domenica 30 aprile 2017

Orti condivisi in città. Urbi et Horti - Paolo Cacciari


La lattaia del rione Valmaura apre presto la mattina. Qui si può ancora prendere il latte e il pane e dire: “Segna”. Si pagherà a fine settimana. In tanti passano per la sua piccola bottega a bere il primo caffè. Saluti e ciacole continuano appena fuori in un triangolino di terra di nessuno, tra la strada e il sottopasso. Gli ortolani volontari di quartiere ci hanno ricavato un giardinetto, piantato degli arbusti e posizionato due panchine. Siamo a Trieste in uno dei popolari quartieri sulle colline che si affacciano sul Golfo.
Da qualche anno in città è partito un movimento spontaneo che va in cerca di aree non o male utilizzate e si propone di trasformarle in aree comuni affidate in gestione a gruppi di persone del posto. Il progetto si chiama Urbi et Horti. È guidato da Bioest, dall’Associazione per l’agricoltura biologica, da Legambiente e ha l’aiuto del Centro dei Servizi del Volontariato regionale. A tutt’oggi sono stati realizzati ventisei orti coltivati da duecentocinquanta nuovi contadini urbani.
Ogni orto ha un nome, dei responsabili e presenta specifiche caratteristiche. Molti sono piccoli (venti-quaranta metri quadrati) di proprietà di persone anziane che non hanno più la possibilità di tenerli in ordine. Altri sono veri e propri orti collettivi, coltivati da più persone, sede di corsi di orticultura e giardinaggio. A Le Piane il Comune ha concesso mille metri quadrati e varie associazioni vengono qui a lavorare la terra con persone svantaggiate. A Parchorto è stato creato un orto a spirale sinergico. A Vicolo delle Rose su cinquemila metri quadrati a terrazzamenti con vista sul mare c’è un vero bosco con alberi centenari, area giochi, un forno a legna. Al quartiere di edilizia popolare Zindis c’è un orto di condominio. A Giarizzole un’area degradata è stata trasformata in un orto scuola.
La formula adottata per regolare i rapporti con i privati è quella del comodato d’uso gratuito per cinque anni. In contropartita il proprietario ha il diritto di partecipare al gruppo di coltivazione e ottenere una quota parte del raccolto; “come ogni altro partecipante”, tengono a sottolineare nell’atto di sottoscrizione. Nei periodi di raccolta si assistono a strane forme di scambio delle eccedenze produttive mediate dai Gruppi di acquisto solidali alle fermate degli autobus e al banco dei prodotti biologici del vecchio mercato coperto: zucchine contro pomodori; mazzi di fiori contro albicocche e così via. Poche, ma importanti, le regole condivise per le coltivazioni: niente sostanze chimiche secondo i metodi biologici, niente recinzioni interne tra gli appezzamenti: Omnia sunt communia. Le associazioni capofila forniscono agli ortolani volontari i sostegni tecnici e le consulenze necessarie: un maestro contadino, un maestro potatore, un architetto, un coordinatore del Distretto di economia solidale e anche un medico fisiatra.
Tiziana, una delle persone che più ha creduto nel progetto degli orti comuni, ce li spiega così:
“Si creano luoghi di incontro tranquilli e salutari, con una particolare intensità di relazioni e densità culturale”.

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