Come noto, dopo lunghi anni, la Giunta regionale Pigliaru ha
proposto la tanto attesa legge
urbanistica sarda. Sono testi complessi, recentemente pubblicati
sul sito web istituzionale della Regione autonoma della
Sardegna,
in merito ai quali si attende la fase di partecipazione pubblica prevista nella
stessa deliberazione di Giunta regionale di approvazione. Comunque qualche
approfondimento abbiamo provato a farlo e proviamo a
farne qualche altro.
L’intendimento pubblicizzato dell’Amministrazione Pigliaru è quello
di migliorare l’offerta turistica attraverso
il miglioramento delle dotazioni
della ricettività alberghiera senza consumo di nuovo territorio. In
quest’ottica sono previsti incrementi
volumetrici in favore delle strutture ricettive anche entro la fascia costiera dei mt.
300 dalla battigia marina, così da permettere la realizzazione di centri
benessere, sale congressuali, servizi, attrezzature sportive, che renderebbero
“più appetibile” un patrimonio edilizio ricettivo ormai “datato”.
In realtà, per migliorare l’offerta
turistica sembrano prioritarie altre iniziative, a iniziare dal radicale miglioramento dei collegamenti aerei e navali in
regime di continuità territoriale o
comunque attraverso meccanismi di
abbattimento dei costi per i non residenti, continuando con una politica efficace delle aree naturali
protette e dei beni culturali per ampliare offerta e stagione
turistica, per finire con la promozione di veri e propri “pacchetti turistici” specifici
per mète ed eventi (es. S. Efisio, Carnevale, Pasqua, Candelieri, ecc.). Il
discorso porterebbe lontano, per cui limitiamoci a considerazioni di natura
giuridica e ambientale.
A un primo esame della proposta di
legge, necessariamente rapido, balza agli occhi un elemento fortemente
negativo, la possibilità – per l’ennesima volta – di incrementi volumetrici entro la fascia
costiera dei mt. 300 dalla battigia marina (mt. 150 nelle Isola
minori) previsti dall’art. 31 del disegno di legge regionale, in
palese violazione di quanto indicato nel piano paesaggistico regionale
(P.P.R. – 1° stralcio costiero).
Così l’art. 31 del disegno di legge
regionale: “al fine di migliorare qualitativamente l’offerta ricettiva sono
consentiti interventi di ristrutturazione, anche con incremento volumetrico, delle strutture destinate all’esercizio
di attività turistico-ricettive.
Gli interventi possono essere attuati anche mediante demolizione e
ricostruzione e gli incrementi volumetrici possono determinare la realizzazione di corpi di fabbrica separati …
anche in deroga ai parametri e agli indici previsti dagli strumenti
urbanistici, nella percentuale
massima del 25 per cento dei volumi legittimamente realizzati”.
In buona sostanza, si tratta anche di “unità immobiliari separate”, cioè ville, pur connesse alla gestione alberghiera.
Così, per capirci, come fatto in base al c.d. piano per l’edilizia o piano casa che dir si voglia (legge regionale n. 4/2009 e
s.m.i.) all’Hotel Romazzino in Costa Smeralda (Arzachena) e
oggetto di un procedimento penale avviato
dalla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Tempio Pausania anche su esposti del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per violazione della normativa di tutela costiera.
Non solo. “Gli … incrementi
volumetrici … sono computati ai fini della pianificazione delle volumetrie
realizzabili per il soddisfacimento del fabbisogno di ricettività alberghiera
ed extra-alberghiera, con le modalità previste dall’Allegato A” (art. 31,
comma 3°, lettera b, del d.d.l. urbanistico) e “gli insediamenti esistenti possono
essere completati attraverso
la previsione di ambiti di
potenziale trasformabilità ad essi contigui. È, in ogni caso, consentita la trasformazione delle residenze per le vacanze
e il tempo libero, esistenti
o da realizzare, in strutture
ricettive alberghiere” (Allegato A, art. A 4, comma 3°).
In parole povere, sono consentiti gli
ampliamenti degli insediamenti edilizi nella fascia costiera e la trasformazione delle “seconde case” in strutture ricettive
alberghiere, anche se nemmeno
esistenti (!) Quest’ultima disposizione rieccheggia la sfacciata
previsione dei famigerati nullaosta
per complessi alberghieri emanati in deroga ai vincoli propedeutici per la redazione degli
allora piani territoriali
paesistici in base all’art. 13, comma 1°, lettera c,
della legge regionale n. 45/1989: la Giunta regionale fra il 1990 e il
1992 ne rilasciò ben 235,
legittimando nella futura normativa di piano tantissimi progetti immobiliari di “seconde case” poi “riciclati” in “complessi alberghieri”.
Grazie al Cielo e al Consiglio di Stato
(il T.A.R. seguì lentamente…), riuscimmo fra mille difficoltà a ottenere l’annullamento di quei piani
territoriali paesistici che…tutelavano fondamentalmente investimenti e
speculazioni immobiliari. Ci sono anche altre considerazioni da fare,
relative al “mattone liofilizzato”.
“Possono usufruire degli incrementi volumetrici previsti
nel comma 1 anche le strutture turistico-ricettive che
abbiano già usufruito degli
incrementi previsti dall’articolo 10 bis della legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme
per l’uso e la tutela del territorio regionale), e successive modifiche ed
integrazioni … Possono usufruire degli incrementi volumetrici previsti nel
comma 1 anche le strutture turistico-ricettive che
abbiano già usufruito degli incrementi previsti dal capo I e
dall’articolo 13, comma 1, lettera e) della legge regionale 23 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni
straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore
edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica
per lo sviluppo), dall’articolo 31 della legge regionale 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la
semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed
edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio), unicamente fino al
concorrere del 25 per cento del volume originario, esistente alla data
dell’ampliamento in deroga”.
La struttura
turistico-ricettiva già ampliata del 25% della volumetria, poi ampliata ancora,
può esser un’altra volta ampliata fino al raggiungimento del 25% della
volumetria conseguita dopo il primo ampliamento: per esempio, una struttura turistico-ricettiva avente
in origine una volumetria di 30 mila metri cubi, può esser stata
ampliata a 37.500 metri cubi (mc.
7.500, cioè + 25%) e ora può giungere a 46.875 metri cubi (mc. 9.375, cioè ulteriore +25%). In pochi
anni, nella fascia costiera di
massima tutela, la volumetria di una struttura turistico-ricettiva potrebbe
crescere di più del 50% della volumetria iniziale.
E questo favorirebbe il turismo? In
realtà favorirebbe la riminizzazione delle coste sarde, proprio
quello che si dovrebbe evitare a ogni costo. Così come lo strumento
della prevista “intesa” (art.
11 delle N.T.A. del P.P.R.) fra Regione, Provincia
e Comune con società immobiliari spettatrici non certo inattive per progetti di grande rilievo socio-economico
entro la fascia costiera a cui spesso fanno riferimento esponenti
della Giunta regionale per ricordare come sia già il piano paesaggistico regionale ad
aver previsto questa possibilità: in realtà, il ricorso al meccanismo
procedurale dell’intesa per approvare interventi nella fascia costiera dei mt.
300 dalla battigia marina è limitato – in assenza di P.U.C. adeguato al P.P.R.
– a “non oltre i dodici mesi” dall’entrata in vigore del P.P.R. (art.
20, comma 3°, lettera b, delle N.T.A. del P.P.R.). La ratio della previsione transitoria di dodici mesi è
in logica connessione con l’analogo termine di adeguamento degli strumenti
urbanistici comunali al P.P.R. (art. 107, comma 1°, delle N.T.A. del P.U.C.).
Di fatto, ora, la previsione non è più
vigente e i Comuni in tali condizioni, prima di ogni ulteriore iniziativa,
dovrebbero procedere all’approvazione del P.U.C. in adeguamento al P.P.R.
Oltre gli argomenti di merito, rimane
chiaro quanto affermato dalla giurisprudenza
costituzionale. La sentenza Corte cost. n. 189 del
20 luglio 2016, infatti, ha affermato ancora una volta che le norme di tutela paesaggistica (e
quelle del piano paesaggistico,
in particolare) prevalgono sulle
disposizioni regionali urbanistiche, visto che “gli interventi
edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga né al piano
paesaggistico regionale né alla legislazione statale”, in quanto “si
deve escludere, proprio in ragione del principio della prevalenza dei piani
paesaggistici sugli altri strumenti urbanistici (sentenza n. 11 del 2016), che
il piano paesaggistico regionale sia derogabile”.
La disciplina del P.P.R. afferma testualmente riguardo la fascia
costiera (“risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del
territorio sardo“, art. 19 delle N.T.A. del P.P.R.) fuori dai centri abitati: “nelle aree inedificate è precluso qualsiasi
intervento di trasformazione” (art. 20 delle N.T.A. del P.P.R.), mentre è consentita solo
la “riqualificazione urbanistica e architettonica degli insediamenti
turistici o produttivi esistenti“. Le ristrutturazioni e riqualificazioni
si possono ben fare con le volumetrie già esistenti.
Non si parla di nuove volumetrie o premi
volumetrici che dir si voglia, e la Corte costituzionale, con la sentenza n. 189/2016, ha affermato chiaramente
che si tratta dell’unica interpretazione costituzionalmente corretta.
Le “regole chiare” auspicate dal Presidente
Pigliaru ci sono già: nella fascia
dei 300 metri dalla battigia marina non si costruisce più, punto e
basta.
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