mercoledì 30 maggio 2018

Una città che ha paura dei poveri - Roberto Loddo



La “grande bellezza” di Cagliari non è un sufficiente metro di misura per valutare il suo sistema di protezione sociale per le persone più deboli ed emarginate. Basta leggere la cronaca degli ultimi mesi per comprendere come la vita poveri di Cagliari stia peggiorando, in maniera progressiva e in assenza di politiche sociali adeguate.
Esperienze positive di accoglienza vengono compromesse come quella del centro di solidarietà di viale Sant’Ignazio che subirà una chiusura per lavori urgenti, producendo l’allontanamento di un centinaio di persone fragili tra ex detenuti, ex tossicodipendenti e persone con sofferenza mentale che abitavano il centro da più di dieci anni. Oppure come quella dell’unica comunità alloggio per minori che forniva il servizio di accoglienza in emergenza che chiuderà con il conseguente licenziamento degli operatori e il trasloco di dieci minori privi di famiglia.
Delle dichiarazioni dell’assessore alle politiche sociali della giunta Zedda mi terrorizza la mostruosa freddezza burocratica con cui vengono riportate sugli organi di informazione. Si parla solo della difficoltà dei bandi e di trasferimenti in nuovi luoghi, ma non di cosa fare dei percorsi di reinserimento sociale che accompagnano la vita di queste persone, come se fossero solo dei pacchetti numerati da spostare da un luogo ad un altro e non esseri umani. Una freddezza che svela l’assenza di anticorpi del sistema delle politiche sociali cagliaritano nei confronti del virus delle vecchie e delle nuove povertà urbane che avanzano a macchia d’olio e che ricorda quella degli ultimi anni del governo del PD che ha inseguito la strada del consenso della peggiore destra populista favorendo una guerra sociale degli ultimi contro i penultimi.
I dati periodici dell’Eurostat sul numero di persone a rischio di povertà e di esclusione sociale ci rivelano come le nuove piazzette e i nuovi giardinetti della nostra città nei prossimi anni non riusciranno a nascondere più il disastro sociale delle periferie: I poveri aumenteranno insieme a nuove forme di povertà, talvolta impercettibili. La filosofa spagnola Adela Cortina ha coniato una nuova ed efficace parola per apostrofare questa tendenza disumana sempre più presente nei grandi centri urbani: aporofobia, cioè l’odio e il rifiuto verso i poveri. C’è infatti qualcosa di patologico quando il pezzo di società delle persone che funzionano disprezza l’altro pezzo di società delle persone che non funzionano più.
Rispetto a questo quadro poco incoraggiante l’unico modo di garantire il diritto all’uguaglianza nelle città è quello di mandare meno comunicati stampa trionfalistici e favorire di più il dinamismo dal basso insieme ai soggetti che vivono condizioni di povertà e disagio. Solo così si potrà costruire una città aperta e accogliente. Non basta contrastare l’esclusione sociale con provvedimenti assistenziali ma è necessario promuovere la crescita di tutte le dimensioni territoriali della città, comprese le fasce più deboli che abitano le nostre periferie, rendendole protagoniste dei processi di trasformazione sociale degli spazi pubblici delle loro comunità. Ma se gli orientamenti delle politiche sociali della giunta Zedda rimarranno fermi a vecchie modalità verticali e istituzionalizzanti questa città imploderà presto su se stessa.



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