Nel mio articolo uscito su questo sito lo scorso 4 maggio,
c’è un errore di cui mi scuso: il pesticida neonicotinoide il cui utilizzo è
imposto dal decreto del 13 febbraio 2018 è unicamente l’Acetamiprid,
commercializzato in Italia da Sipcam sotto il nome di Epik, e non rientra nei
tre neonicotinoidi vietati lo scorso 27 aprile dall’Unione Europea
(imidacloprid, clothianidin e thiamethoxam) in quanto riconosciuti come
“apicidi” . La parte del decreto che riguarda questo aspetto si può rinvenire
da pagina 89 a pagina 95 del numero 80 della Gazzetta Ufficiale 2018.
Subiremo quindi un attacco chimico legale, e questo dovrebbe
tranquillizzarci.
Riporto qui di seguito alcune posizioni ufficiali riguardanti
l’Acetamiprid.
> EFSA (European Food Society Authority) nel
dicembre 2013
“Il gruppo di esperti scientifici PPR ha riscontrato
che acetamiprid e imidacloprid possono avere un effetto avverso sullo sviluppo
dei neuroni e delle strutture cerebrali associate a funzioni quali
l’apprendimento e la memoria. Ha concluso che alcuni dei livelli guida attuali
per l’esposizione ammissibile ad acetamiprid e imidacloprid potrebbero non
essere sufficienti a salvaguardare dalla neurotossicità nella fase di sviluppo
e dovrebbero essere ridotti. Questi cosiddetti valori tossicologici di
riferimento forniscono indicazioni chiare sul livello di una sostanza a cui i
consumatori possono essere esposti a breve e a lungo termine senza un rischio
apprezzabile per la salute. Alcuni esempi sono la dose acuta di riferimento
(DAR), la dose giornaliera ammissibile (DGA) e il livello ammissibile di
esposizione dell’operatore (LAEO)” http://www.efsa.europa.eu/it/press/news/131217
Ma dato che anche un organismo come l’EFSA è fatto da essere umani,
suscettibili come me di errore, o peggio ancora di pressioni esterne, non
voglio considerare oro colato quello che dice l’EFSA, anzi giacché sono in
argomento, ricordo quello che successe pochi mesi fa con i cosiddetti “Monsanto
Papers”:
“Le sezioni del rapporto dell’EFSA che riesaminano gli
studi pubblicati sul potenziale impatto del glifosato sulla salute umana sono
stati copiati, quasi parola per parola, dal dossier presentato da Monsanto.
Sono 100 pagine sulle circa 4.300 del rapporto finale, ma si tratta delle
sezioni più controverse e al centro dell’aspro dibattito degli ultimi mesi,
quelle sulla potenziale genotossicità, la cancerogenicità e la tossicità
riproduttiva del glifosato” http://www.lastampa.it/2017/09/15/scienza/glifosato-la-valutazione-dei-rischi-ue-copiata-dai-documenti-monsanto-SpexAUwAx6B23ei8G70xYL/pagina.html
Ovviamente anche il quotidiano torinese La Stampa non va preso per oro
colato (il movimento No Tav la chiama, da circa un ventennio, “la busiarda”).
Ma la diffusione di questa notizia è avvenuta principalmente dall’estero ed è
stata oggetto dell’interesse di tutti i quotidiani internazionali e anche di
interrogazioni parlamentari. Ma qui sembra non ci si possa fidare di nessuno.
Quindi andiamo avanti, sempre più a fondo per quanto possibile, per capire cosa
dicono le fonti ufficiali sull’Acetamiprid. Passiamo alla ricerca
universitaria.
Rispetto agli altri Neonicotinoidi, cioè quelli recentemente vietati
dall’Unione Europea, l’Acetamiprid sembra non avere gli stessi effetti nocivi
sulle api, stando alle ricerche sperimentali degli autori di questo articolo:
“Nel trasporto sistemico di alcuni principi attivi
all’interno della pianta, le molecole originarie vengono metabolizzate dal
sistema di detossificazione e degradate in altri composti. Un fenomeno simile ha
luogo anche all’interno del corpo delle api che vengano in contatto con il
composto madre. In alcuni casi, come per l’acetamiprid, le molecole
prodotte dalla degradazione non sono in grado di esprimere tossicità. Per altri
principi attivi, invece, i metaboliti possono avere proprietà tossiche
paragonabili o superiori a quelle della molecola madre (…) All’interno della
classe dei neonicotinoidi esistono due gruppi con caratteristiche
tossicologiche distinte: i composti nitro-sostituiti e i composti ciano-sostituiti.
I primi (es. imidacloprid, thiamethoxam e clothianidin) hanno una tossicità
fino a 1000 volte superiore rispetto ai secondi (es. acetamiprid e thiacloprid)
(…) Un’altra particolarità dell’esposizione cronica riscontrata nei piretroidi
e in alcuni neonicotinoidi, è la relazione negativa che lega la dose e la
mortalità provocata, per cui a dosi più alte non corrisponde necessariamente
una mortalità finale maggiore. L’imidacloprid, se somministrato cronicamente in
concentrazioni riscontrabili nel polline (1 e 10 ppb) attraverso una soluzione
zuccherina, è in grado di provocare una mortalità del 50% dopo 8 giorni. Nel
medesimo studio è stato dimostrato che, per raggiungere un effetto comparabile,
in modalità acuta, è necessaria una dose fino a 6000 volte superiore della
stessa sostanza. Acetamiprid e thiacloprid, al contrario, non mostrano lo
stesso comportamento. L’acetamiprid, ad esempio, se somministrato in dosi
subletali (0,1 e 1 µg/ape) per 11 giorni, sia per ingestione, che per contatto,
non provoca un aumento della mortalità rispetto ad api non trattate” (pp. 8-10)
Questo non vuol dire tuttavia che la sostanza in questione risulti innocua,
perché ci sono in ballo altri fattori, in particolare quelli “sistemici”, cioè
legati all’interazione tra sostanze, sia immesse dall’uomo sia
naturali:
“Anche il thiamethoxam, per contatto diretto con 0,1 e
1 ng/ape in condizioni di laboratorio, ha provocato un calo della capacità
delle api di apprendere gli odori e di memorizzare le informazioni apprese.
Analogamente l’acetamiprid, a dosi subletali e per ingestione (0,1
µg/ape), ha dimostrato di inibire la memoria a lungo termine legata a stimoli
odorosi [82]. L’interpretazione di questi risultati è interessante anche alla
luce del fatto che, nella maggior parte degli studi, gli odori usati come
stimoli sono sostanze comuni nella vita delle api come il citronellolo o il
linalolo, componenti naturali dell’aroma dei fiori o come la miscela di
molecole emessa dalla ghiandola di Nasonov nelle api operaie. La minore
reattività a questo genere di stimoli in un’ape bottinatrice, ad esempio,
potrebbe andare a danneggiare la capacità di rintracciare le fonti di cibo
migliori. L’effetto deleterio del clothianidin sull’apprendimento e la memoria
delle api, è stato inoltre dimostrato anche nel caso in cui l’odore proposto
era rappresentato dal feromone reale, un altro componente essenziale della vita
e dell’aggregazione della famiglia di api (…) L’azione sinergica tra la
deltametrina ed il fungicida imidazolico prochloraz, è stata verificata sulle
api adulte sia per quanto riguarda la mortalità, sia per gli effetti subletali
come la capacità di termoregolazione. L’aumento di tossicità sarebbe provocato
da un’interazione a livello biochimico, grazie alla quale i fungicidi azolici
sono in grado di ostacolare la detossificazione dei piretroidi, rendendo quindi
le api più suscettibili all’azione di questi comuni insetticidi. In condizioni
di semicampo questi risultati sono stati confermati, presentando però anche
un’altra interpretazione del fenomeno. Secondo questa infatti, il fungicida
prochloraz sarebbe in grado di ridurre l’effetto repellente della deltametrina,
aumentando quindi il rischio di esposizione al piretroide. Nel caso dei
neonicotinoidi, la combinazione con altri principi attivi è prevista in molte
formulazioni commerciali; tra i prodotti spray troviamo infatti associazioni
tra neonicotinoidi e piretroidi (deltametrina e cipermetrina prevalentemente),
mentre tra le formulazioni utilizzate nella concia di sementi, la combinazione
tra insetticida e fungicida è molto diffusa. Allo stesso modo di quanto
dimostrato per i piretroidi, anche l’associazione tra i neonicotinoidi e i
fungicidi azolici presenta un carattere sinergico negativo nei confronti delle
api adulte. Il trattamento combinato, per contatto, con triflumizolo, ad
esempio, ha aumentato la tossicità dell’acetamiprid e del
thiacloprid più di 200 e 1000 volte rispettivamente. Analogamente la DL50 del
thiacloprid è risultata di 500 volte più bassa in corrispondenza del
trattamento combinato con il propiconazolo. Questo tipo di sinergia si verifica
sopratuttutto con i neonicotinoidi di tipo “ciano-sostituito”, che esprimono
una tossicità individuale molto inferiore rispetto agli altri; nel caso
dell’imidacloprid, infatti, l’effetto sinergico con i fungicidi menzionati è
risultato molto limitato (pagg. 12-16)
La conclusione del dossier, in particolare, sembra fungere
da monito in particolare sull’interpretazione riduzionistica e a breve termine
della singola sostanza, a favore di un’assunzione del problema a livello più
generale, di eco-sistema:
“La valutazione degli effetti dei pesticidi a livello
della famiglia, inoltre, deve tenere presente la capacità di resilienza
dell’alveare. La colonia va considerata, infatti, non come la somma degli
individui ma come un superorganismo coordinato da un’intricata rete di
relazioni tra individui e con un’alta capacità di far fronte alle perturbazioni
esterne. Gli eventuali effetti che potrebbero essere osservati sul lungo
periodo possono quindi non essere evidenti nel corso di una sperimentazione.
Tuttavia, anche alla luce della difficoltà di appurare l’azione di un pesticida
in condizioni di campo, le evidenze fornite dalle attività di monitoraggio,
come le numerose segnalazioni di morie e spopolamenti, dovrebbero essere prese
in considerazione nel processo di valutazione del rischio post-registrazione
(agrofarmaco-sorveglianza). In conclusione, la vasta produzione scientifica e
le numerose evidenze che dimostrano la pericolosità di molti pesticidi nei
confronti delle api, richiedono una particolare attenzione nel processo di
registrazione ed utilizzo di questi prodotti, tenendo presente che gli effetti
riscontrati sulle api possono interessare anche altri impollinatori ed insetti
utili, con un notevole impatto sull’agroecosistema.” (pag. 19)
Tutto questo, più che suggerire al comune cittadino, cioè a me, di
utilizzare allegramente questo tipo di prodotti, fa venire in mente invece un
altro testo, del 1992, uno dei testi più vituperati degli ultimi anni e che
invece, quando uscì, sembrava l’approdo di una nuova civiltà.
> DICHIARAZIONE DI RIO (1992)
“Con il termine principio di precauzione,
o principio precauzionale, si intende una politica di condotta
cautelativa per quanto riguarda le decisioni politiche ed economiche sulla
gestione delle questioni scientificamente controverse.
Principio 15. Al fine di proteggere l’ambiente, gli
Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il Principio di
precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di
certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire
l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette
a prevenire il degrado ambientale.”
Tutto quello che sto facendo insomma, per accordo internazionale tra stati,
non dovrebbe nemmeno esistere: non dovrei essere io a dover dimostrare la
sospetta nocività di una sostanza perché questa non venga iniettata nei miei
polmoni, nel mio apparato digerente, nella terra dove cammino e nell’acqua che
bevo. E non è una questione che riguarda solo le api, per quanto
importanti esse siano. Dovrebbero essere i somministratori di
questa sostanza a dimostrare l’innocuità della stessa o semmai, in caso di
emergenza, la priorità del suo utilizzo in un rapporto costi-benefici, e tale
priorità dovrebbe essere condivisa dalla maggioranza dei cittadini secondo la
democrazia. Ma tutto questo allo stato attuale sembra fantascienza. Allo stato
attuale, da cittadino e – faccio coming out – da ecologista ormai ventennale,
con studi universitari di filosofia e di educazione ambientale, con
partecipazione ormai ventennale a pratiche legate alla sostenibilità, quando
cerco di parlare di principio di precauzione mi viene risposto: “di questo
devono parlare solo i laureati in…”, assumendo che questa questione riguardi
solo i laureati in qualcosa. Per questo motivo ho riportato finora solo fonti
“neutre”, e non perché io creda che esistano fonti veramente “neutre”: siamo
tutti fallibili e abbiamo tutti dei punti di vista, la differenza semmai per me
sta se uno ha o non ha la capacità di fare domande e rispettare le opinioni
altrui.
Ci sono opinioni, per me, rispettabilissime, ma considerate “ideologiche”
da chi ritiene di avere la verità assoluta in tasca. A me sembra infatti che
oggi non siano più i comunisti, ma gli ecologisti, a “mangiare i bambini”. Ne
riporto alcune, di queste opinioni, riguardanti l’Acetamiprid.
> VINCENZO VIZIOLI, PRESIDENTE DI AIAB
(ASSOCIAZIONE ITALIANA AGRICOLTURA BIOLOGICA), INTERVISTATO DAL MAGAZINE
GREENME
“L’acetamiprid non è stato vietato, perché la sua
tossicità risulta più bassa degli altri tre neonicotinoidi ora messi al bando.
Ma per gli ecosistemi potrebbe non cambiare nulla. “Alta o bassa, le api
sono particolarmente sensibili a tossicità anche molto basse”.
Ricordiamo inoltre che se gli agricoltori biologici
useranno queste sostanze, perderanno le certificazioni e servirebbe anche a
poco un’eventuale deroga concessa dalla Regione (ovvero la possibilità di
continuare a mantenerle vista la situazione di emergenza), perchè perderebbero
comunque tutto il mercato a loro legato e faticosamente creato negli anni.”
> ASSOCIAZIONE MEDICI PER L’AMBIENTE – ISDE ITALIA
“L’emivita biologica dei neonicotinoidi può arrivare a
due-tre anni e, quando queste sostanze sono immesse nell’ambiente, possono
rimanere nel suolo e nelle falde acquifere per lungo tempo senza essere
degradate e accumulandosi nelle piante, comprese quelle a destinazione
alimentare. L’acetamiprid, in particolare, è stato riscontrato nell’11,6
% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali (nelle aree dove è stato
cercato) e nel 3,2 % di quelli delle acque sotterranee. Questi rilievi sono
particolarmente gravi in considerazione anche degli effetti letali e subletali
sugli anfibi. Secondo evidenze scientifiche elencate dall’agenzia per la
protezione ambientale americana (US EPA), l’acetamiprid è neurotossico e, nei
mammiferi, ha conseguenze biologiche negative su fegato, reni, tiroide,
testicoli e sistema immunitario. Ha inoltre un’alta tossicità per gli uccelli.
Gli effetti biologici dei neonicotinoidi sull’uomo (che può assumerli per
contatto, per inalazione e per ingestione) devono essere ancora compiutamente
chiariti. Sono stati tuttavia pubblicati sino ad ora 4 ampi studi
caso-controllo che descrivono, in tutti i casi e con metodologia adeguata,
associazioni significative tra esposizione cronica a neonicotinoidi e rischio
di alterazioni dello sviluppo come tetralogia di Fallot, anencefalia, disturbi
dello spettro autistico, alterazioni mnesiche e motorie”
CONCLUSIONI, COME SI DICE
Un noto sito “antibufala”, che non nomino non solo per non fargli
guadagnare ulteriori clic, ma anche perché mi sono stancato anche di sentirlo
nominare e utilizzare come “fonte” – è lo stesso sito che si fregia di aver
dipinto la nota scienziata ecofemminista indiana Vandana Shiva come una
“santona” – non ha perso occasione per prendere posizione anche in questo caso
e svelare le “fake news” riguardanti il decreto Martina. Il problema per me non
è che ognuno possa sparare le proprie idee, giuste o sbagliate, sul web: di
questo per me ha paura solo chi è in malafede e ha qualcosa da nascondere.
Il problema è chi, non rispettando le idee altrui, considera sé stesso
“neutro e oggettivo” (quindi “assoluto”) e ridicolizza come ignorante chiunque
sia l’altro-da-sé: questo nel mio linguaggio si chiama dogma, pensiero unico e
se si diffonde diventa pericoloso perché è l’anticamera che giustifica, da
sempre, ogni totalitarismo. Specie quando avviene tra posizioni sociali,
filosofiche, politiche e scientifiche complesse, che avrebbero bisogno del
confronto, non di questo atteggiamento. Avere punti di vista diversi
sull’argomento, nel senso proprio di provenire da “ambiti diversi” rispetto ad
uno stesso argomento, dovrebbe accrescere le conoscenze, invece assistiamo a
una guerra tra specialismi, questa sì, allarmante.
E’ facile girare su Internet e citare i più faciloni e cialtroni per
screditare un argomento, quelli che non sanno scrivere, quelli che ripetono a
pappagallo posizioni sentite, lo possiamo fare tutti: soprattutto di ripetitori
di fake news ufficiali ce ne sono a milioni, in questo paese, da tempo
immemorabile. Da quando Enrico Mattei morì in un “tragico incidente aereo”,
Peppino Impastato mise una “bomba terrorista” su un binario siciliano e Pier
Paolo Pasolini fu ucciso perché un ragazzo “non voleva fare sesso” con lui: i
depistaggi mediatici di Stato e i loro ripetitori, su qualsiasi argomento, sono
all’ordine del giorno, ma non per questo io, personalmente, ritengo un
cialtrone chiunque appoggi delle versioni dei fatti che io non condivido, e non
penso nemmeno che sia uno stupido, penso che si basi su esperienze di vita,
modelli e fonti di conoscenza diverse, magari in parte, dalle mie.
Prima di sentenziare, dalla propria posizione, che “L’Acetamiprid non ha alti livelli di rischio”, il
pluricitato sito antibufale – metonimia del suo autore e fondatore – fa la
seguente riflessione: “Ammetto che sto iniziando a pensare seriamente
che alla fine ci sia sotto qualcosa per cui non si vuole minimamente
intervenire contro la Xylella. Ci deve essere qualcuno a cui tutte queste
polemiche fanno comodo. Non comprendo però chi siano”
Do per buona la sincerità di questa domanda, che in un mondo di “falchi”
quale quello che viviamo è anche giustificata, e condivido con il sito che è
sbagliato non approfondire e non dare informazioni quanto più corrette
possibile. Quello che non condivido è il fatto di non esplicitare che si sta
scrivendo dalla propria posizione, dal proprio vissuto, emotivo, intellettuale,
di esperienza teorica e pratica, dalle proprie conoscenze: dal proprio “sé
situato”, come dice il pensiero femminista, partendo da sé prima di tutto e non
dai pezzi di carta che, lo sappiamo tutti, possono essere segno di conoscenza,
ma non per forza. Del resto, questo sito antibufala sembra avere un pezzo di
carta su tutto, sebbene accusi gli altri di “tuttologia”.
Io non condivido la posizione che hanno avuto alcuni secondo cui “la
xylella non esiste”, li vedo gli ulivi nella mia terra e mi faccio delle
domande a cui non ho avuto finora risposte che mi soddisfano definitivamente.
Non ho nemmeno una posizione netta, in linea generale, nei confronti del fatto
che gli abbattimenti di ulivi potessero o meno essere una soluzione che
funzionava, “un male minore” rispetto soprattutto all’attacco chimico iniziato
da qualche giorno in Salento. Anche se l’entità dei tagli proposti, cioè la
quantità di kilometri quadrati di ulivi da abbattere, mi ha lasciato di stucco
e mi ha fatto sempre chiedere se fosse necessaria una tale quantità di
eradicazioni.
Del resto, c’è una realtà che fa agricoltura
naturale, tra le mille cose che fa, di cui mi sento parte anche se
non vivo lì, i cui 30 ettari di terra ricadono tutti interi all’interno di
quello che fu il primo piano di abbattimenti proposto: i loro uliveti sono ad
oggi, maggio 2018, totalmente sani, nonostante siano vicinissimi ad un famoso
focolaio di cui tanto si è parlato. Non sono ancora stati intaccati, quindi è
questione di tempo, o è grazie alle loro pratiche eco-sistemiche e al modello
ecologico che adottano da più di vent’anni? Perché il punto, rispetto alle
imposizioni, è questo: possono (possiamo) fare disobbedienza civile
all’imposizione di neonicotinoidi, subendo magari multe e subendo l’irrorazione
di chi ci sta intorno, ma non possiamo resistere alle forze dell’ordine di un
paese occidentale che viene letteralmente ad asfaltarti, non si hanno le forze,
a meno di essere davvero in migliaia. Ma è questa la soluzione, asfaltare 30
ettari di realtà virtuosa, eco-sostenibile e, ad oggi, sana, distruggendo oltre
al territorio anche una storia preziosissima? Possibile che non ci si
renda conto che non si possono prendere decisioni di questo tipo, così
impattanti, senza cercare mediazioni con chi vive e lavora sul
territorio? E’ solo un esempio tra i tanti, anche se a me caro, e non posso
certo parlare di questo argomento prescindendone. Anche perché la versione dei fatti che questa realtà ha fornito, puntuale
e documentata, ma orientata e non fintamente neutrale, sarebbe sconcertante
anche se fosse vera solo al 20%.
Perché sono, ad oggi, non solo sconsigliate, ma addirittura vietate
pratiche naturali che cambiano il paradigma usato finora e che molti che le
hanno sperimentate considerano, oggi, potenzialmente efficaci se sviluppate?
Perché non si seguono queste direzioni di
rafforzamento, invece che di ulteriore affaticamento, del “sistema”?
Perché dobbiamo sempre sentire considerati come ovvi, da tutte le fonti istituzionali,
i bombardamenti dei sistemi immunitari? E non si ha diritto di parola nemmeno
se alcune di queste ricerche arrivano non solo da chi pratica agricoltura in
campo da decenni, cosa che a quanto pare non abbia nessun valore per alcuni, ma
anche dalla stessa scienza universitaria?
Tutto questo ho pensato elaborando le idee delle campane, variegate, che ho
ascoltato in questi anni, e non credo di avere un’idea definitiva né sulle
cause generali né sulle possibili soluzioni della questione del disseccamento
degli ulivi in Salento. Ci sono troppi fattori in ballo, non solo “agronomici”.
Ma allo stesso tempo non posso non considerare quella che è stata la
cosiddetta “Rivoluzione verde” degli ultimi 50 anni, ossia la modificazione in
senso industriale e capitalista dell’agricoltura che ha generato
desertificazione globale, aumento dell’agricoltura intensiva, monocolture,
inaridimento dei terreni, perdita di biodiversità, cioè di intere popolazioni
di piante e animali, crisi sociali, crisi eco-sistemiche, crisi sanitarie, e
via dicendo. E questi non sono “gomblotti”, sono i risultati di studi, spesso
pionieristici e osteggiati dal senso comune e da chi detiene il potere
economico, e sono i risultati anche delle lotte di chi ha dato la vita e ancora
la dà per difendere l’ambiente e le popolazioni dalla violenza capitalista, da
Chico Mendes (1988) a Paulo Sergio Almeida Nascimento (2018).
Come non posso non tenere presente l’alternativa filosofica e pratica di
chi propone un superamento della concezione della natura come opposta alla
cultura e alla civiltà, la concezione cioè sviluppata tra ‘600 e ‘800 di una
natura da “dominare, soggiogare, contrastare” perché portatrice di malattie,
virus, morte, invece di rafforzare i suoi “sistemi immunitari”, la sua
biodiversità e quindi la convivenza armoniosa tra esseri viventi: tali
alternative sono la concezione sistemica, le pratiche agroecosistemiche e in
generale un’idea che noi umani siamo parte del sistema e quindi dobbiamo
convivere, non dominare. Molta filosofia del ‘900, quella che al liceo non si
studia mai, ha cercato di mostrare questo in svariate forme, evidenziando i
limiti e i pericoli di un’epistemologia iperspecialistica e riduzionista.
Considerare il pensiero ecologicouna moda, per me,
significa ignorare quanto sia variegata e complessa la proposta di modifica del
paradigma emersa negli ultimi decenni, il cambiamento cioè dei nostri modi di
pensare e di vivere. E non in un futuro “sol dell’avvenire”, ma adesso.
Scrive Gregory Bateson:
“Cominciamo a scorgere alcuni degli errori
epistemologici della civiltà occidentale. In armonia col clima di pensiero che
predominava verso la metà dell’Ottocento in Inghilterra, Darwin formulò una
teoria della selezione naturale e dell’evoluzione in cui l’unità di
sopravvivenza era o la famiglia o la specie o la sottospecie o qualcosa del
genere. Ma oggi è pacifico che non è questa l’unità di sopravvivenza del mondo
biologico reale: l’unità di sopravvivenza è l’organismo più l’ambiente. Stiamo
imparando sulla nostra pelle che l’organismo che distrugge il suo ambiente
distrugge sé stesso.”
(Gregory Bateson, Verso un’ecologia della
mente, Adelphi, 1977)
Queste alternative sono in atto e non vuol dire che si è trovata la
soluzione del mondo, ma che si è iniziata a sperimentarla, da un punto di vista
ecologico-sistemico. Queste alternative esistono in America, in Asia, in
Europa, in Italia e anche in Salento, e sono messe in pericolo da questo
decreto: questo è il motivo dell’emergenza, per me, cioè che la soluzione
agrochimica proposta sia peggiore della causa, nei confronti dell’ecosistema e
dei suoi abitanti.
C’è stato un bellissimo (per me) e coraggioso report di Speciale Tg1,
qualche mese fa, che parla di queste “alternative” in ambito agricolo. Ne ho
parlato in questo articolo, Il dado è tratto. La Natura nel piatto.
Si può ancora vedere sul sito Rai, la puntata è quella del 29 gennaio 2018.
Il sistema Terra, oggi come mai, ha bisogno di confronti, relazioni,
armonia e verità, non di topi in trappola che litigano tra di loro mentre
qualcuno dall’alto li guarda e ride. E questo vale per tutti, a prescindere dai
titoli di studio e dalle idee, e vale soprattutto per me, naturalmente.
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