Questo fine-settimana, mi sono lasciato distrarre dai titoli dei faits divers, sovente inutili ma curiosi, per tirarmi su di morale dopo giorni di letture delle sezioni “ambiente” delle testate del mondo intero.
Le notizie che giungono sono a dir poco allarmanti, o meglio deprimenti,
perché non si nota inversione di tendenza. Il ritmo di distruzione del mondo in
cui viviamo non conosce rallentamento.
L’unico momento in cui abbiamo sperato in una inversione di tendenza è
stato con l’arrivo del Coronavirus. Ci ha costretti a stare fermi, a non
esagerare, a risparmiare, a osservare, e per la prima volta dall’inizio della
rivoluzione industriale, le emiissioni annuali di CO2 sono diminuite, invece di
aumentare, si è visto il cielo sopra Pechino e New Delhi, e ricci e volpi hanno
attraversato strade e ferrovie senza essere schiacciati da un’auto in corsa.
Una gravidanza dura dieci mesi lunari prima che un essere umano possa
vedere la luce, ma bastano pochi secondi per soffocare la vita dello stesso. La cattedrale
gotica di Reims venne costruita in sessantaquattro anni (1211-75), ma bastarono
pochi bombardamenti durante il primo conflitto mondiale per sventrarla. Un
albero come la quercia, per raggiungere la propria maestosità, ha bisogno di
crescere almeno un secolo; bastano però poche ore di lavoro per segarlo alla
base.
La natura vivente costruisce sistemi complessi e dinamici, sistemi che
trasformano il tempo in organizzazione, che scambiano energia, materia ed
informazione, e generano ordine e armonia.
Vi è un principio in natura che è l’entropia, che si rifà al ciclo
dell’energia, e che misura il passaggio dallo stato di ordine a quello di
disordine, ovvero di trasformazione irreversibile, di dissipazione
irreversibile dell’energia in calore. Secondo alcuni fisici, come l’universo ha
avuto inizio con un big bang, così è destinato a “morire”
dissipando la propria energia in calore. Ebbene, che cosa fa la Natura?
La vita sul pianeta si basa su un continuo processo di rigenerazione dove
l’energia viene assorbita e rivalorizzata, pensiamo alla fotosintesi, per
renderla sorgente di vita.
Il tempo, in fondo, è una misura del passaggio tra ordine e disordine,
dell’avanzamento del processo di dissipazione e di degrado, e la Natura vivente
contrasta questo processo, ne rallenta i ritmi, producendo ecosistemi complessi,
auto-organizzati, generando un effetto neg-entropico.
Lo stesso sequestro e immagazzinamento dei combustibili fossili quale
prodotto della decomposizione di materia organica nel sottosuolo o sul fondo
del mare da parte del pianeta ha rappresentato la soluzione che ha permesso di
ridurre la CO2 atmosferica, e mantenere la composizione dell’atmosfera
compatibile con la vita organica[1]. Il padre di questa lettura ecologica dei principi della termodinamica è
stato Ilya Prigogine, seguito da Francisco Varela[2].
Che cosa fa invece l’Uomo? Distruggendo gli ecosistemi e
rilasciando sostanze inquinanti nell’ambiente è diventato un produttore netto
di entropia a scala planetaria al pari di un cataclisma.
Quando una catastrofe naturale o quando la pressione antropica accelerano i
tempi del degrado, la Natura fatica a ritrovare la sua funzione di riorganizzazione
e di assorbimento dell’entropia, e il tempo scorre dunque implacabile.
È incredibile come questo principio della distruzione abbia un
corrispettivo anche nella storia della civiltà. In fondo, la quercia e
la cattedrale di Reims o la vita di una persona sono l’espressione della stessa
cosa: di quanto tempo sia richiesto per raggiungere la maturità, la bellezza,
la complessità, che stanno insieme. E di come basti poco per distruggere tutto
questo.
Questo senso della distruzione è qualcosa difficile da misurare, da
catalogare e ancor di più da spiegare. Un pilota che sgancia bombe su un
quartiere sa che sta distruggendo la vita e quel complesso reticolato di
relazioni umane e spazi sociali che producono bellezza, eppure lo fa.
Un taglialegna che abbatte una foresta secolare ai Tropici sa che sta
distruggendo un tesoro di diversità biologica e deturpando i caratteri
distintivi della meraviglia che genera, eppure lo fa. Perché? È questo un
mistero forse irrisolvibile.
Con l’arrivo dell’emergenza climatica, tutto sembra assumere una finalità
ineluttabile, un corso definitivo, superiore alle nostre volontà, legato a un
destino trascendente, dove la vita perde pezzi giorno dopo giorno.
Quanto sta avvenendo non è comparabile agli effetti della collisione con un
meteorite o di uno sconvolgimento tellurico di grandi proporzioni. La
distruzione avviene infatti passo dopo passo, ora dopo ora, metro quadro per
metro quadro, e anche quando sarebbe possibile contrastare questa distruzione,
si devono fare i conti con alterazioni climatiche che riducono ulteriormente le
possibilità di invertire la rotta in tempo utile.
Ecco che la distruzione si manifesta nella scomparsa di specie animali e
vegetali, ma anche di culture legate ad esse, e con esse dei saperi e delle
arti che tali culture hanno elaborato.
Pensiamo ai nostri fiumi e laghi, alle civiltà legate ad essi, in quanto
tutte le grandi antiche culture sono nate lungo dei fiumi, e le città sono
state costruite attorno a corsi o sorgenti di acqua dolce.
Anche questo fa parte dei misteri della vita, perché gli ecosistemi di
acqua dolce non rappresentano che lo 0,01% della superficie acquea della Terra. Pensiamo a quanto la
vita sia legata a qualcosa di infinitamente raro e prezioso! E per avere
un’idea della ricchezza biologica di quegli spazi così ridotti, pensiamo che
il 51% di tutte le specie di pesci vive in acque
dolci.
Tutto questo potrebbe far parte di una bella favola, ma la realtà si sta
dimostrando più crudele di qualsiasi racconto, e il segnale di tale crudeltà
sta nella scomparsa fisica di questo capitale di ricchezza.
Oggi, ben ottanta specie di pesci di acqua dolce sono già state dichiarate
estinte dall’IUCN (International Union for Conservation of Nature) e
altre dieci sopravivono solo in cattività.
Nel 2020, solamente nelle Filippine sono state dichiarate estinte quindici
specie di pesci di acqua dolce. Anche paesi avanzati come gli Stati uniti, la
Svizzera o Israele registrano estinzioni. In Israele, uno di questi, la Tristamella
sacra, era un pîccolo pesce della famiglia dei Ciclidi legato ad un luogo
che mi è particolarmente caro, il lago di Tiberiade, il luogo della
moltiplicazione dei pani e dei pesci da parte di Cristo, ma anche del suo
discorso delle Beatitudini[3], una dei massimi momenti di poesia della storia dell’Umanità.
Questo pesce è scomparso con la scomparsa dei margini acquitrinosi dove si
riproduceva, dovuta ai massicci prelievi idrici. Ricordo di aver assistito al
più rosso dei tramonti che i miei occhi abbiano mai visto, seduto proprio su
una rocca della costa nord-orentale di quel lago, quella stessa rocca da dove
secondo i Vangeli si buttarono nel lago i porci in cui si erano rifugiati gli
spiriti immondi cacciati dal corpo di un indemoniato da Cristo[4].
Dunque, anche i luoghi più sacri non vengono risparmiati dallo spettro
dell’estinzione. Forse, quei pesci moltiplicati dal Figlio di Dio erano proprio
delle Tristamella Sacra, e la loro scomparsa un ‘segno dei tempi
nuovi’. Nuovi e spaventosi.
Per restare nel mondo dei pesci di acqua dolce, un terzo di loro sono a
rischio di estinzione. Anche la banale anguilla, che risale i fiumi per raggiungere
la maturità e poi cerca il mar dei Sargassi per deporre le uova, è sulla via
del declino irreversibile.
Tra il 1980 ed il 2000, vi è stato un calo del reclutamento delle ceche[5] nei fiumi compreso tra il 95 ed il 99% rispetto alla situazione
precedente al 1980. L’inquinamento dei fiumi, le barriere (dighe, centrali
idroelettriche, ecc.) che impediscono la risalita, e la pesca per
l’esportazione o l’allevamento intensivo hanno segnato il loro destino. Ricordo
quelle notti passate sul molo del porto sul lago di Garda, con la canna
immobile protesa verso l’acqua ed un campanello sulla sua punta, sperando che
abboccasse.
E quella volta che abboccò, la mia prima anguilla, ma inesperto me la feci
sfuggire tra le mani perché non sapevo quanto fosse straordinariamente
scivolosa. Se Anguilla anguilla si riprenderà, non lo sa
nessuno, neppure i vecchi pescatori del lago.
È il suo destino di pesce migratore, incapace di restare nello stesso
luogo, in un’epoca di nuove frontiere e fili spinati, ad averla condannata a
morire. Raggiungerà le acque dolci o salmastre europee solo dopo tre anni di
peripezie, alla pari di molti profughi afghani o subsahariani. E come per loro,
stiamo forse assistendo anche alle ultime stagioni migratorie per questo
animale.
La filosofa francese Corine Pelluchon dice che i limiti tra Natura e
Cultura sono stati superati, e che abbiamo invaso gli spazi della vita
selvatica oltre l’immaginabile, e questa interpenetrazione non porterà che
nuove malattie o epidemie come quella che stiamo vivendo ora.
Il tessuto della vita è fatto di lotte, pericoli, ristrettezze e strategie
di sopravvivenza, e il superamento dei limiti espone a tali rischi non solo gli
animali, ma anche l’Homo sapiens sapiens.
La filosofa chiama a un nuovo illuminismo, che definisce il ‘nuovo convivialismo’ , che ci permetta di superare
questa crisi per una nuova era di co-abitazione tra pari in modo democratico,
che si basi sulla tutela del pianeta quale pre-condizione della vita insieme.
Quanto tempo abbiamo però per questo ‘renouveau culturel’? Abbiamo
aspettato un secolo e mezzo perché i principi della ‘Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino’ del 1789 fossero riconosciuti dalla comunità delle
nazioni nella sua carta fondamentale. Ora, non abbiamo tutti questi decenni
per invertire la rotta.
Altro che ‘Ripartenza’… Può forse il capitano di una nave che ha ormeggiato
in una baia di rifugio, dopo una tempesta improvvisa, riaccendere i motori e
riprendere il largo se non sa verso dove dirigersi?
Avremmo bisogno di un brutale arresto di tutte le azioni distruttive,
entropiche, dalle grandi dighe ai pozzi di estrazione petrolifera, dalla
moltiplicazione del traffico motorizzato alle nuove città, dalla zootecnia
industriale al taglio delle foreste.
Chi ha il coraggio di dire: “Stop!”? Chi? Nemmeno il neo-ministro italiano
della Transizione ecologica è stato capace di questo, e uno dei suoi primi atti
è stato di dare il via libera a undici autorizzazioni all’apertura di
nuovi pozzi per idrocarburi per terra e per mare.
A chi interessa se abbiamo perso per sempre un centinaio di specie di
pesce, e con essi bellezza, diversità genetica e risorse ittiche? Se non
mangeremo più il Capitone che ha sempre dato sapore alle nostre Vigilie
natalizie? Se non potremo più bagnarci nei nostri fiumi, laddove le nostre
nonne avevano strofinato i panni?
Estinzione, è per sempre, e con essa scompaiono i nostri ricordi, le nostre
storie, le radici della nostra cultura, dai cibi che consumiamo, al modo in cui
abitiamo, alle poesie che recitiamo. Quello che dovremmo fare è molto
semplice: ritirarci fisicamente, indietreggiare la linea dei nostri eserciti
avidi di risorse e lasciare che la Natura riprenda terreno.
Come ha proposto il biologo E.O. Wilson, secondo il quale l’Umanità
dovrebbe cedere il 50% degli spazi alla
Natura, in un accordo di pace di portata storica, un vero e proprio trattato che
comporti il ritorno di praterie, lagune, coste e foreste alla Natura in cambio
della sopravvivenza delle civiltà per come le abbiamo conosciute finora.
Forse, ci dovremo affidare a degli sconosciuti eroi, persone di frontiera,
entità visionarie, personaggi originali, che non riescono ad accettare di sottostare
a questa accelerazione irreversibile verso l’entropia.
Questi personaggi esistono, ma quanti siano non lo sappiamo con esattezza.
Di quanti Noé abbiamo bisogno per evitare l’estinzione di massa delle specie
viventi sul pianeta? Di quante arche? Vorrei qui raccontarvi di almeno due di
loro.
Uno di loro si chiama laboratorio Avantea, e sta a Cremona. È lì che nel
dicembre dell’anno scorso vennero trasferiti 14 ovociti appena prelevati
dall’ultimo esemplare femmina vivente di rinoceronte bianco settentrionale.
In quel laboratorio, sono stati portati a maturità e fecondati con lo
sperma congelato dell’ultimo maschio, deceduto nel 1980. Questi embrioni, ora
conservati a basse temperature, verranno presto impiantati nell’utero di una
femmina di rinoceronte bianco meridionale, un’altra sottospecie, sperando che
possa partorire dei cuccioli.
Se l’impresa riuscirà, il rinoceronte bianco settentrionale sarà
geneticamente salvo, anche se i cuccioli non avranno genitori da cui imparare
come si vive nella savana e come si bruca bene l’erba. La ‘conoscenza
sociale’ della specie è già andata perduta, ma la specie forse no.
Un altro è un cuoco di Cadice, Ángel Léon, che sta sperimentando la
commestibilità dei semi di una pianta marina, la Zostera marina.
Questa pianta, che nel Mediterraneo è presente solo in alcune zone
circoscritte, produce dei semi alla sua base che hanno un potere nutritivo
altamente superiore a quello del riso, e che, se coltivata, permetterebbe di
offrire un prodotto proteico straordinario per l’alimentazione umana senza
dover ricorrere al disboscamento, né ai pesticidi, né all’irrigazione, e che
ricostituirebbe praterie sommerse che rappresentano l’habitat di molte specie
dei bassi fondali. Inoltre, tali praterie marine hanno una capacità di cattura
del CO2 trentacinque volte più veloce di quella delle foreste tropicali. L’idea
venne al cuoco leggendo di una popolazione indigena del Messico, i Seri, che
utilizzavano grani di una pianta marina nella loro alimentazione. È un cerchio
magico che potrebbe chiudersi, nel quale gli indigeni e la loro sapienza antica
salvano la civiltà moderna dall’autodistruzione.
Non so se queste buone notizie basteranno a risollevarci il morale, e anche
i faits divers, a un certo punto, perdono il loro potere su di
noi. La capacità di rettificazione nell’Umanità esiste, e si manifesta
in mille buoni esempi, ma non è sufficientemente veloce, non quanto il corrente
ritmo di estinzione e distruzione degli ecosistemi.
Potremmo dire: è colpa del Capitalismo, questa selvaggia ideologia del
profitto ad ogni costo, del primato dei beni materiali e dei capitali in valuta
sulle condizioni di sopravvivenza di uomini ed esseri viventi, e di giustizia
sociale.
Questo, però, non è sufficiente. Ogni nostra scelta incide sugli
equilibri del sistema, e la somma delle nostre scelte incide sulle politiche
dei nostri governi.
Saranno i nostri debiti o crediti verso il pianeta – come consumatori,
imprenditori, educatori o politici – a fare la differenza, e per questi si
misurerà la nostra responsabilità. Se ce ne sarà il tempo.
Tunisi, 13 aprile 2021.
[1] Il ciclo del carbonio è stato studiato e spiegato in termini moderni
da Laura Conti fin dagli anni ’70.
[2] Vi consiglio di leggere La fine delle certezze, di
Prigogine, e Autopoiesi e cognizione, di Varela.
[3] Vangelo secondo Matteo, 5, 1-12.
[4] Episodio raccontato nei vangeli di Marco, Luca e Matteo.
[5] Le ceche sono le anguille di piccole dimensioni (60–90 mm), che
risalgono, colonizzano le acque interne, dove raggiungeranno lo stadio maturo.
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