Sono solo l’ultimo presunto disastro ambientale
scoperto le 45mila tonnellate di rifiuti pericolosi trovate interrate a
Portovesme, nel terreno di Enel spa che nel Sulcis ha una centrale
di energia. Quella avviata dalla Procura di Cagliari – con pm Marco Cocco e
Andrea Vacca – è dunque l’ennesima inchiesta sulla Sardegna trasformata in
discarica. O comunque fatta oggetto di episodi di grave inquinamento, su cui la
magistratura è al lavoro.
Era aprile del 2015 quando scattarono le manette per i
vertici di E.On, proprietaria della centrale idroelettrica
di Fiume Santo: un serbatoio da cinquantamila litri si era
anche staccato dal fondo dell’impianto, provocando perdite continue che
sarebbero state nascoste per non arrecare danni all’azienda. Lo scorso 20 aprile è arrivata però l’assoluzione dei manager.
La Regione sta pagando di tasca propria il risanamento
ambientale di Furtei (nella foto) su un’area di 530 ettari, abbandonata nel
2009 dalla Sardinia gold mining che
cercava oro ed era titolare della concessione estrattiva. Il costo
dell’intervento è di 65 milioni per i primi tre anni di interventi che
serviranno solo per bonificare il laghetto al cianuro. Anche in questo caso c’è
un’inchiesta aperta: la Procura di Cagliari – pm Daniele Caria – ha chiesto il rinvio a
giudizio di tre dirigenti della Sardinia gold mining: due sono canadesi, uno è
americano.
Sempre a Portovesme c’è
il caso del bacino di fanghi rossi di Euroallumina. A
processo per disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti – il pm è
ancora Marco Cocco – ci sono due dirigenti della società. Un dato su tutti: nei
campioni d’acqua prelevati nei pozzi di osservazione (i cosiddetti piezometri)
a settembre 2015, il cancerogeno cromo VI superava di oltre il doppio i limiti-soglia
nell’area compresa tra il bacino dei fanghi rossi e il mare.
A Sarroch, nel polo
petrolchimico della famiglia Moratti, a marzo 2017 arrivò pure una troupe
de Le Iene per tenere accese le luci dei riflettori
sul presunto inquinamento: indagini aperte sulla Saras non ce ne sono, ma
continuano le le battaglie ambientali promesse da singoli cittadini e
associazioni verdi. A Le Iene si erano rivolti due imprenditori agricoli, madre
e figlio – Liliana e Carlo Romagnino – costretti a chiudere la loro azienda per
via della quantità di vanadio trovata nel terreno e pari a oltre dieci volte il
limite consentito. La Saras si è sempre difesa mettendo sul tavolo i dati
dell’Arpas sul monitoraggio della qualità dell’aria e risultati sempre nei
limiti di legge. Ma anche lo scorso marzo gli ambientalisti del Grig hanno
denunciato “il silenzio delle autorità contro i fumi e miasmi dagli impianti”.
Dal Gruppo di intervento giuridico hanno ricordato una ricerca scientifica
secondo cui in 75 bambini delle scuole elementari e medie sono stati
riscontrati danni e alterazioni al Dna (leggi qui).
Era il 16 maggio 2016 quando i vertici della Fluorsid, l’azienda di Macchiareddu proprietà
di Tommnaso Giulini, patron del Cagliari calcio, finirono in manette insieme ad
alcuni dipendenti (ed ex) delle ditte d’appalto. Per tutti l’accusa di
disastro ambientale. Anche questa indagine è in mano al pm Marco Cocco, mentre
le ordinanze di arresto furono firmate dal gip Cristina Ornano. L’area
interessata all’inchiesta arriva sino alla laguna di Santa Gilla, dove nei fanghi sversati fu trovato
arsenico. E poi ci sono i fanghi interrati in una
discarica abusiva di Assemini: la quantità stimata è stata di 35mila tonnellate. Il
pubblico ministero ha indagato lo scorso aprile anche tre dirigenti
dell’Agenzia regionale Arpas per omessi controlli e segnalazioni (leggi qui).
Ancora tutto da chiarire il caso dell’amianto a Ottana, nell’area industriale: ci sono dei contenziosi
giudiziari aperti, cioè cause di lavoro, ma la commissione d’inchiesta
istituita dall’Inail per la richiesta di risarcimenti ha respinto la gran parte
delle domande. Per l’istituto nazionale “c’era sì esposizione all’amianto (la cui presenza è stata
certificata), ma non tale da ottenere speciali previdenze“.
Infine il ribattezzato ‘inquinamento di Stato’, quello
derivante dalla presenza delle servitù militari: il
processo sui veleni di Quirra, in corso a
Lanusei, continua a ritmi serrato: anche nell’ultima udienza dello scorso 11
aprile un consulente della pubblica accusa ha confermato la presenza di
sostanze radioattive. E poi le pecore malformate, le carni e i
formaggi , come in aula hanno raccontato a febbraio due veterinarie citate come
teste (leggi qui). Gli imputati sono otto ex comandanti della
base militare: guidarono il poligono dal 2004 al 2010.
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