La lattaia del rione Valmaura apre presto la mattina. Qui si può ancora prendere il
latte e il pane e dire: “Segna”. Si pagherà a fine settimana. In tanti passano
per la sua piccola bottega a bere il primo caffè. Saluti e ciacole continuano
appena fuori in un triangolino di terra di nessuno, tra la strada e il
sottopasso. Gli ortolani volontari di quartiere ci hanno ricavato un
giardinetto, piantato degli arbusti e posizionato due panchine. Siamo a Trieste
in uno dei popolari quartieri sulle colline che si affacciano sul Golfo.
Da qualche anno in città è partito un movimento
spontaneo che va in cerca di aree non o male utilizzate e si propone di trasformarle
in aree comuni affidate in gestione a gruppi di persone del posto. Il progetto
si chiama Urbi et Horti. È guidato da
Bioest, dall’Associazione per l’agricoltura biologica, da Legambiente e ha
l’aiuto del Centro dei Servizi del Volontariato regionale. A tutt’oggi sono
stati realizzati ventisei orti coltivati da duecentocinquanta nuovi contadini
urbani.
Ogni orto ha
un nome, dei responsabili e presenta specifiche caratteristiche. Molti sono piccoli (venti-quaranta
metri quadrati) di proprietà di
persone anziane che non hanno più la possibilità di tenerli in
ordine. Altri sono veri e propri orti collettivi,
coltivati da più persone, sede di corsi di orticultura e giardinaggio. A Le
Piane il Comune ha concesso mille metri quadrati e varie associazioni vengono
qui a lavorare la terra con persone svantaggiate. A Parchorto è stato creato un
orto a spirale sinergico. A Vicolo delle Rose su cinquemila metri quadrati a
terrazzamenti con vista sul mare c’è un vero bosco con alberi centenari, area
giochi, un forno a legna. Al quartiere di edilizia popolare Zindis c’è un orto
di condominio. A Giarizzole un’area degradata è stata trasformata in un orto
scuola.
La formula
adottata per regolare i rapporti con i privati è quella del comodato d’uso gratuito per cinque anni.
In contropartita il proprietario ha il diritto di partecipare al gruppo di
coltivazione e ottenere una quota parte del raccolto; “come ogni altro
partecipante”, tengono a sottolineare nell’atto di sottoscrizione. Nei periodi di raccolta si assistono a
strane forme di scambio delle eccedenze produttive mediate dai Gruppi di
acquisto solidali alle fermate degli autobus e al banco dei prodotti biologici
del vecchio mercato coperto: zucchine contro pomodori; mazzi di fiori
contro albicocche e così via. Poche, ma importanti, le regole condivise per le
coltivazioni: niente sostanze
chimiche secondo i metodi biologici, niente
recinzioni interne tra gli appezzamenti: Omnia sunt communia. Le
associazioni capofila forniscono agli ortolani volontari i sostegni tecnici e
le consulenze necessarie: un maestro contadino, un maestro potatore, un
architetto, un coordinatore del Distretto di economia solidale e anche un
medico fisiatra.
Tiziana, una
delle persone che più ha creduto nel progetto degli orti comuni, ce li spiega
così:
“Si
creano luoghi di incontro tranquilli e salutari, con una particolare intensità
di relazioni e densità
culturale”.
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