Groenlandia, tesoro sotto i ghiacci, ma vince
l’ambiente sulla ricchezza
Le elezioni in Groenlandia sono state vinte dal
partito di opposizione contrario allo sfruttamento dei giacimenti di metalli
rari del monte Kuannersuit. Il partito della Comunità Inuit (Inuit Ataqatigiit),
il popolo nativo della regione artica, ha vinto le elezioni per decidere sul
futuro del monte Kuannersuit (Kvanefjeld in danese), che secondo una
stima del Polar Research and Policy Initiative sarebbe «il secondo più grande
giacimento di metalli rari al mondo, e la quinta più grande riserva di uranio»
al mondo.
Felicità e natura prima della ricchezza
56mila abitanti in un mondo di ghiaccio immenso
che appare ancora più vasto nel nord estremo del pianeta per la distorsioni
create dalla rappresentazione di Mercatore, la mappa disegnata del pianeta. Non
ci sono ferrovie, ha poche strade e un unico aeroporto internazionale,
Kangerlussuaq, dove spesso non si può atterrare perché il ghiaccio rompe la
pista. La Groenlandia è anche l’isola più grande del pianeta, più grande
dell’altro deserto opposto, quello caldo dell’Arabia Saudita. Destino comune di
due terre difficili per l’uomo, i tesori più preziosi nascosti sotto.
Monte Kuannersuit uranio e terre rare
Groenlandia di Danimarca, ma ognuno a casa sua. Un territorio che pur
avendo molte autonomie fa parte della Danimarca e che grazie ai quei giacimenti
di metalli rari attira l’interesse di diverse compagnie minerarie straniere.
Comunità Inuit, partito indipendentista, non è contrario allo sfruttamento
delle risorse minerarie in generale, ma a quelle del monte Kuannersuit sì.
Secondo parte dei groenlandesi, il monte non dovrebbe diventare un sito di
estrazione mineraria perché tra i materiali che contiene c’è anche l’uranio che
è radioattivo. Le decisioni del futuro governo a proposito dello sfruttamento
minerario potrebbero avere conseguenze ben al di là dei confini groenlandesi e
interessare anche le economie di diversi paesi del mondo.
Difficile viverci, facile da distruggere
Non è semplice costruire infrastrutture sull’isola dove circa l’80 per
cento del territorio è coperto dal ghiaccio per tutto l’anno. A causa del
riscaldamento globale e progressivo scioglimento dei ghiacci, potrebbe presto
diventare più facile sfruttare le grandi risorse minerarie dell’isola. La
Groenlandia sa du giacimenti di ferro, uranio, alluminio, rame e metalli rari,
minerali che si trovano in alte concentrazioni solo in alcuni punti della Terra
e che sono fondamentali per l’economia contemporanea, dato che si usano per
fare smartphone, batterie, impianti di fibra ottica, ma anche turbine eoliche e
automobili elettriche. Estrarre e vendere i minerali della Groenlandia, oltre
che stringere legami economici con i Paesi coinvolti, aumenterebbe la loro
influenza nell’Artico.
Cina concorrente diretto per le terre rare
Attualmente la Cina è il principale esportatore di questi materiali -le
‘terre rare’- perché possiede la stragrande maggioranza dei giacimenti in cui
si trovano (il secondo paese che ne ha di più è il Vietnam), mentre gli Stati
Uniti importano la maggior parte di quelli che usano. La decisione del prossimo
governo groenlandese riguarderà anche le società straniere che vorrebbero
estrarre e vendere i minerali della Groenlandia.
Il monte Kuannersuit, a meno di 10 chilometri
dalla cittadina di Narsaq, che, con i suoi 1.300 abitanti è la nona località
più popolosa della Groenlandia. A Narsaq molti sono contrari per i detriti
radioattivi che sarebbero prodotti dalle attività minerarie.
Ripensamenti politici a favore dell’ambiente
Lo scorso settembre il Siumut, l’allora partito di governo, aveva concesso
alla società australiana Greenland Minerals lo studio per lo sfruttamento dei
giacimenti del monte Kuannersuit. Ma prima delle consultazioni con le parti
sociali di Narsaq necessarie all’autorizzazione definitiva, il Siumut aveva
cambiato leader, e anche la posizione sullo sfruttamento minerario. Nuovo capo
del partito più attento alle preoccupazioni di chi vive nel sud della
Groenlandia, vicino alla montagna. A febbraio crisi di governo con proteste
contro il progetto di sfruttamento del sito di Kuannersuit.
Vivere felici pescando
L’economia delle piccole comunità del sud della Groenlandia si basa sulla
pesca e tutti temono che le polveri prodotte dalle attività minerarie possano
inquinare il mare e l’acqua potabile. Le esportazioni groenlandesi attuali sono
per il 95 per cento prodotti ittici, un limitato settore turistico andato in
crisi con la pandemia, e sul sostegno finanziario della Danimarca, che ogni
anno dà al suo territorio autonomo quasi 500 milioni di euro che coprono circa
la metà del bilancio statale. Indipendentismo groelandese, ma prima
indipendenza economica: per questo lo sviluppo del settore minerario, è
fondamentale per tutti, compresa la Comunità Inuit.
Via cinese della seta e base militare Usa
La scelta politica dei groenlandesi avrà
ripercussioni anche sulla Cina. Tra gli azionisti di Greenland Minerals c’è
anche Shenghe Resources, una delle più grandi società cinesi che si occupano di
metalli rari. La Shenghe Resources possiede un decimo di Greenland Minerals e
ha stretti legami con lo stato cinese. L’altro grosso tema della politica
groenlandese è come gestire l’influenza di paesi stranieri. Si parla in
particolare degli Stati Uniti, che sull’isola hanno la loro base militare
attrezzata per il lancio di missili balistici più settentrionale, a
fronteggiare le postazioni russe che dominano l’Artico.
Indipendenza e sviluppo
sostenibile:
in Groenlandia vincono le sinistre - PAOLO
BORIONI
Nell’elezione Groenlandese di pochi giorni fa vince alla grande
il partito di democrazia socialista Inuit Ataqatigiit (Comunità
popolare), ed è un’elezione storica. Anche e soprattutto perché accade nella
zona artica, quella del globo investita dai maggiori e più profondi mutamenti:
ambientali, con un riscaldamento climatico particolarmente
accelerato, economici, con giacimenti immensi di ogni tipo da sfruttare, e
strategici, con la lotta fra le potenze artiche rivali (USA e Russia) per
accaparrarseli. Con l’aggiunta della Cina che come sempre ed ovunque preme per
essere protagonista. Fino a volersi definire “nazione artica”.
L’avanzata del socialismo artico
Di fronte a tutto questo è significativa la vittoria di un eco-socialismo che
si oppone all’assenso verso la Greenland Minerals, compagnia
australiana pronta ad investire cifre immense per estrarre terre rare e uranio
a Kvanefjeld, nel sud del paese. Di fronte alla possibilità di uno sfruttamento
ritenuto inaffidabile, gli Inuit hanno risposto in queste elezioni parlamentari
con un deciso no. I vincitori del IA arrivano ad uno storico 36,6%,
ed è sconfitto, ma nettamente secondo, il partito socialdemocratico Siumut (Avanti!)
pur in incremento dal 27 al 29,4%. Va detto però che anche Vivian
Motzfeldt, vicesegretaria di quest’ultima forza politica, aveva espresso forti
dubbi sul progetto di Kvanefjeld, le cui scorie per il momento si progettano
smaltite nel lago prossimo alla cittadina di Narsaq, 1300 abitanti. Così, che i
dubbi e le opposizioni siano forti è comprensibile: la Greenland Minerals
prevede una miniera allo scoperto, per 37 anni, con un’estrazione di 3 milioni
di tonnellate l’anno di terre rare, uranio e torio e,
particolarmente inaccettabile ad una maggioranza di Inuit, in totale la
produzione di oltre 220 milioni di tonnellate di scarti e scorie,
in cambio di appena 328 posti di lavoro groenlandesi.
Nessuna meraviglia, così, che la Motzfeldt, già mesi prima delle elezioni,
avesse fermato la corsa sfrenata verso il progetto, costituendo con altri una
maggioranza interna nuova al Siumut, ed eleggendo, al posto del leader
socialdemocratico e capo del governo autonomo groenlandese Kim Kielsen, un
altro leader, Erik Jensen. La manovra è riuscita a frenare le
perdite elettorali e ad ottenere nella totalità del paese un buon risultato, ma
nel sud, maggiormente in ansia per il progetto minerario, non è bastato: la
socialdemocrazia di Siumut, che nella regione otteneva fino al 56%, ha accusato
un netto e inequivocabile arretramento (fino al 40%) a favore di IA, da sempre
nettamente contrario alle estrazioni di Kvanefjeld. IA le ritiene innanzitutto
(ancora) non sicure per la base di sostentamento storica degli Inuit (pesca,
caccia, ambiente, oggi l’85% del PIL esportato). Ma la contrarietà del partito
e dell’opinione maggioritaria è dovuta anche al fatto che il contesto (compresa
l’autonomia dalla Danimarca) non è ancora tale da garantire che la trattativa
sia del tutto svolta secondo le premesse Inuit. Peraltro, con l’apertura del
mercato cinese (tanto più se con domanda interna potenziata come ha deciso il
Pcc) anche l’esportazione di prodotti ittici e la sua
salvaguardia non va assolutamente ritenuta un totale ripiego.
Uno sviluppo diverso
Quando si chiede loro come sostituiranno le risorse promesse da Greenland
Minerals, IA indica per esempio una riforma del sistema fiscale,
che contrariamente al paese tradizionalmente “coloniale”, la Danimarca, è
tutt’altro che di tipo nordico progressivo, anzi è improntato alla “aliquota
piatta”. I socialisti di IA insomma contano, con una riforma fiscale
progressiva, di rimediare alla forte disuguaglianza e al contempo di ricevere
introiti da utilizzare per uno sviluppo sostenibile e durevole del paese. Una
volta impostato il futuro in questo modo si potrà pensare ad una graduale ma
chiara indipendenza dalla Danimarca, di cui IA è sostenitore ma non
fanaticamente, come lo sono invece altre forze politiche più nazionaliste. Per
esempio Naleraq (Il segnale): la terza forza (12%), anche essa
diffidente verso le nuove miniere, che verrà coinvolta in non facili trattative
di governo.
L’esito di un’indipendenza davvero solida e “ragionata” presuppone che
nuove risorse siano utilizzate anche per formare più quadri locali di una
più efficiente pubblica amministrazione. Essa oggi dipende troppo
da giovani laureati danesi che fanno una breve, prima esperienza nel paese
artico, e poi tornano in Danimarca ad utilizzare le nuove competenze. Un’altra
dipendenza da recidere. La sovranità per cui lotta il socialismo Inuit appare
quindi di ampio respiro: soprattutto di tipo democratico, economico e ambientale,
vede in prospettiva favorevolmente una “libera associazione” con la
Danimarca, specie se questa sarà lungimirante e collaborerà contenendo solo
gradualmente il bloktilskud, cioè il contributo annuo di 4 miliardi
di corone che devolve ai 60.000 abitanti della immensa Groenlandia.
In genere, inoltre, proprio riguardo alle sconvolgenti novità economiche e
geostrategiche in atto nell’Artico, è evidente come gli Inuit con il voto
abbiano esplicitato che intendono decidere secondo tempistiche e criteri
compatibili con la sovranità popolare e il proprio concetto
di interesse nazionale e di benessere. Se sono
abili, a questo punto, potranno disporre delle proprie immense risorse nel
senso di trattare su questo ed altro. E così in effetti pare di capire possa
andare, al di là delle dichiarazioni vittoriose di Múte B. Egede (leader IA):
“Il popolo ha parlato, il progetto minerario di Kvanefjeld è seppellito”.
Il risultato dei socialdemocratici
Da interpretare, si diceva, il risultato di Siumut: la sua conferma ad
ottimi livelli, in realtà, va decodificata come ulteriore segno di diffidenza
verso il progetto di Kvanefjeld. La socialdemocrazia Inuit infatti si era
recentemente spaccata sul progetto, fino a liberarsi della leadership di Kim
Kielsen, anche capo del governo autonomo nella Comunità del Regno Danese
(Rigsfælleskabet, composta anche da Danimarca in senso proprio e FærØer). Kim
Kielsen era infatti ritenuto troppo acriticamente favorevole alla prospettiva
delle terre rare subito. Su una linea più cauta in proposito è la maggioranza
che al suo posto ha scelto Erik Jensen. Come minimo i
socialdemocratici di Siumut favoriranno un allungamento e ampliamento delle
consultazioni democratiche, cioè della ricerca di possibili migliori soluzioni
da ogni punto di vista. Compresa (sarebbe auspicabile) una struttura, quando e
se sarà, dello sfruttamento del sottosuolo che, per esempio
sul modello norvegese, garantisca ai locali il controllo pieno dei diritti
di concessione, ed accumuli in fondi sovrani vasta parte dei proventi.
Devolvendo solo una parte ridotta delle rendite derivate agli impieghi di
bilancio. E assicurando ampia e qualificata occupazione ai locali.
Via alle trattative
Le trattative di governo si svolgeranno dunque verosimilmente su questa
base, anche coinvolgendo altre forze. Il leader IA Múte B. Egede,
che registra un forte successo personale e si avvia a diventare, a 34 anni, il
più giovane capo del governo autonomo da quando (1979) la Danimarca ne ha
concesso uno, ha parlato di “coalizione”. Con ciò (proprio come in
Danimarca) si possono intendere varie soluzioni (governo di minoranza sostenuto
dall’esterno, o esecutivo maggioritario a più partiti) per colmare la
differenza di 4 seggi che manca a 16, il numero magico nell’Assemblea del
Naalakkersuisut (Governo Autonomo).
Quanto ai danesi etnici e a Copenaghen, è probabile comprendano
definitivamente che questo è il modo migliore per non venire anche loro
travolti dalla “nuova corsa all’oro” delle mega-potenze nell’Artico. Il destino
nordico, essere nazioni demograficamente ridotte in zone geostrategicamente
vitali (a partire dalla feroce contesa per il Sund in età moderna) va
sempre amministrato con cautela, e senza troppi cedimenti, facilmente
irrimediabili, sulla sovranità. Trump, non a caso, aveva recentemente
dichiarato, per prevenire l’espansione cinese e russa: “La Groenlandia ce la
potremmo comprare”. Al che Kim Kielsen aveva replicato: “Greenland
is not for sale, but is for business”. Ecco: il voto di ieri ha
chiarito che anche gli “affari” cui pensava Kim Kielsen (e qualunque altro
negoziato) non saranno una pura formalità, e che nessuno, se la voce dell’elettorato
sarà tradotta in atto, si può “aggiudicare” la Groenlandia. Certo, questo potrà
riuscire tanto più in quanto nessuna delle grandi potenze vorrà mai ci sia un
unico aggiudicatario. La scommessa, in questo senso, è che così possa rimanere
un unico decisore finale, o almeno prevalente, seduto a capotavola: gli Inuit,
innanzitutto. Specie evolvendo il loro governo autonomo “ad un certo punto”
verso la totale autonomia. Con, sullo sfondo, una Danimarca conscia da tempo
che sarà così, e interessata a rimanere non il colonizzatore, ma il primo amico
degli Inuit di Groenlandia.
Nessun commento:
Posta un commento