venerdì 18 maggio 2018

Decreto Martina: il pesticida imposto in Salento non è tra quelli vietati dall’UE. E quindi? – Gianluca Ricciato



Nel mio articolo uscito su questo sito lo scorso 4 maggio, c’è un errore di cui mi scuso: il pesticida neonicotinoide il cui utilizzo è imposto dal decreto del 13 febbraio 2018 è unicamente l’Acetamiprid, commercializzato in Italia da Sipcam sotto il nome di Epik, e non rientra nei tre neonicotinoidi vietati lo scorso 27 aprile dall’Unione Europea (imidacloprid, clothianidin e thiamethoxam) in quanto riconosciuti come “apicidi” . La parte del decreto che riguarda questo aspetto si può rinvenire da pagina 89 a pagina 95 del numero 80 della Gazzetta Ufficiale 2018.
Subiremo quindi un attacco chimico legale, e questo dovrebbe tranquillizzarci.
Riporto qui di seguito alcune posizioni ufficiali riguardanti l’Acetamiprid.

> EFSA (European Food Society Authority) nel dicembre 2013
“Il gruppo di esperti scientifici PPR ha riscontrato che acetamiprid e imidacloprid possono avere un effetto avverso sullo sviluppo dei neuroni e delle strutture cerebrali associate a funzioni quali l’apprendimento e la memoria. Ha concluso che alcuni dei livelli guida attuali per l’esposizione ammissibile ad acetamiprid e imidacloprid potrebbero non essere sufficienti a salvaguardare dalla neurotossicità nella fase di sviluppo e dovrebbero essere ridotti. Questi cosiddetti valori tossicologici di riferimento forniscono indicazioni chiare sul livello di una sostanza a cui i consumatori possono essere esposti a breve e a lungo termine senza un rischio apprezzabile per la salute. Alcuni esempi sono la dose acuta di riferimento (DAR), la dose giornaliera ammissibile (DGA) e il livello ammissibile di esposizione dell’operatore (LAEO)” http://www.efsa.europa.eu/it/press/news/131217
Ma dato che anche un organismo come l’EFSA è fatto da essere umani, suscettibili come me di errore, o peggio ancora di pressioni esterne, non voglio considerare oro colato quello che dice l’EFSA, anzi giacché sono in argomento, ricordo quello che successe pochi mesi fa con i cosiddetti “Monsanto Papers”:
“Le sezioni del rapporto dell’EFSA che riesaminano gli studi pubblicati sul potenziale impatto del glifosato sulla salute umana sono stati copiati, quasi parola per parola, dal dossier presentato da Monsanto. Sono 100 pagine sulle circa 4.300 del rapporto finale, ma si tratta delle sezioni più controverse e al centro dell’aspro dibattito degli ultimi mesi, quelle sulla potenziale genotossicità, la cancerogenicità e la tossicità riproduttiva del glifosato”  http://www.lastampa.it/2017/09/15/scienza/glifosato-la-valutazione-dei-rischi-ue-copiata-dai-documenti-monsanto-SpexAUwAx6B23ei8G70xYL/pagina.html
Ovviamente anche il quotidiano torinese La Stampa non va preso per oro colato (il movimento No Tav la chiama, da circa un ventennio, “la busiarda”). Ma la diffusione di questa notizia è avvenuta principalmente dall’estero ed è stata oggetto dell’interesse di tutti i quotidiani internazionali e anche di interrogazioni parlamentari. Ma qui sembra non ci si possa fidare di nessuno. Quindi andiamo avanti, sempre più a fondo per quanto possibile, per capire cosa dicono le fonti ufficiali sull’Acetamiprid. Passiamo alla ricerca universitaria.

Rispetto agli altri Neonicotinoidi, cioè quelli recentemente vietati dall’Unione Europea, l’Acetamiprid sembra non avere gli stessi effetti nocivi sulle api, stando alle ricerche sperimentali degli autori di questo articolo:
“Nel trasporto sistemico di alcuni principi attivi all’interno della pianta, le molecole originarie vengono metabolizzate dal sistema di detossificazione e degradate in altri composti. Un fenomeno simile ha luogo anche all’interno del corpo delle api che vengano in contatto con il composto madre. In alcuni casi, come per l’acetamiprid, le molecole prodotte dalla degradazione non sono in grado di esprimere tossicità. Per altri principi attivi, invece, i metaboliti possono avere proprietà tossiche paragonabili o superiori a quelle della molecola madre (…) All’interno della classe dei neonicotinoidi esistono due gruppi con caratteristiche tossicologiche distinte: i composti nitro-sostituiti e i composti ciano-sostituiti. I primi (es. imidacloprid, thiamethoxam e clothianidin) hanno una tossicità fino a 1000 volte superiore rispetto ai secondi (es. acetamiprid e thiacloprid) (…) Un’altra particolarità dell’esposizione cronica riscontrata nei piretroidi e in alcuni neonicotinoidi, è la relazione negativa che lega la dose e la mortalità provocata, per cui a dosi più alte non corrisponde necessariamente una mortalità finale maggiore. L’imidacloprid, se somministrato cronicamente in concentrazioni riscontrabili nel polline (1 e 10 ppb) attraverso una soluzione zuccherina, è in grado di provocare una mortalità del 50% dopo 8 giorni. Nel medesimo studio è stato dimostrato che, per raggiungere un effetto comparabile, in modalità acuta, è necessaria una dose fino a 6000 volte superiore della stessa sostanza. Acetamiprid e thiacloprid, al contrario, non mostrano lo stesso comportamento. L’acetamiprid, ad esempio, se somministrato in dosi subletali (0,1 e 1 µg/ape) per 11 giorni, sia per ingestione, che per contatto, non provoca un aumento della mortalità rispetto ad api non trattate” (pp. 8-10)

Questo non vuol dire tuttavia che la sostanza in questione risulti innocua, perché ci sono in ballo altri fattori, in particolare quelli “sistemici”, cioè legati all’interazione tra sostanze, sia immesse dall’uomo sia naturali:
“Anche il thiamethoxam, per contatto diretto con 0,1 e 1 ng/ape in condizioni di laboratorio, ha provocato un calo della capacità delle api di apprendere gli odori e di memorizzare le informazioni apprese. Analogamente l’acetamiprid, a dosi subletali e per ingestione (0,1 µg/ape), ha dimostrato di inibire la memoria a lungo termine legata a stimoli odorosi [82]. L’interpretazione di questi risultati è interessante anche alla luce del fatto che, nella maggior parte degli studi, gli odori usati come stimoli sono sostanze comuni nella vita delle api come il citronellolo o il linalolo, componenti naturali dell’aroma dei fiori o come la miscela di molecole emessa dalla ghiandola di Nasonov nelle api operaie. La minore reattività a questo genere di stimoli in un’ape bottinatrice, ad esempio, potrebbe andare a danneggiare la capacità di rintracciare le fonti di cibo migliori. L’effetto deleterio del clothianidin sull’apprendimento e la memoria delle api, è stato inoltre dimostrato anche nel caso in cui l’odore proposto era rappresentato dal feromone reale, un altro componente essenziale della vita e dell’aggregazione della famiglia di api (…) L’azione sinergica tra la deltametrina ed il fungicida imidazolico prochloraz, è stata verificata sulle api adulte sia per quanto riguarda la mortalità, sia per gli effetti subletali come la capacità di termoregolazione. L’aumento di tossicità sarebbe provocato da un’interazione a livello biochimico, grazie alla quale i fungicidi azolici sono in grado di ostacolare la detossificazione dei piretroidi, rendendo quindi le api più suscettibili all’azione di questi comuni insetticidi. In condizioni di semicampo questi risultati sono stati confermati, presentando però anche un’altra interpretazione del fenomeno. Secondo questa infatti, il fungicida prochloraz sarebbe in grado di ridurre l’effetto repellente della deltametrina, aumentando quindi il rischio di esposizione al piretroide. Nel caso dei neonicotinoidi, la combinazione con altri principi attivi è prevista in molte formulazioni commerciali; tra i prodotti spray troviamo infatti associazioni tra neonicotinoidi e piretroidi (deltametrina e cipermetrina prevalentemente), mentre tra le formulazioni utilizzate nella concia di sementi, la combinazione tra insetticida e fungicida è molto diffusa. Allo stesso modo di quanto dimostrato per i piretroidi, anche l’associazione tra i neonicotinoidi e i fungicidi azolici presenta un carattere sinergico negativo nei confronti delle api adulte. Il trattamento combinato, per contatto, con triflumizolo, ad esempio, ha aumentato la tossicità dell’acetamiprid e del thiacloprid più di 200 e 1000 volte rispettivamente. Analogamente la DL50 del thiacloprid è risultata di 500 volte più bassa in corrispondenza del trattamento combinato con il propiconazolo. Questo tipo di sinergia si verifica sopratuttutto con i neonicotinoidi di tipo “ciano-sostituito”, che esprimono una tossicità individuale molto inferiore rispetto agli altri; nel caso dell’imidacloprid, infatti, l’effetto sinergico con i fungicidi menzionati è risultato molto limitato (pagg. 12-16)
La conclusione del dossier, in particolare, sembra fungere da monito in particolare sull’interpretazione riduzionistica e a breve termine della singola sostanza, a favore di un’assunzione del problema a livello più generale, di eco-sistema:
“La valutazione degli effetti dei pesticidi a livello della famiglia, inoltre, deve tenere presente la capacità di resilienza dell’alveare. La colonia va considerata, infatti, non come la somma degli individui ma come un superorganismo coordinato da un’intricata rete di relazioni tra individui e con un’alta capacità di far fronte alle perturbazioni esterne. Gli eventuali effetti che potrebbero essere osservati sul lungo periodo possono quindi non essere evidenti nel corso di una sperimentazione. Tuttavia, anche alla luce della difficoltà di appurare l’azione di un pesticida in condizioni di campo, le evidenze fornite dalle attività di monitoraggio, come le numerose segnalazioni di morie e spopolamenti, dovrebbero essere prese in considerazione nel processo di valutazione del rischio post-registrazione (agrofarmaco-sorveglianza). In conclusione, la vasta produzione scientifica e le numerose evidenze che dimostrano la pericolosità di molti pesticidi nei confronti delle api, richiedono una particolare attenzione nel processo di registrazione ed utilizzo di questi prodotti, tenendo presente che gli effetti riscontrati sulle api possono interessare anche altri impollinatori ed insetti utili, con un notevole impatto sull’agroecosistema.” (pag. 19)

Tutto questo, più che suggerire al comune cittadino, cioè a me, di utilizzare allegramente questo tipo di prodotti, fa venire in mente invece un altro testo, del 1992, uno dei testi più vituperati degli ultimi anni e che invece, quando uscì, sembrava l’approdo di una nuova civiltà.

> DICHIARAZIONE DI RIO (1992)

“Con il termine principio di precauzione, o principio precauzionale, si intende una politica di condotta cautelativa per quanto riguarda le decisioni politiche ed economiche sulla gestione delle questioni scientificamente controverse.
Principio 15. Al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il Principio di precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale.”

Tutto quello che sto facendo insomma, per accordo internazionale tra stati, non dovrebbe nemmeno esistere: non dovrei essere io a dover dimostrare la sospetta nocività di una sostanza perché questa non venga iniettata nei miei polmoni, nel mio apparato digerente, nella terra dove cammino e nell’acqua che bevo. E non è una questione che riguarda solo le api, per quanto importanti esse siano. Dovrebbero essere i somministratori di questa sostanza a dimostrare l’innocuità della stessa o semmai, in caso di emergenza, la priorità del suo utilizzo in un rapporto costi-benefici, e tale priorità dovrebbe essere condivisa dalla maggioranza dei cittadini secondo la democrazia. Ma tutto questo allo stato attuale sembra fantascienza. Allo stato attuale, da cittadino e – faccio coming out – da ecologista ormai ventennale, con studi universitari di filosofia e di educazione ambientale, con partecipazione ormai ventennale a pratiche legate alla sostenibilità, quando cerco di parlare di principio di precauzione mi viene risposto: “di questo devono parlare solo i laureati in…”, assumendo che questa questione riguardi solo i laureati in qualcosa. Per questo motivo ho riportato finora solo fonti “neutre”, e non perché io creda che esistano fonti veramente “neutre”: siamo tutti fallibili e abbiamo tutti dei punti di vista, la differenza semmai per me sta se uno ha o non ha la capacità di fare domande e rispettare le opinioni altrui.
Ci sono opinioni, per me, rispettabilissime, ma considerate “ideologiche” da chi ritiene di avere la verità assoluta in tasca. A me sembra infatti che oggi non siano più i comunisti, ma gli ecologisti, a “mangiare i bambini”. Ne riporto alcune, di queste opinioni, riguardanti l’Acetamiprid.

> VINCENZO VIZIOLI, PRESIDENTE DI AIAB (ASSOCIAZIONE ITALIANA AGRICOLTURA BIOLOGICA), INTERVISTATO DAL MAGAZINE GREENME 
“L’acetamiprid non è stato vietato, perché la sua tossicità risulta più bassa degli altri tre neonicotinoidi ora messi al bando. Ma per gli ecosistemi potrebbe non cambiare nulla. “Alta o bassa, le api sono particolarmente sensibili a tossicità anche molto basse”.
Ricordiamo inoltre che se gli agricoltori biologici useranno queste sostanze, perderanno le certificazioni e servirebbe anche a poco un’eventuale deroga concessa dalla Regione (ovvero la possibilità di continuare a mantenerle vista la situazione di emergenza), perchè perderebbero comunque tutto il mercato a loro legato e faticosamente creato negli anni.”

> ASSOCIAZIONE MEDICI PER L’AMBIENTE – ISDE ITALIA

“L’emivita biologica dei neonicotinoidi può arrivare a due-tre anni e, quando queste sostanze sono immesse nell’ambiente, possono rimanere nel suolo e nelle falde acquifere per lungo tempo senza essere degradate e accumulandosi nelle piante, comprese quelle a destinazione alimentare. L’acetamiprid, in particolare, è stato riscontrato nell’11,6 % dei punti di monitoraggio delle acque superficiali (nelle aree dove è stato cercato) e nel 3,2 % di quelli delle acque sotterranee. Questi rilievi sono particolarmente gravi in considerazione anche degli effetti letali e subletali sugli anfibi. Secondo evidenze scientifiche elencate dall’agenzia per la protezione ambientale americana (US EPA), l’acetamiprid è neurotossico e, nei mammiferi, ha conseguenze biologiche negative su fegato, reni, tiroide, testicoli e sistema immunitario. Ha inoltre un’alta tossicità per gli uccelli. Gli effetti biologici dei neonicotinoidi sull’uomo (che può assumerli per contatto, per inalazione e per ingestione) devono essere ancora compiutamente chiariti. Sono stati tuttavia pubblicati sino ad ora 4 ampi studi caso-controllo che descrivono, in tutti i casi e con metodologia adeguata, associazioni significative tra esposizione cronica a neonicotinoidi e rischio di alterazioni dello sviluppo come tetralogia di Fallot, anencefalia, disturbi dello spettro autistico, alterazioni mnesiche e motorie”

CONCLUSIONI, COME SI DICE
Un noto sito “antibufala”, che non nomino non solo per non fargli guadagnare ulteriori clic, ma anche perché mi sono stancato anche di sentirlo nominare e utilizzare come “fonte” – è lo stesso sito che si fregia di aver dipinto la nota scienziata ecofemminista indiana Vandana Shiva come una “santona” – non ha perso occasione per prendere posizione anche in questo caso e svelare le “fake news” riguardanti il decreto Martina. Il problema per me non è che ognuno possa sparare le proprie idee, giuste o sbagliate, sul web: di questo per me ha paura solo chi è in malafede e ha qualcosa da nascondere.
Il problema è chi, non rispettando le idee altrui, considera sé stesso “neutro e oggettivo” (quindi “assoluto”) e ridicolizza come ignorante chiunque sia l’altro-da-sé: questo nel mio linguaggio si chiama dogma, pensiero unico e se si diffonde diventa pericoloso perché è l’anticamera che giustifica, da sempre, ogni totalitarismo. Specie quando avviene tra posizioni sociali, filosofiche, politiche e scientifiche complesse, che avrebbero bisogno del confronto, non di questo atteggiamento. Avere punti di vista diversi sull’argomento, nel senso proprio di provenire da “ambiti diversi” rispetto ad uno stesso argomento, dovrebbe accrescere le conoscenze, invece assistiamo a una guerra tra specialismi, questa sì, allarmante.
E’ facile girare su Internet e citare i più faciloni e cialtroni per screditare un argomento, quelli che non sanno scrivere, quelli che ripetono a pappagallo posizioni sentite, lo possiamo fare tutti: soprattutto di ripetitori di fake news ufficiali ce ne sono a milioni, in questo paese, da tempo immemorabile. Da quando Enrico Mattei morì in un “tragico incidente aereo”, Peppino Impastato mise una “bomba terrorista” su un binario siciliano e Pier Paolo Pasolini fu ucciso perché un ragazzo “non voleva fare sesso” con lui: i depistaggi mediatici di Stato e i loro ripetitori, su qualsiasi argomento, sono all’ordine del giorno, ma non per questo io, personalmente, ritengo un cialtrone chiunque appoggi delle versioni dei fatti che io non condivido, e non penso nemmeno che sia uno stupido, penso che si basi su esperienze di vita, modelli e fonti di conoscenza diverse, magari in parte, dalle mie.
Prima di sentenziare, dalla propria posizione, che “L’Acetamiprid non ha alti livelli di rischio”,  il pluricitato sito antibufale – metonimia del suo autore e fondatore – fa la seguente riflessione: “Ammetto che sto iniziando a pensare seriamente che alla fine ci sia sotto qualcosa per cui non si vuole minimamente intervenire contro la Xylella. Ci deve essere qualcuno a cui tutte queste polemiche fanno comodo. Non comprendo però chi siano”
Do per buona la sincerità di questa domanda, che in un mondo di “falchi” quale quello che viviamo è anche giustificata, e condivido con il sito che è sbagliato non approfondire e non dare informazioni quanto più corrette possibile. Quello che non condivido è il fatto di non esplicitare che si sta scrivendo dalla propria posizione, dal proprio vissuto, emotivo, intellettuale, di esperienza teorica e pratica, dalle proprie conoscenze: dal proprio “sé situato”, come dice il pensiero femminista, partendo da sé prima di tutto e non dai pezzi di carta che, lo sappiamo tutti, possono essere segno di conoscenza, ma non per forza. Del resto, questo sito antibufala sembra avere un pezzo di carta su tutto, sebbene accusi gli altri di “tuttologia”.
Io non condivido la posizione che hanno avuto alcuni secondo cui “la xylella non esiste”, li vedo gli ulivi nella mia terra e mi faccio delle domande a cui non ho avuto finora risposte che mi soddisfano definitivamente. Non ho nemmeno una posizione netta, in linea generale, nei confronti del fatto che gli abbattimenti di ulivi potessero o meno essere una soluzione che funzionava, “un male minore” rispetto soprattutto all’attacco chimico iniziato da qualche giorno in Salento. Anche se l’entità dei tagli proposti, cioè la quantità di kilometri quadrati di ulivi da abbattere, mi ha lasciato di stucco e mi ha fatto sempre chiedere se fosse necessaria una tale quantità di eradicazioni.
Del resto, c’è una realtà che fa agricoltura naturale, tra le mille cose che fa, di cui mi sento parte anche se non vivo lì, i cui 30 ettari di terra ricadono tutti interi all’interno di quello che fu il primo piano di abbattimenti proposto: i loro uliveti sono ad oggi, maggio 2018, totalmente sani, nonostante siano vicinissimi ad un famoso focolaio di cui tanto si è parlato. Non sono ancora stati intaccati, quindi è questione di tempo, o è grazie alle loro pratiche eco-sistemiche e al modello ecologico che adottano da più di vent’anni? Perché il punto, rispetto alle imposizioni, è questo: possono (possiamo) fare disobbedienza civile all’imposizione di neonicotinoidi, subendo magari multe e subendo l’irrorazione di chi ci sta intorno, ma non possiamo resistere alle forze dell’ordine di un paese occidentale che viene letteralmente ad asfaltarti, non si hanno le forze, a meno di essere davvero in migliaia. Ma è questa la soluzione, asfaltare 30 ettari di realtà virtuosa, eco-sostenibile e, ad oggi, sana, distruggendo oltre al territorio anche una storia preziosissima?  Possibile che non ci si renda conto che non si possono prendere decisioni di questo tipo, così impattanti, senza cercare mediazioni con chi vive e lavora sul territorio? E’ solo un esempio tra i tanti, anche se a me caro, e non posso certo parlare di questo argomento prescindendone. Anche perché la versione dei fatti che questa realtà ha fornito, puntuale e documentata, ma orientata e non fintamente neutrale, sarebbe sconcertante anche se fosse vera solo al 20%.
Perché sono, ad oggi, non solo sconsigliate, ma addirittura vietate pratiche naturali che cambiano il paradigma usato finora e che molti che le hanno sperimentate considerano, oggi, potenzialmente efficaci se sviluppate? Perché non si seguono queste direzioni di rafforzamento, invece che di ulteriore affaticamento, del “sistema”? Perché dobbiamo sempre sentire considerati come ovvi, da tutte le fonti istituzionali, i bombardamenti dei sistemi immunitari? E non si ha diritto di parola nemmeno se alcune di queste ricerche arrivano non solo da chi pratica agricoltura in campo da decenni, cosa che a quanto pare non abbia nessun valore per alcuni, ma anche dalla stessa scienza universitaria?
Tutto questo ho pensato elaborando le idee delle campane, variegate, che ho ascoltato in questi anni, e non credo di avere un’idea definitiva né sulle cause generali né sulle possibili soluzioni della questione del disseccamento degli ulivi in Salento. Ci sono troppi fattori in ballo, non solo “agronomici”.
Ma allo stesso tempo non posso non considerare quella che è stata la cosiddetta “Rivoluzione verde” degli ultimi 50 anni, ossia la modificazione in senso industriale e capitalista dell’agricoltura che ha generato desertificazione globale, aumento dell’agricoltura intensiva, monocolture, inaridimento dei terreni, perdita di biodiversità, cioè di intere popolazioni di piante e animali, crisi sociali, crisi eco-sistemiche, crisi sanitarie, e via dicendo. E questi non sono “gomblotti”, sono i risultati di studi, spesso pionieristici e osteggiati dal senso comune e da chi detiene il potere economico, e sono i risultati anche delle lotte di chi ha dato la vita e ancora la dà per difendere l’ambiente e le popolazioni dalla violenza capitalista, da Chico Mendes (1988) a Paulo Sergio Almeida Nascimento (2018).
Come non posso non tenere presente l’alternativa filosofica e pratica di chi propone un superamento della concezione della natura come opposta alla cultura e alla civiltà, la concezione cioè sviluppata tra ‘600 e ‘800 di una natura da “dominare, soggiogare, contrastare” perché portatrice di malattie, virus, morte, invece di rafforzare i suoi “sistemi immunitari”, la sua biodiversità e quindi la convivenza armoniosa tra esseri viventi: tali alternative sono la concezione sistemica, le pratiche agroecosistemiche e in generale un’idea che noi umani siamo parte del sistema e quindi dobbiamo convivere, non dominare. Molta filosofia del ‘900, quella che al liceo non si studia mai, ha cercato di mostrare questo in svariate forme, evidenziando i limiti e i pericoli di un’epistemologia iperspecialistica e riduzionista.  Considerare il pensiero ecologicouna moda, per me, significa ignorare quanto sia variegata e complessa la proposta di modifica del paradigma emersa negli ultimi decenni, il cambiamento cioè dei nostri modi di pensare e di vivere. E non in un futuro “sol dell’avvenire”, ma adesso.
Scrive Gregory Bateson:
“Cominciamo a scorgere alcuni degli errori epistemologici della civiltà occidentale. In armonia col clima di pensiero che predominava verso la metà dell’Ottocento in Inghilterra, Darwin formulò una teoria della selezione naturale e dell’evoluzione in cui l’unità di sopravvivenza era o la famiglia o la specie o la sottospecie o qualcosa del genere. Ma oggi è pacifico che non è questa l’unità di sopravvivenza del mondo biologico reale: l’unità di sopravvivenza è l’organismo più l’ambiente. Stiamo imparando sulla nostra pelle che l’organismo che distrugge il suo ambiente distrugge sé stesso.”
(Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, 1977)
Queste alternative sono in atto e non vuol dire che si è trovata la soluzione del mondo, ma che si è iniziata a sperimentarla, da un punto di vista ecologico-sistemico. Queste alternative esistono in America, in Asia, in Europa, in Italia e anche in Salento, e sono messe in pericolo da questo decreto: questo è il motivo dell’emergenza, per me, cioè che la soluzione agrochimica proposta sia peggiore della causa, nei confronti dell’ecosistema e dei suoi abitanti.
C’è stato un bellissimo (per me) e coraggioso report di Speciale Tg1, qualche mese fa, che parla di queste “alternative” in ambito agricolo. Ne ho parlato in questo articolo, Il dado è tratto. La Natura nel piatto.
Si può ancora vedere sul sito Rai, la puntata è quella del 29 gennaio 2018.
Il sistema Terra, oggi come mai, ha bisogno di confronti, relazioni, armonia e verità, non di topi in trappola che litigano tra di loro mentre qualcuno dall’alto li guarda e ride. E questo vale per tutti, a prescindere dai titoli di studio e dalle idee, e vale soprattutto per me, naturalmente.

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