Pfas: che cosa e quali conseguenze hanno sulla salute
Le sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) vengono prodotte dalla seconda guerra mondiale e sono presenti in quasi tutti i prodotti della nostra vita quotidiana, dal filo interdentale alla giacca impermeabile. Sono resistenti ad alte temperature, alla degradazione in acqua e non vengono assorbite dall’ambiente. Finiscono nell’ambiente perché gli scarichi delle industrie chimiche non sono ancora normati e l’acqua dei fiumi è da sempre stata vista come mezzo per portare via i residui lavorati.
Attraverso l’acqua, sostiene l’accusa, queste sostanze sono arrivate nel sottosuolo dell’industria Miteni, posta sopra la ricarica naturale della falda più grande d’Europa. Così i Pfas sono entrati nei rubinetti di oltre 300 mila persone, che l’hanno bevuta per decenni. Berla significa portare nel corpo interferenti endocrini, questo sono per il corpo i Pfas, che ostacolano il processo ormonale.
Tumori, malformazioni, aborti e malattie del sistema cognitivo hanno percentuali altissime nelle tre province colpite, Padova, Vicenza e Verona. Gli studi condotti in loco dall’università di Padova dimostrano come siano sostanze nocive per la nostra salute, nello specifico per il nostro sistema nervoso e ormonale…
Si è aperto il più grande processo italiano per crimini ambientali - Marco Cedolin
Abbiamo parlato diffusamente lo scorso anno dello scandalo dei Pfas, a causa del quale solamente in Veneto oltre 350mila persone hanno bevuto per decenni, e continuano a bere, acqua pesantemente contaminata da sostanze tossiche in grado di provocare malattie degenerative del cervello, una lunga serie di tumori, cardiopatie e malattie collegate al diabete, solo per citare alcune delle moltissime patologie messe in relazione con l’accumulo di questi veleni all’interno del corpo umano nel corso di molteplici studi.
L’inquinamento da Pfas, sostanze vietate negli stati Uniti dal 2001 a causa della loro tossicità per l’ambiente e gli esseri viventi e considerate dalla Commissione europea interferenti endocrini dal 2009 non riguarda solamente il Veneto (che comunque risulta essere la più vasta zona oggetto di contaminazione), ma anche la provincia di Alessandria, quella di Pisa, i bacini dei fiumi Lambro e Olona in Lombardia, il distretto tessile di Prato e il Polo conciario campano.
Finalmente nello scorso mese di marzo al tribunale di Vicenza si è aperto, dopo otto anni di denunce e un anno e mezzo di udienze preliminari, quello che può essere considerato il più grande processo per crimini ambientali italiano.
Sul banco degli imputati la Miteni e le varie società che dal 1966 ne hanno guidato la gestione e pur essendo state a conoscenza fin dall’inizio del problema concernente la contaminazione delle acque di scarico, così come appurato dai carabinieri, hanno evitato con ogni mezzo di rendere pubblico quanto stesse accadendo.
Stiamo parlando di 15 responsabili civili, dieci dirigenti stranieri e cinque italiani, accusati di avvelenamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta. Si tratta dei dirigenti delle diverse società che a partire dal 2002 hanno prodotto sostanze chimiche all’interno del polo industriale di Trissino in provincia di Vicenza e di quelli della società che ha gestito il fallimento della Miteni nel 2018. Dalla parte dell’accusa si sono costituiti come parti civili oltre 230 soggetti, fra i quali 150 singole famiglie e due ministeri rappresentati dall’avvocatura di Stato, il Ministero dell’Ambiente e quello della Salute che chiedono la bonifica del sito inquinato e il risarcimento delle spese sanitarie conseguenti alla contaminazione in oggetto.
Il prossimo 13 aprile ci sarà la conferma del rinvio a giudizio per gli imputati e dovrebbe avere inizio la fase dibattimentale, durante la quale le difese saranno chiamate a rispondere dei reati imputati. Le varie associazioni di cittadini stanno al contempo organizzando una grande manifestazione per la fine del mese di aprile, con lo scopo di aggiornare la popolazione sulla situazione processuale e sensibilizzarla riguardo alla gravità del problema.
Nonostante da due anni sia stato infatti aperto un tavolo tecnico regionale, con lo scopo di portare avanti un progetto di bonifica del sito e della falda, concretamente non è ancora stato fatto nulla e la contaminazione delle acque continua a mettere a repentaglio la salute della popolazione e con tutta probabilità continuerà a farlo anche nei prossimi anni.
La speranza è quella che non si ripeta il caso di Spinetta Marengo, nell’alessandrino, dove dopo un processo durato 10 anni contro l’azienda chimica Solvay, accusata di avere prodotto veleni che hanno inquinato oltre 1150 metri cubi di terreno nel raggio di tre chilometri dal polo chimico, delle 38 persone indagate solamente 3 sono state ritenute colpevoli, oltretutto esclusivamente di disastro ambientale colposo, un reato con pene meno gravose rispetto a quello di avvelenamento doloso richiesto dall’accusa. Tutto ciò nonostante in tribunale, nel 2013, l’epidemiologo dell’Arpa Ennio Cadum avesse dimostrato come il cromo esavalente e altri 20 veleni rilasciati nelle acque di Spinetta avessero provocato un incremento dell’80% del numero dei tumori in un’area di 3 chilometri intorno allo stabilimento.
Il processo che si sta aprendo al tribunale di Vicenza rappresenta insomma sicuramente una buona notizia, ma la strada per ottenere giustizia e risolvere il problema rischia di manifestarsi purtroppo ancora lunga e tortuosa, pur nella speranza che risulti esserlo il meno possibile.
I comitati ambientalisti veneti esultano: «Chi ci ha avvelenato paghi» - Riccardo Bottazzo
Il rinvio a giudizio dei quindici manager della Miteni, l’azienda vicentina responsabile di aver avvelenato con i Pfas le acque di mezzo Veneto, è stato accolto con grande entusiasmo dalle 226 tra associazioni ambientaliste, comitati cittadini e pubbliche amministrazioni, che si erano costituite parte civile e che, per tutto lo scorso fine settimana hanno assediato il tribunale con un presidio permanente che si è concluso alla lettura della sentenza.
«Stiamo piangendo di gioia – ha commentato Patrizia Zuccato delle Mamme No Pfas – Temevamo che ancora una volta il potere e il denaro mettessero tutto a tacere, ma questa sentenza ci apre una strada. Sappiamo che sarà tutta in salita ma ora è una strada aperta e vi assicuro che la percorreremo sono in fondo». Anche Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, parla di «una prima grande vittoria». «Ci aspettiamo che venga applicato il principio che sta alla base degli ecoreati: chi inquina paga. La difesa delle falde e della salute deve stare al centro del Piano nazionale di ripresa».
La decisione del giudice per l’udienza preliminare Roberto Venditti ha accolto in toto l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri vicentini Barbara De Munari e Hans Roderich Blattner. I quindici manager sono stati rinviati a giudizio con le accuse di disastro doloso, avvelenamento delle acque, inquinamento ambientale ed anche di bancarotta fraudolenta per il fallimento della società Miteni nel 2018. Si tratta di quindici dirigenti d’azienda di rilevanza internazionale che fanno riferimento a importati multinazionali come la Mitsubishi e l’Icig, proprietarie della Miteni negli ultimi decenni in cui l’avvelenamento è stato più pesante per l’utilizzo di Pfas di ultima generazione, come GenX e C6O4.
Dunque, il primo luglio prossimo in Corte d’Assise ci sarà il più grande processo per crimini ambientali mai svoltosi nel Veneto, e probabilmente anche in Italia, sia per la pericolosità dei materiali versati che per l’ampiezza dell’area interessata dall’inquinamento e che investe le provincie di Vicenza, Verona, Padova. Mezzo Veneto, per l’appunto. Senza contare che l’area inquinata si sta tutt’ora espandendo e che la presenza di Pfas è stata rilevata recentemente anche nella laguna veneziana. Solo nei prossimi anni riusciremo a quantificare con precisione l’impatto causato dallo sversamento di queste molecole killer nelle falde acquifere. Gli effetti sulla salute dei cittadini che hanno bevuto l’acqua inquinata o che si sono nutriti di verdure locali è già testimoniato da varie ricerche mediche che hanno riscontrato un forte aumento di patologie come tumori ai reni e ai testicoli, coliti ulcerose sino a ictus, osteoporosi precoce, diabete, Alzheimer. I Pfas colpiscono in particolare i bambini e le donne in stato di gravidanza causando aborti e malformazioni nei feti. Un disastro ambientale e sociale le cui conseguenze le pagheremo anche negli anni a venire, in quanto questi acidi perfluoroacrilici agiscono come una sorta di bomba ad orologeria. Una «pandemia chimica» che si accumula nel metabolismo e i cui effetti possono manifestarsi anche a decenni di distanza.
La soddisfazione per questa primo pronunciamento che riconosce le pesanti responsabilità della Miteni non riuscirà ad allontanare la paura di ammalarsi in un prossimo futuro. Così come non diminuirà i disagi di chi non potrà ancora bere l’acqua del rubinetto, continuerà a guardare con sospetto le verdure in vendita nei mercati ed a rinunciare a coltivare l’orto sotto casa. Allo stesso mmodo, il processo non può rimediare i ritardi di una amministrazione regionale che per tanti anni si è dimostrata sorda alle denunce dei residenti che sin dai primi anni del nuovo secolo chiedevano come mai nei prati di Trissino le margherite nascessero con due corolle o con i petali raggrinziti. Solo nel 2013, l’Arpa ha cominciato a studiare il fenomeno, riscontrando ufficialmente la presenza di Pfas nelle falde. Per il rinvio a giudizio, ci sono voluti altri 8 anni. I tempi della giustizia non sono mai quelli della salute e dell’ambiente. Tanto più che nella maggioranza che guida la Regione, di bonifiche ancora non se ne parla.
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