Nella remota
Runit Island, nelle Isole Marshall – Aorōkin M̧ajeļ, l’innalzamento del livello
del mare causato dal cambiamento climatico sta facendo filtrare l’acqua
dell’oceano in quella che gli ultimi abitanti dell’atollo di Enewetak chiamano
semplicemente “The Dome” (la Cupola), una discarica delle scorie radioattive
dei test nucleari statunitensi degli anni ’40 e ’50, quando le Marshall erano
sotto mandato fiduciario Onu degli Usa.
Alla
vicenda, praticamente ignota nel resto del mondo, l’ABC –
Australian Broadcasting Corporation dedica un reportage
di Mark Willacy “A poison in our Island”, corredato da foto che in parte
pubblichiamo e che sono quelle dei militari Usa che dopo la Seconda
Guerra Mondiale costruirono la cupola delle scorie radioattive con pala e
piccone, in pantaloncini e a torso nudo, le foto degli attuali abitanti di
Enewetak e quelle fatte con i droni da Greg Nelson.
Il reportage
comincia con i bambini di Enewetak che, seduti a gambe incrociate sulla sabbia
corallina del loro piccolo paradiso cantano per il “Manit Day”, una
celebrazione della cultura delle Isole Marshall, e che fanno sembrare che il
tormentato passato di questa tormentato e piccolo Stato insulare sia un lontano
ricordo. I bambini cantano le isole e gli atolli, il sole e la brezza: «Fiori e
luce lunare, palme ondeggianti (…) Sono finiti i giorni in cui vivevamo nella
paura, la paura delle bombe, delle armi e del nucleare (…) Questo è il tempo …
questo è il mio Paese, questa è la mia terra».
I piccoli
scolari sono nati decenni dopo l’ultima delle esplosioni nucleari che ha
devastato interi atolli, ma l’eco di quegli esperimenti atomici è ancora nelle
loro teste e potrebbe rendere molto difficile il loro futuro che tutti speriamo
pacifico. Riferendosi al deposito delle scorie nucleari, la direttrice della
loro scuola, Christina Aningi, ha detto all’ABC: «Lo chiamiamo
la tomba. I bambini capiscono che abbiamo un veleno nella nostra isola».
La cupola
sorge all’estremo ovest delle isole Marshall, a metà strada tra l’Australia e le
Hawaii, si tratta di una gigantesca struttura che dal mare sembra abbastanza
insignificante – schermata come è da palme e vegetazione – ma sbarcati a
terra ci si trova di fronte a quello che sembra un enorme disco volante
sprofondato sulla lingua di sabbia di un’isola deserta, tra l’Oceano e la
laguna interna. Sepolti sotto questa “tomba” ci sono 85.00 m3 di scorie
radioattive, l’eredità venefica dell’alba tossica dell’era termonucleare.
Infatti, alla fine degli anni ’70 anni ’70, Runit Island, fu scelta dal
governo statunitense per ospitare il risultato della più grande bonifica
nucleare nella storia degli Usa: le scorie altamente contaminate prodotte da
una dozzina di test di bombe atomiche vennero scaricate sulla punta dell’isola
disabitata, in un cratere largo 100 metri provocato da uno di quegli stessi
esperimenti. Gli ingegneri dell’esercito Usa sigillarono questo inferno atomico
con un “tappo” di cemento spesso solo mezzo metro e poi abbandonarono l’isola
devastata al suo destino. Ora, con l’innalzamento del livello del mare, l’acqua
dell’Oceano Pacifico ha cominciato a penetrare nella cupola e un rapporto del
2013 del Dipartimento dell’energia Usa ha rivelato che i materiali radioattivi
si stanno sgretolando, minacciando la già pericolosa esistenza degli abitanti
di Enewetak.
Alson Kelen,
direttore del programma Waan Aelõñ in Majel (WAM), ex sindaco di Bikini e
attivista climatico delle Isole Marshall, non ha dubbi: «Quella cupola è il
legame tra l’era nucleare e l’era del cambiamento climatico. Se ci saranno
davvero delle fuoriuscite sarà un evento molto devastante. Non stiamo
parlando solo delle Isole Marshall, stiamo parlando dell’intero Pacifico».
Le Isole
Marshall in realtà si chiamano Aorōkin M̧ajeļ, ma i tedeschi, che dal 1884 al
1919 ne fecero una loro colonia aggregata alla Nuova Guinea tedesca, le
ribattezzarono Marschallinseln, poi vennero occupate dal Giappone e liberate
dalle truppe statunitensi durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo la fine del
conflitto le Marshall vennero assegnate agli Usa come parte del Territorio
fiduciario delle Isole del Pacifico, solo nel 1979 le Isole Marhall –
Aorōkin M̧ajeļ sono diventate una Repubblica indipendente di 29
atolli e 5 isole con una superficie totale di 181,42 km2 (più piccola
dell’Isola d’Elba, ma sue lagune si estendono su 11.673 km2 e la sua
Zona economica esclusiva marittima è enorme) e con oltre 50.000 abitanti, con
capitale Majuro. Le Isole Marshall hanno mantenuto una libera associazione con
gli Usa che dovrebbero garantire sostegno economico e il risarcimento dei danni
provocati dai test nucleari.
Gli Usa
hanno un forte debito con questo remoto paradiso: negli anni ’40 e ’50 fecero
esplodere nelle Marshall, lontano dagli occhi indiscreti del mondo, 43 bombe
atomiche, vaporizzando letteralmente 4 delle 40 isole che formavano l’atollo di
Enewetak, una di queste esplosioni lasciò un cratere nucleare largo 2 Km dove
un istante prima c’era un isola. Anche se i più famosi test nucleari furono
quelli di Bikini che dettero il nome ad un allora scandaloso costume da bagno.
Prima dei
test nucleari l’esercito Usa trasferì la popolazione di Enewetak su un’altra
isola e alcuni di loro sono potuti ritornare a casa solo più di
trent’anni dopo, in molti non hanno più rivisto la loro isola e tra gli
abitanti di Enewetak sono ormai pochi quelli che possono ricordare come
era quando erano bambini, prima dei test nucleari.
Mentre
vaporizzava atolli e spostava intere popolazioni, Washington accantonava i
fondi per costruire a Runit Island la cupola come deposito temporaneo delle
scorie nucleari e inizialmente il progetto prevedeva di rivestire il fondo
della voragine nucleare di Runit Island con del cemento, cosa alla quale alla
fine gli americani hanno rinunciato perche troppo costosa. Intervistato da
Willacy, Michael Gerrard, che presiede l’Earth Institute della Columbia
University, spiega che «Il fondo della cupola è proprio quello che è
stato lasciato dall’esplosione delle armi nucleari. E’ terreno
permeabile. Non è stato fatto nessun lavoro per metterlo in
sicurezza e quindi l’acqua di mare è all’interno della cupola».
La gente del
posto sbarca raramente su Runit Island, ha paura delle radiazioni in un
territorio off-limits. Uno status che si estende a quasi tutte le isole che
formano l’atollo di Enewetak, dove solo tre isole sono considerate abbastanza
sicure per poterci vivere. Giff Johnson, il direttore del Marshall Islands Journal, l’unico giornale del Paese,
spiega che le altre isole sono «Troppo calde, troppo radioattive per
poterci stare» e che per questo non c’era motivo di bonificarle. La gente del
posto a volte sbarca su Runit per raccogliere gli scarti di rame lasciati dagli
americani, per venderli per pochi dollari a un commerciante cinese che
evidentemente non si preoccupa molto della radioattività.
Insomma,
quello che sembra un paradiso è in realtà un pericoloso inferno, anche sociale:
dopo il fall-out dei test atomici, la vita tradizionale del popolo di Enewetak,
che si basava sulla pesca di sussistenza, è finita perché il mare che
dava loro cibo e inquinato e sull’isola principale, dove ormai vive la gran
parte della popolazione che prima era disseminata nelle centinaia di isolette
che formano l’atollo, la preoccupazione per la contaminazione radioattiva della
catena alimentare marina ha provocato un radicale cambiamento della dieta
tradizionale fatta di pesce e cocco. l’ABC sottolinea
che «Il Dipartimento dell’energia Usa ha addirittura vietato le esportazioni di
pesce e di copra da Enewetak a causa della continua contaminazione».
Così, ora
quasi tutti i prodotti alimentari consumati a Enewetak sono importati
sull’isola e gli isolani sono diventati dipendenti da prodotti confezionati,
come la carne in scatola “spam”, che in tutto il Pacifico stanno causando
un’epidemia di obesità e diabete. Gli scaffali dell’unico negozio di Enewetak
sono pieni di barrette di cioccolato, lecca lecca e patatine americane e i
bambini che cantano sulla sabbia le bellezze delle Marshall sono destinati a
diventare adulti obesi e che vivranno di assistenza o lasceranno la loro isola
assediata dal fantasma radioattivo del nucleare che costrinse alla fuga i loro
nonni.
Willacy
ha intervistato anche Jack Niedenthal, segretario generale della Marshall
Islands Red Cross Society, che per oltre 30 anni ha aiutato la gente del vicino
Atollo di Bikini a lottare per ottenere i risarcimenti per i danni causati da
23 test atomici. Parlando di The Dome, Niedenthal non nasconde la sua
preoccupazione: «Per me, questo è come un grande monumento a una gigantesca
cazzata americana. Se tutto finisse sott’acqua, questo potrebbe causare dei
problemi davvero grossi per il resto dell’umanità, perché è plutonio e
cemento». L’attivista antinucleare si riferisce ad alcune delle scorie sepolte
sotto la cupola che comprendono il plutonio 239, un isotopo fissile utilizzato
nelle testate nucleari che è una delle sostanze più tossiche sulla terra e che
ha un’emivita radioattiva di 24.100 anni.
Eppure, il
panorama che si vede dalla cima di The Dome sembra quello del paradiso: a est
le onde del Pacifico, a ovest la calma superficie azzurra della laguna con, a pochi
metri dalla cupola, uno spettacolare buco blu. Peccato che quel “pozzo” sia la
voragine di un altro test nucleare che ha vaporizzato la barriera corallina.
Nonostante
Ruinit islan sia ufficialmente off-limite, la cupola è priva di cartelli
di pericolo ed è incustodita e la sua posizione vicino all’Oceano
espone questa discarica di rifiuti nucleari alle onde delle tempeste sempre più
frequenti e sempre più forti. Sulla cupola sono visibili delle crepe e intorno
al perimetro dell’enorme struttura si sono formati stagni salmastri. Come
spiega ancora Gerrard, « Già ora il mare a volte arriva sopra [la cupola]
durante una grande tempesta. Il governo degli Stati Uniti ha riconosciuto che
un grande tifone potrebbe spezzarla via e in parte far sì che tutte le
radiazioni in essa contenute si disperdano».
Gerrard
vorrebbe che gli Usa rafforzassero la cupola, ma un rapporto del 2014 del
governo statunitense afferma che «Un crollo catastrofico della struttura non
porterebbe necessariamente a un cambiamento dei livelli di contaminazione nelle
acque circostanti». Gerrard chiosa: «Sono persuaso che la radiazione al di
fuori della cupola sia nocive quanto la radiazione all’interno della cupola. E’
quindi, è una tragica ironia che il governo Usa abbia ragione sul fatto che, se
questo materiale venisse rilasciato, il cattivo stato dell’ambiente circostante
non peggiorerebbe di molto».
Ma questo
non è di nessun conforto per la gente di Enewetak, che teme di essere
nuovamente trasferita se “la tomba” si sgretolerà esponendo
l’eredità venefica dell’inferno nucleare. Aningi conclude: «Se si apre, la
maggior parte delle persone di qui non ci sarà più. Questo per noi è come
un cimitero, siamo in attesa che succeda».
Ma
fortunatamente i canti dei bambini tengono ancora accesa la speranza di questo
paradiso affacciato sul bordo dell’inferno nucleare.
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