Fra le decisioni assunte dall’ultimo vertice del G20 c’è anche quella di estendere fino al dicembre 2021 la sospensione dei pagamenti sul debito che i Paesi più poveri hanno nei confronti dei governi dei Paesi più ricchi.
Prolungamento
di una pratica già deliberata nell’aprile del 2020 per permettere anche alle
nazioni maggiormente in affanno di poter disporre di qualche soldo in più per
affrontare le spese eccezionali imposte dall’emergenza Covid.
Una
situazione che anche i “ricchi” conoscono molto bene, considerato che
complessivamente nel 2020 i 36 Paesi dell’Ocse hanno sostenuto una spesa
supplementare di quasi 9mila miliardi di dollari per arginare le emergenze
sanitarie e sociali dovute alla pandemia.
L’iniziativa
assunta dal G20 è offerta solo ai Paesi più poveri, quelli con reddito pro
capite inferiore a 1.185 dollari all’anno.
Tali Paesi
sono anche detti “Ida” in ragione del fatto che sono ammessi a godere dei
prestiti agevolati elargiti dall’agenzia della Banca Mondiale denominata International
Development Assistance (Ida, appunto).
In tutto si
tratta di 73 nazioni, per oltre la metà localizzate in Africa, che ospitano 1,7
miliardi di persone corrispondenti al 22% della popolazione mondiale.
Secondo gli
ultimi dati disponibili riferiti al 2019, complessivamente i governi dei Paesi
Ida detengono un debito di 523 miliardi di dollari, ma solo il 34% è
bilaterale, ossia è nei confronti di altri governi. Il resto è verso organismi
multilaterali come Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale (46%) o
verso banche commerciali e altri soggetti privati (20%).
Pertanto la
sospensione si applica solo a un terzo degli importi, quelli riferibili al
debito bilaterale che è l’unica parte su cui i governi del G20 hanno potere
decisionale.
Quanto al
resto, il G20 ha invitato gli altri creditori a fare altrettanto, ma sinora la
risposta è stata deludente. Nessun soggetto privato ha risposto positivamente
all’appello, mentre gli organismi multilaterali si sono limitati a offrire il
proprio supporto tecnico affinché i governi possano perseguire i propri
propositi.
Dai conti
elaborati da Eurodad, organizzazione europea che si occupa del debito del Sud
del mondo, risulta che nel biennio 2020-21 i 73 Paesi più poveri devono versare
ai creditori 71 miliardi di dollari come pagamento del servizio del debito,
ossia degli interessi e delle rate in scadenza.
Ma solo 27,4
miliardi di dollari fanno parte del perimetro della sospensione: in termini di
ripartizione pro capite sugli abitanti dei Paesi Ida, si tratta di un beneficio
di 16 dollari a cittadino.
A titolo di
confronto, nel solo 2020 i Paesi Ocse hanno arginato la pandemia con un surplus
di spesa corrispondente a 7.000 dollari per cittadino.
Il
risultato, però, è ancora più scarno considerato che su 73 Paesi che possono
aderire all’offerta, solo 43 ne hanno fatto richiesta.
Tant’è che
fino ad oggi è stata attuata una sospensione complessiva di appena 5,7 miliardi
di dollari. Fra i motivi avanzati dagli esperti per spiegare una risposta così
poca entusiastica, c’è che le cifre sospese dovranno essere rimborsate fra il
2022 e il 2024. Un periodo molto breve che rischia di creare un
sovraccarico di esborsi che a molti fa paura.
Secondo i
calcoli di Eurodad, solo per il normale servizio del debito, i 73 Paesi più
poveri devono essere pronti a sborsare 115 miliardi di dollari nel biennio
2022-24. Cifra che si appesantirebbe di un ulteriore 23% qualora dovesse essere
sovraccaricata di tutta la sospensione che in linea teorica può essere attuata
nel biennio 2020-21.
Considerato
che una buona metà dei Paesi più poveri è già in stato di insolvenza o è vicina
a diventarlo, è abbastanza comprensibile che molti non sottoscrivano patti che
saprebbero di non poter onorare.
Del resto
mancano informazioni sulle contropartite che i governi debitori dovrebbero dare
in cambio delle sospensioni, né si sa quali misure scatterebbero in caso di
inadempienze.
Considerato
che la consulenza è del Fmi, non ci sarebbe da sorprendersi se l’offerta fosse
condizionata al rispetto di regole che in passato si sono rivelate altamente
destabilizzanti sul piano sociale e politico.
Da tempo la
parte più avanzata della società globale sostiene che l’unica strada da
perseguire per liberare i Paesi più poveri dalle catene del bisogno è
l’annullamento del loro debito ed è di grande significato che papa Francesco
abbia inserito questa indicazione nella lettera inviata l’8 aprile scorso alla
Banca Mondiale:
«Lo spirito
di solidarietà globale impone di ridurre in maniera significativa il debito
delle nazioni più povere, un peso che la pandemia ha ulteriormente esacerbato.
Scegliendo di alleggerire il loro debito compiremmo un gesto di grande umanità
perché permetteremmo a quelle popolazioni di accedere ai vaccini, alla sanità e
all’istruzione».
Per quanto
riguarda la parte di debito dovuta ai governi, buona parte dell’annullamento
dipende dalla Cina, considerato che detiene il 60% di tutto il debito
bilaterale dei 73 Paesi più poveri. Segue il Giappone col 15% mentre Germania e
Francia che si collocano attorno al 5%.
Generalmente
si invoca il senso di generosità per indurre a comportamenti di rinuncia, ma in
questo caso basterebbe appellarsi alla lungimiranza perché l’avarizia non
conviene a nessuno in un momento in cui basta un focolaio di non vaccinati per
fare divampare di nuovo la pandemia a livello globale
Articolo
pubblicato sull’Avvenire
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