“Sotto
il dominio della proprietà privata e del denaro,
l’atteggiamento nei confronti della Natura è il suo reale disprezzo,
la sua violazione di fatto”
Karl Marx, “La questione ebraica” (1844)
Quando noi esseri umani, già molti secoli fa, ci mettemmo figurativamente
parlando ai margini della Natura, iniziammo a concederle un ruolo passivo in
quanto oggetto la cui mercificazione finì per diventare pienamente accettabile.
E così, alimentato dalle origini stesse della nozione di progresso, a poco a
poco si andò consolidando quel ruolo di fornitrice di materie prime per la
produzione e di deposito dei rifiuti, e comunque da dominare. La “rottura
metabolica” di società e Natura immaginata da Karl Marx è stata ostacolata, sia
per le posizioni antropocentriche di questo geniale pensatore universale, sia
soprattutto per la semplicità di molti dei suoi seguaci. Così, con il
predominio dell’impulso marginalista e neoclassico, il pensiero economico
seppellirebbe la riflessione “metabolica” per finire per consolidare la
mercificazione della Natura. E in questo mercato l’acqua è solo una ulteriore
merce.
Alla crescente snaturalizzazione delle attività economiche, che ha indebolito
la comunità naturale della vita, si è aggiunta l’individualizzazione della
comunità umana, soprattutto attraverso il consumismo sfrenato legato a una
cupidigia senza fine. E così la Natura, trasformata in oggetto
dell’accumulazione, e gli esseri umani, anch’essi assunti come elementi da
sfruttare, individualizzati in quanto produttori e consumatori, entrano a pieno
titolo in una sempre più forsennata danza di mercificazione della vita e delle
sue relazioni.
L’acqua, come già detto, non ha fatto eccezione ed è ridotta in schiavitù, financo
alla Borsa di Wall Street.
Gli sforzi per emancipare l’acqua
Di fronte a questa dura realtà, si moltiplicano sempre più le lotte per
l’acqua. Gli esempi sono tanti, presenti in tutti gli angoli del pianeta. Da
diversi approcci e processi, si sta avanzando in questa direzione. Anche
all’interno delle Nazioni Unite – su iniziativa dello Stato Plurinazionale
della Bolivia – si è arrivati nel luglio 2010 a una dichiarazione a favore
dell’acqua, sancendo che l’accesso all’acqua potabile è un diritto umano fondamentale.
Malgrado questo passaggio sia caratterizzato dalla mancanza di sostegno da
parte dei paesi ricchi – proprietari delle società idriche transnazionali – il
suo significato rimane comunque importante. Perché quel risultato è stato
possibile grazie ad altre lotte che mirano a una grande trasformazione.
Il frutto immediato di questa decisione in seno alle Nazioni Unite è stata la
Costituzione ecuadoriana del 2008, nota in tutto il mondo per essere stata la
prima a costituzionalizzare i diritti della Natura e, di conseguenza,
concedendo uno status speciale all’acqua. Ricordiamo che, sin dall’inizio,
l’articolo 3 della Costituzione stabilì come primo dovere primordiale dello
Stato quello di garantire, senza alcuna discriminazione, a tutti i suoi abitanti
l’effettivo godimento dei diritti all’istruzione, alla salute,
all’alimentazione, alla sicurezza sociale e all’acqua.
Da questa definizione iniziale, nell’Assemblea Costituente di Montecristi
sono stati approvati principi fondamentali, come recita l’articolo 12:
“il diritto umano all’acqua è fondamentale e irrinunciabile. L’acqua
costituisce un patrimonio nazionale strategico di uso pubblico, inalienabile,
imprescrittibile, inattaccabile ed essenziale per la vita”.
Tra i tanti elementi costituzionali legati al liquido vitale, è vietato
l’accaparramento dell’acqua (e della terra). E, oltre a quanto esposto sopra, è
stato sancito che l’acqua, in quanto diritto umano, supera la visione
commerciale e quella di “cliente” che può accedere solo all’acqua che ha la capacità
di pagare. L’acqua, in quanto bene nazionale strategico di uso pubblico,
riscatta il ruolo dello Stato, avendo questo la potestà di concedere l’uso
dell’acqua nonché un ruolo guida a tal proposito. L’acqua, in quanto patrimonio
della società deve essere gestito in una prospettiva di lunga scadenza, cioé
guardando alle future generazioni, liberando l’acqua dalla dimensione di
breve prospettiva propria del mercato e della speculazione. E l’acqua, in
quanto bene comune, recupera l’elemento comunitario da cui è necessario
riconsiderare questo tema vitale nella sua integrità, poiché una delle priorità
del suo utilizzo è il mantenimento del ciclo ecologico dell’acqua.
L’acqua, quindi, rientra a pieno titolo nella definizione della Natura come
soggetto di diritti. Si tratta di diritti propri che garantiscono pienamente
l’esistenza, il mantenimento e la rigenerazione dei suoi cicli vitali,
struttura, funzioni e processi evolutivi. Si stabilisce che qualsiasi persona,
comunità, popolo o nazionalità può esigere alla pubblica autorità il rispetto
di questi diritti. E, in linea con queste disposizioni chiaramente
rivoluzionarie, la Natura ha diritto alla reintegrazione, che è indipendente
dall’obbligazione dello Stato e delle persone fisiche o giuridiche di riparare
il danno ambientale o di indennizzare individui e gruppi che dipendono dai
sistemi naturali danneggiati. Vale altresì la pena segnalare che esistono
chiare disposizioni a sanzionare i casi di distruzione ambientale, integrate
dai principi di precauzione e restrizione per le attività che possono portare
all’estinzione di specie, alla distruzione di ecosistemi o all’alterazione
permanente dei cicli naturali. Riassumiamo quanto sopra citando Leonardo da
Vinci: “L’acqua è la forza motrice di tutta la Natura”. E per questo motivo, la
difesa dell’acqua come diritto umano, così come i diritti intrinseci dell’acqua
stessa, acquisisce progressivamente forza.
Sebbene queste posizioni non siano state rispettate dai governi
posteriori alla maggioritaria approvazione nelle urne della Costituzione
di Montecristi del 2008, diverse organizzazioni e comunità, quelle
che superando un’infinità di difficoltà hanno ispirato queste conquiste
costituzionali, hanno moltiplicato le loro lotte di resistenza.
Le consultazioni popolari per l’acqua nelle Ande equatoriali
Di fronte alle pressioni estrattive inarrestabili – tra cui segnaliamo
l’estrazione mineraria su larga scala imposta dal governo di Rafael Correa –
molte comunità difendono i diritti alla vita, brevemente menzionati sopra.
Così, in molti territori dove l’estrazione mineraria ha seminato a
“sangue e fuoco” odio e divisione tra le stesse famiglie, con il recupero del
diritto costituzionale alla partecipazione ai processi decisionali, le comunità
hanno dispiegato varie azioni di lotta. Con le loro risposte affrontano
saccheggi, devastazioni, violenze, false speranze di prosperità, annunci di
guadagni milionari che in realtà non sono altro che perverse chimere…
Allo stesso tempo sfidano il potere politico e mediatico che incoraggia le
compagnie minerarie tollerando o addirittura sponsorizzando violazioni
sistematiche della Costituzione: una situazione perversa in cui anche le
società minerarie considerate legali si basano sull’illegalità e persino
sull’incostituzionalità. E ricorrendo ai diritti esistenti, compreso il diritto
costituzionale alla resistenza dell’articolo 98, molte comunità hanno messo e
mettono in scacco il potente blocco governativo minerario.
Così, lo scorso 7 febbraio, nell’ambito del primo turno del processo elettorale
per eleggere il Presidente della Repubblica e il nuovo organo legislativo,
nella città di Cuenca, il terzo cantone più popoloso dell’Ecuador, all’interno
di quanto stabilito dall’art. 104 della Costituzione, si è tenuta una storica
consultazione popolare. L’80% dei voti si è espresso a favore dell’acqua contro
l’estrazione di metalli nelle zone di ricarica dell’acqua dei fiumi Tarqui,
Yanuncay, Tomebamba, Machángara e Norcay; acqua che ha origine nei paramos e
nelle foreste che circondano il Parco Nazionale di Cajas e che viene utilizzata
per vari usi dagli abitanti di questa zona.
Questi fiumi, infatti, forniscono l’irrigazione per l’agricoltura e le attività
lattiero-casearie, forniscono direttamente l’acqua alla popolazione di Cuenca e
a molte comunità della zona, molte delle quali vivono di turismo. La cosa
preoccupante è che più di 200 concessioni minerarie circondano i paramos del
cantone, e ciò minaccia seriamente l’approvvigionamento del liquido vitale. In
sintesi, sono in gioco interessi strategici vitali per Cuenca, perché lo
sfruttamento minerario nelle zone di ricarica idrica dei suddetti fiumi
lederebbe il diritto umano all’acqua dei suoi abitanti.
Come risultato di un lungo processo, superando innumerevoli difficoltà, si è
arrivati alla storica data indicata. La strada percorsa è lunga. Per più di
vent’anni le comunità contadine e indigene della provincia di Azuay, la cui
capitale è Cuenca, hanno affrontato le pressioni minerarie.
C’è un antecedente che non può essere dimenticato. Nella stessa provincia, nel
cantone di Girón, a sud di Cuenca, utilizzando varie forme di lotta che vanno
dai blocchi stradali ai passaggi per i complessi meandri della giustizia, si
iniziò a costruire ciò che poi è diventata la prima consultazione popolare
vincolante, cioè riferita alle norme costituzionali nel citato articolo 104,
per il quale si sono dovute raccogliere le firme necessarie. Ma ci sarebbero
voluti quasi 8 anni affinché questa consultazione si potesse
cristallizzare: il governo dell’epoca, fedele alleato dei capitali
minerari, bloccò sistematicamente l’esercizio del menzionato diritto
costituzionale.
Domenica 24 marzo 2019, giorno delle elezioni per i prefetti provinciali, i
sindaci e le altre personalità locali, fu la data in cui si diede luogo a
un passo sostanziale per la successiva consultazione di Cuenca. Nel piccolo
cantone di Girón, nella provincia di Azuay, attraverso un pronunciamento
popolare, si è deciso sul tema dello sfruttamento minerario: la prima
consultazione vincolante di questo tipo in Ecuador. A capo c’erano varie
organizzazioni soprattutto contadine: la Federazione delle organizzazioni
indigene e contadine di Azuay (FOA) e l’Unione dei sistemi idrici comunitari di
Girón, che avevano il sostegno di diversi gruppi cittadini, tra cui spiccava il
Collettivo Yasunidos de Guapondelig (Cuenca).
Le comunità hanno combattuto contro il potere delle grandi compagnie minerarie
e dello Stato, e la loro determinazione a bloccare la consultazione con
qualunque mezzo. Anche nella fase finale sia il capitale minerario che lo Stato
hanno presentato all’autorità elettorale numerose impugnazioni per bloccare lo
svolgimento della consultazione. Con questi precedenti, il referendum di Girón,
in cui le comunità hanno ottenuto una clamorosa vittoria con l’87% dei voti, è
stato decisivo per proteggere casi del páramo di Kimsacocha e
poi dare impulso alla consultazione di Cuenca.
La decisione popolare di Cuenca si è concretizzata dopo tre tentativi
falliti che erano stati proposti per l’intera provincia, promossi da varie
organizzazioni, con la guida dell’ex prefetto provinciale: Yaku Pérez, in
seguito candidato indigeno alla Presidenza della Repubblica (al quale in modo
fraudolento la cricca al potere ha impedito di raggiungere il secondo turno
dopo le elezioni del 7 febbraio). Questa consultazione di Cuenca ha superato
ogni tipo di trappola legale con una strategia intelligente, in alcune
circostanze anche appoggiata dalla Corte Costituzionale, contando sul sostegno
e la guida di un’alleanza contadina-cittadina, che è l’elemento che motiva il
grande trionfo ottenuto. In questo caso la via della consultazione popolare non
è stata aperta con la raccolta delle firme dei cittadini come nel caso di
Girón, ma – come prevedono le norme costituzionali – si è raggiunta la
maggioranza nel Consiglio cantonale di Cuenca per avanzare verso il
referendum, il quale sta già provocando echi sempre più forti. Ad esempio, già
si sta lavorando per nuove consultazioni vincolanti in altre aree dell’Ecuador,
come nel caso del Distretto Metropolitano di Quito, la cui regione
nord-occidentale è gravemente minacciata dalle attività minerarie.
Così, ispirata dall’esempio di Azuay, e tenendo come asse portante una
forte alleanza di contadini e cittadini, si sta sviluppando una consultazione
popolare per proteggere l’acqua e la biodiversità anche nella città di Quito,
capitale dell’Ecuador. L’approvvigionamento idrico, le forniture di cibo di
qualità, nonché l’esistenza di foreste incontaminate con la loro enorme e
ricca biodiversità, sono già gravemente minacciate dalle attività minerarie. E
per rendere possibile questa consultazione vincolante, a seguito di una lunga
resistenza, si è formato un ampio fronte al quale partecipano l’Unione dei
Governi Locali e la Rete dei Giovani Leader della Mancomunidad del Chocó
Andino, Fronte Antiminerario di Pact, i comitati di gestione delle aree di
conservazione e uso sostenibile, nonché vari collettivi urbani come Yasunidos e
Caminantes, tra i tanti. La domanda per questo esercizio democratico è già
pronta: sta solamente aspettando l’approvazione della Corte costituzionale
per poter iniziare la raccolta delle firme, come parte di un processo
sicuramente complesso, ma che sarà anche un grande esercizio di pedagogia
popolare.
Questo è ciò che si riflette nella domanda formulata collettivamente, con
l’obiettivo di vietare ogni forma di giacimento minerario metallifero dal
Sottosistema Metropolitano delle Aree Naturali Protette del Distretto
Metropolitano di Quito; e, all’interno dell’Area di Importanza Ecologica,
Culturale e di Sviluppo Produttivo Sostenibile costituita dai territori
delle parroquias che compongono la Mancomunidad del Chocó
Andino.
Questi indiscutibili risultati sono però ancora insufficienti. La perversa
alleanza tra le compagnie minerarie e lo Stato non si basa solo sul desiderio
di imporre la loro volontà. L’elenco dei cavilli addotti, usati con la finalità
di non riconoscere la volontà popolare a Cuenca, o per reinterpretare le
sentenze dei tribunali che paralizzano l’attività mineraria, è enorme. Si
sostiene che, se proprio vogliamo menzionare una delle questioni, le
concessioni sono precedenti alla consultazione popolare e che questa non può
avere un effetto retroattivo. Alla stessa maniera viene usato l’argomento della
sicurezza legale a rischio, qualora venissero interrotte le attività minerarie,
agitando la minaccia di cause legali internazionali.
Sostenere i progetti in corso e anche le concessioni affidate, ignorando le
norme costituzionali e legali per non intaccare interessi particolari che
colpiscono la comunità umana e naturale, è un’aberrazione: sarebbe come
giustificare il mantenimento della schiavitù per non colpire i proprietari di
schiavi…
Basterebbe ricordare che quando gli schiavi furono liberati, non mancarono
coloro che rivendicavano le “perdite” subite dai loro “proprietari”, a cui era
stata limitata la “libertà” di commercializzarli, usarli, sfruttarli…
Qualcosa di simile accadde quando, nell’Inghilterra di inizio XIX secolo, fu
messo in discussione il lavoro dei bambini e delle bambine: “la polemica fu
enorme”, ci ricorda Ha-Joon Chang, uno dei principali professori
dell’Università di Cambridge: “per i detrattori della proposta (essa)
minava la libertà di contratto e distrusse le fondamenta del libero
mercato”. Indubbiamente, in un’ottica di assoluta certezza giuridica, ciò che
conta in ogni momento è il bene comune e non esclusivamente gli interessi
privati, compresa la piena vigenza dei Diritti della Natura, oltre ai Diritti
Umani.
Ora, queste società minerarie transnazionali, che hanno liste per valutare
la maggiore o minore apertura dei paesi, cioè il loro maggiore o minore grado
di sottomissione all’estrattivismo minerario, vedono con grande preoccupazione
come questi “cattivi esempi” siano aumentati già da molti anni non solo in
Ecuador, ma in tutto il mondo.
E hanno ragione.
Il “cattivo esempio” si diffonde in tutto il mondo
“L’acqua non è in vendita, l’acqua si difende”, “prima l’acqua poi la
miniera” sono alcuni dei tanti slogan che risuonano nella Nostra America.
Intensificando gli sforzi, affrontando multinazionali e governi complici,
migliaia di persone nella regione difendono ogni giorno i propri territori.
Sarebbe impossibile citare tutte queste situazioni, ma vale la pena ricordarne
alcune che sono passate anche per i difficili corridoi della giustizia e delle
istituzioni costituzionali, promuovendo consultazioni popolari.
Senza pretendere un elenco esaustivo, ricordiamo le consultazioni popolari più
importanti, che sono servite anche da esperienza e incoraggiamento per
quelle dell’Ecuador. Tra le decine di consultazioni popolari “di buona
fede” o vincolanti svolte, ne ricordiamo alcune: il distretto di
Tambogrande a Piura in Perù è riconosciuto come uno dei
pionieri per la consultazione popolare che ebbe luogo il 2 giugno 2002, contro
i progetti finalizzati all’estrazione di oro dal giacimento situato proprio
sotto alla popolazione.
Il 23 marzo 2003, a Esquel, in Argentina, si tenne un plebiscito
che con l’82% dei voti respinse le attività minerarie nell’area: anche se
non con carattere vincolante, ha comunque consentito a Esquel di essere
dichiarato “municipio non tossico ed ecologicamente
sostenibile”. Attualmente in quello stesso paese, si sta lavorando
duramente per avviare una consultazione popolare a favore di una legge per la
protezione integrale dell’acqua, al fine di sostenere la vita delle comunità e
gli ecosistemi.
In Colombia, paese di governi neoliberisti ed iperestrattivisti,
sono già dieci le consultazioni realizzate e altre decine proposte: il 28
luglio 2013, nel piccolo e quasi sperduto comune di Piedras nel Tolima – con
un’economia agricola e zootecnica – si è tenuta la prima consultazione popolare
vincolante contro il distretto minerario La Colosa, progettato per essere una
delle più grandi miniere a cielo aperto del pianeta; e da allora, superando una
serie di difficoltà, le consultazioni popolari si sono moltiplicate fino a
renderle apparentemente inutili, a causa delle pressioni del potere
minerario-governativo.
Le opzioni per concretizzare questi diritti vanno oltre quanto esposto in
forma telegrafica. C’è di più, anche in altri settori e li specifichiamo di
seguito. Nel novembre 2016, il fiume Atrato e il suo bacino, in Colombia, sono
stati riconosciuti come soggetto di diritto dalla Corte Costituzionale, il
massimo organo di controllo costituzionale. Stessa cosa è accaduta nel 2018 con
l’Amazzonia colombiana: due azioni notevoli in un Paese dove i Diritti della
Natura si conquistano con risposte creative provenienti dall’ambito cittadino,
non essendo costituzionalizzati.
E non solo l’America Latina si mobilita in difesa dell’acqua e dei Diritti
della Natura.
Nel 2016 la Corte Suprema dell’Uttarakhand a Naintal, nel nord dell’India,
ha stabilito che i fiumi Gange e Yumana sono entità viventi.
Nel marzo 2017, il fiume Whanganui in Nuova Zelanda è stato
riconosciuto come soggetto di diritto in modo che possa comparire in tribunale
attraverso i suoi rappresentanti: il popolo Whanganui iwi. Nel 2013, anche il
Parco Nazionale Te Urewera, sempre in quel paese, è stato riconosciuto come
soggetto giuridico con i diritti di una persona: se la terra non ha un
proprietario, viene gestita congiuntamente dai popoli Crown e Tuhoe.
In Nepal è in corso un’iniziativa per riconoscere i diritti
della Natura tramite emendamento costituzionale.
In Africa, tra le tante lotte, possiamo citare la difesa del delta del fiume
Niger in Nigeria.
Anche negli Stati Uniti si stanno compiendo passi degni di
nota. A Toledo, Ohio, nelle urne del 26 febbraio 2019 è stato deciso che il
lago Erie, l’undicesimo più grande del mondo e che fornisce acqua potabile a 12
milioni di americani e canadesi, ha dei diritti. A sua volta, un gruppo di
cittadini nordamericani ha intentato una causa affinché le Montagne Rocciose e
il deserto del Nevada possano citare legalmente individui, società o governi
negli Stati Uniti.
In Europa, per citare un altro continente, centinaia di migliaia di cittadini,
con esiti più o meno positivi, affrontano la privatizzazione dei servizi
idrici. In Germania, a Berlino, gli sforzi per rendere di nuovo
comune l’acqua hanno avuto successo, qualcosa di simile è accaduto a Parigi,
in Francia.
In Italia questo giugno segnerà il decimo anniversario della
storica vittoria del referendum popolare quando il 95% dei 27 milioni di
partecipanti respinse categoricamente la privatizzazione dell’acqua.
Sforzi simili vengono portati avanti anche in Spagna, Portogallo, Grecia…
La conclusione è inoppugnabile. Le organizzazioni comunitarie, impegnate in
questi intrecci inestricabili della giustizia – quasi sempre manipolati o
controllati da interessi di grandi aziende in collusione con i governi – sono
obbligate a utilizzare in modo intelligente e creativo tutti gli strumenti
offerti dall’istituzionalità esistente. Allo stesso modo, resistono a varie
forme di violenza aperta o nascosta con cui vengono perseguitati,
stigmatizzati, criminalizzati e persino assassinati i difensori della vita, che
tra l’altro è ciò di cui tratta questa lotta: la difesa della vita. Ovviamente
la questione va oltre l’ambito tecnico-giuridico, costringendoci a ripensare le
forme di resistenza e di re-esistenza.
Urgente, tessere lotte globali di resistenza
È evidente, quindi, che la transizione per cristallizzare i diritti di
Madre Terra, che sono in definitiva i diritti che garantiscono l’esistenza
degli esseri umani, richiede molteplici alleanze. Occorre costruire ponti tra
la campagna e la città, ponti tra le diverse regioni di un paese e sempre più
ponti tra tutte le lotte di resistenza nel mondo: insomma i sud del mondo – e
anche il nord globale -, attanagliati dagli estrattivismi, devono unirsi.
Senza minimizzare le origini storiche e i contenuti sociali e ambientali
propri di ogni lotta, la posta in gioco in queste lotte è la democrazia. Si
tratta di fatti politici che sintetizzano il diritto di una comunità di
decidere sul proprio territorio e sul proprio progetto di vita in comune.
Riassume la decisione di sopravvivenza dei popoli che hanno resistito e
continuano a resistere alla logica dell’accumulazione capitalista che soffoca
la vita, sia degli umani che della Natura. Si cerca di dare priorità alla vita
degna per tutti gli esseri umani e non umani piuttosto che a un insostenibile
produttivismo e un inarrestabile consumismo forgiato s’un individualismo
alienante: la particolarità locale e l’uniformità globalizzante.
È la lotta tra queste visioni del mondo, il cui superamento dovrebbe
orientarsi verso un orizzonte pluriversale: un mondo dove entrano molti mondi,
assicurando contemporaneamente giustizia sociale e giustizia ecologica. Ed è
per questo che in ogni consultazione popolare è in gioco molto di più delle
mere controversie giuridiche. Queste consultazioni, assai più delle lunghe e
complesse resistenze e costruzioni di alternative, evidenziano – senza mezzi
termini – il grande potenziale di una democrazia vissuta, praticata e
conquistata dal basso, dalle comunità, e da lì estesa ad altri ambiti governativi.
Alla stessa maniera sintetizzano stili di vita che devono essere rispettati,
mentre si aprono spazi per costruire altri tipi di economia. E nel bel mezzo
della pandemia di Covid-19, si avverte molto più intensa la necessità di
preservare questo liquido vitale come un diritto e non più come una merce.
E questa democrazia richiede azioni permanenti in molti campi, poiché le
consultazioni popolari, come abbiamo visto a Cuenca, non finiscono per
risolvere i problemi. Se la volontà popolare espressa nelle urne di quella
città non viene rispettata, oltre a continuare a lottare lungo il complesso
cammino della giustizia, bisogna tenere aperta la via della resistenza, nelle
strade e nelle campagne, ribellioni e blocchi, cortei e manifestazioni, e anche
nuove consultazioni popolari. Non dimentichiamo che questo percorso per
difendere la vita è pieno di azioni anche eroiche, come quella conosciuta come
la Guerra dell’Acqua che si svolse a Cochabamba, tra gennaio e aprile del 2000,
quando i settori popolari di quella città boliviana si mobilitarono con
successo contro la privatizzazione della fornitura dell’acqua potabile
comunale.
Quello che abbiamo sintetizzato in queste brevi righe rappresenta il grande
messaggio di questa giornata storica a Cuenca, che proseguirà a Quito, così
come in tante altre regioni del pianeta: il nostro impegno è per una vita degna
degli esseri umani e non umani. Per usare le parole schiette dell’infaticabile
combattente argentino Fernando Pino Solanas**, in occasione della sua partecipazione al
Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura, a Parigi, nel dicembre
2015, “forse non esiste causa più grande, dalla Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo, che lottare per i Diritti della Natura”.
* Economista ecuadoriano. Attualmente è professore universitario, docente e
soprattutto compagno di lotta dei movimenti sociali. Giudice del Tribunale
Internazionale per i Diritti della Natura (dal 2014). Ministro dell’Energia e
delle Miniere dell’Ecuador (2007). Presidente dell’Assemblea Costituente
dell’Ecuador (2007-8). Autore di numerosi libri.
** Fernando Ezequiel Solanas (1936-2020), argentino, meglio conosciuto come
Pino Solanas: regista e politico, deputato, senatore, ambasciatore; giudice del
Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura. Un grande punto di
riferimento della dignità nelle lotte che ha intrapreso e alle quali ha
partecipato.
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