.

 

Via cinese della seta e base militare Usa

La scelta politica dei groenlandesi avrà ripercussioni anche sulla Cina. Tra gli azionisti di Greenland Minerals c’è anche Shenghe Resources, una delle più grandi società cinesi che si occupano di metalli rari. La Shenghe Resources possiede un decimo di Greenland Minerals e ha stretti legami con lo stato cinese. L’altro grosso tema della politica groenlandese è come gestire l’influenza di paesi stranieri. Si parla in particolare degli Stati Uniti, che sull’isola hanno la loro base militare attrezzata per il lancio di missili balistici più settentrionale, a fronteggiare le postazioni russe che dominano l’Artico.

da qui

 

 

 

Indipendenza e sviluppo sostenibile:
in Groenlandia vincono le sinistre -
PAOLO BORIONI

Nell’elezione Groenlandese di pochi giorni fa vince alla grande il partito di democrazia socialista Inuit Ataqatigiit (Comunità popolare), ed è un’elezione storica. Anche e soprattutto perché accade nella zona artica, quella del globo investita dai maggiori e più profondi mutamenti: ambientali, con un riscaldamento climatico particolarmente accelerato, economici, con giacimenti immensi di ogni tipo da sfruttare, e strategici, con la lotta fra le potenze artiche rivali (USA e Russia) per accaparrarseli. Con l’aggiunta della Cina che come sempre ed ovunque preme per essere protagonista. Fino a volersi definire “nazione artica”.

L’avanzata del socialismo artico

Di fronte a tutto questo è significativa la vittoria di un eco-socialismo che si oppone all’assenso verso la Greenland Minerals, compagnia australiana pronta ad investire cifre immense per estrarre terre rare e uranio a Kvanefjeld, nel sud del paese. Di fronte alla possibilità di uno sfruttamento ritenuto inaffidabile, gli Inuit hanno risposto in queste elezioni parlamentari con un deciso no. I vincitori del IA arrivano ad uno storico 36,6%, ed è sconfitto, ma nettamente secondo, il partito socialdemocratico Siumut (Avanti!) pur in incremento dal 27 al 29,4%. Va detto però che anche Vivian Motzfeldt, vicesegretaria di quest’ultima forza politica, aveva espresso forti dubbi sul progetto di Kvanefjeld, le cui scorie per il momento si progettano smaltite nel lago prossimo alla cittadina di Narsaq, 1300 abitanti. Così, che i dubbi e le opposizioni siano forti è comprensibile: la Greenland Minerals prevede una miniera allo scoperto, per 37 anni, con un’estrazione di 3 milioni di tonnellate l’anno di terre rareuranio e torio e, particolarmente inaccettabile ad una maggioranza di Inuit, in totale la produzione di oltre 220 milioni di tonnellate di scarti e scorie, in cambio di appena 328 posti di lavoro groenlandesi.

Nessuna meraviglia, così, che la Motzfeldt, già mesi prima delle elezioni, avesse fermato la corsa sfrenata verso il progetto, costituendo con altri una maggioranza interna nuova al Siumut, ed eleggendo, al posto del leader socialdemocratico e capo del governo autonomo groenlandese Kim Kielsen, un altro leader, Erik Jensen. La manovra è riuscita a frenare le perdite elettorali e ad ottenere nella totalità del paese un buon risultato, ma nel sud, maggiormente in ansia per il progetto minerario, non è bastato: la socialdemocrazia di Siumut, che nella regione otteneva fino al 56%, ha accusato un netto e inequivocabile arretramento (fino al 40%) a favore di IA, da sempre nettamente contrario alle estrazioni di Kvanefjeld. IA le ritiene innanzitutto (ancora) non sicure per la base di sostentamento storica degli Inuit (pesca, caccia, ambiente, oggi l’85% del PIL esportato). Ma la contrarietà del partito e dell’opinione maggioritaria è dovuta anche al fatto che il contesto (compresa l’autonomia dalla Danimarca) non è ancora tale da garantire che la trattativa sia del tutto svolta secondo le premesse Inuit. Peraltro, con l’apertura del mercato cinese (tanto più se con domanda interna potenziata come ha deciso il Pcc) anche l’esportazione di prodotti ittici e la sua salvaguardia non va assolutamente ritenuta un totale ripiego.

Uno sviluppo diverso

Quando si chiede loro come sostituiranno le risorse promesse da Greenland Minerals, IA indica per esempio una riforma del sistema fiscale, che contrariamente al paese tradizionalmente “coloniale”, la Danimarca, è tutt’altro che di tipo nordico progressivo, anzi è improntato alla “aliquota piatta”. I socialisti di IA insomma contano, con una riforma fiscale progressiva, di rimediare alla forte disuguaglianza e al contempo di ricevere introiti da utilizzare per uno sviluppo sostenibile e durevole del paese. Una volta impostato il futuro in questo modo si potrà pensare ad una graduale ma chiara indipendenza dalla Danimarca, di cui IA è sostenitore ma non fanaticamente, come lo sono invece altre forze politiche più nazionaliste. Per esempio Naleraq (Il segnale): la terza forza (12%), anche essa diffidente verso le nuove miniere, che verrà coinvolta in non facili trattative di governo.

L’esito di un’indipendenza davvero solida e “ragionata” presuppone che nuove risorse siano utilizzate anche per formare più quadri locali di una più efficiente pubblica amministrazione. Essa oggi dipende troppo da giovani laureati danesi che fanno una breve, prima esperienza nel paese artico, e poi tornano in Danimarca ad utilizzare le nuove competenze. Un’altra dipendenza da recidere. La sovranità per cui lotta il socialismo Inuit appare quindi di ampio respiro: soprattutto di tipo democraticoeconomico ambientale, vede in prospettiva favorevolmente una “libera associazione” con la Danimarca, specie se questa sarà lungimirante e collaborerà contenendo solo gradualmente il bloktilskud, cioè il contributo annuo di 4 miliardi di corone che devolve ai 60.000 abitanti della immensa Groenlandia.

In genere, inoltre, proprio riguardo alle sconvolgenti novità economiche e geostrategiche in atto nell’Artico, è evidente come gli Inuit con il voto abbiano esplicitato che intendono decidere secondo tempistiche e criteri compatibili con la sovranità popolare e il proprio concetto di interesse nazionale e di benessere. Se sono abili, a questo punto, potranno disporre delle proprie immense risorse nel senso di trattare su questo ed altro. E così in effetti pare di capire possa andare, al di là delle dichiarazioni vittoriose di Múte B. Egede (leader IA): “Il popolo ha parlato, il progetto minerario di Kvanefjeld è seppellito”.

Il risultato dei socialdemocratici

Da interpretare, si diceva, il risultato di Siumut: la sua conferma ad ottimi livelli, in realtà, va decodificata come ulteriore segno di diffidenza verso il progetto di Kvanefjeld. La socialdemocrazia Inuit infatti si era recentemente spaccata sul progetto, fino a liberarsi della leadership di Kim Kielsen, anche capo del governo autonomo nella Comunità del Regno Danese (Rigsfælleskabet, composta anche da Danimarca in senso proprio e FærØer). Kim Kielsen era infatti ritenuto troppo acriticamente favorevole alla prospettiva delle terre rare subito. Su una linea più cauta in proposito è la maggioranza che al suo posto ha scelto Erik Jensen. Come minimo i socialdemocratici di Siumut favoriranno un allungamento e ampliamento delle consultazioni democratiche, cioè della ricerca di possibili migliori soluzioni da ogni punto di vista. Compresa (sarebbe auspicabile) una struttura, quando e se sarà, dello sfruttamento del sottosuolo che, per esempio sul modello norvegese, garantisca ai locali il controllo pieno dei diritti di concessione, ed accumuli in fondi sovrani vasta parte dei proventi. Devolvendo solo una parte ridotta delle rendite derivate agli impieghi di bilancio. E assicurando ampia e qualificata occupazione ai locali.

Via alle trattative

Le trattative di governo si svolgeranno dunque verosimilmente su questa base, anche coinvolgendo altre forze. Il leader IA Múte B. Egede, che registra un forte successo personale e si avvia a diventare, a 34 anni, il più giovane capo del governo autonomo da quando (1979) la Danimarca ne ha concesso uno, ha parlato di “coalizione”. Con ciò (proprio come in Danimarca) si possono intendere varie soluzioni (governo di minoranza sostenuto dall’esterno, o esecutivo maggioritario a più partiti) per colmare la differenza di 4 seggi che manca a 16, il numero magico nell’Assemblea del Naalakkersuisut (Governo Autonomo).

Quanto ai danesi etnici e a Copenaghen, è probabile comprendano definitivamente che questo è il modo migliore per non venire anche loro travolti dalla “nuova corsa all’oro” delle mega-potenze nell’Artico. Il destino nordico, essere nazioni demograficamente ridotte in zone geostrategicamente vitali (a partire dalla feroce contesa per il Sund in età moderna) va sempre amministrato con cautela, e senza troppi cedimenti, facilmente irrimediabili, sulla sovranità. Trump, non a caso, aveva recentemente dichiarato, per prevenire l’espansione cinese e russa: “La Groenlandia ce la potremmo comprare”. Al che Kim Kielsen aveva replicato: “Greenland is not for sale, but is for business”. Ecco: il voto di ieri ha chiarito che anche gli “affari” cui pensava Kim Kielsen (e qualunque altro negoziato) non saranno una pura formalità, e che nessuno, se la voce dell’elettorato sarà tradotta in atto, si può “aggiudicare” la Groenlandia. Certo, questo potrà riuscire tanto più in quanto nessuna delle grandi potenze vorrà mai ci sia un unico aggiudicatario. La scommessa, in questo senso, è che così possa rimanere un unico decisore finale, o almeno prevalente, seduto a capotavola: gli Inuit, innanzitutto. Specie evolvendo il loro governo autonomo “ad un certo punto” verso la totale autonomia. Con, sullo sfondo, una Danimarca conscia da tempo che sarà così, e interessata a rimanere non il colonizzatore, ma il primo amico degli Inuit di Groenlandia.

da qui

 

 

 

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