Salvaguardare la Terra patrimonio comune
nell’epoca in cui è diventata bene di mercato da sfruttare, oggetto di
speculazione economica – il land grabbing e le monoculture tra i tanti esempi
possibili – significa ripensarne l’approccio recuperando la biodiversità e abitandola in modo più sostenibile. Molte cose da
qualche anno si stanno facendo in questa direzione, basti pensare alla
mobilità, con la produzione di auto ibride o elettriche o sharing, alla lotta
contro lo spreco di cibo. Sono temi questi su cui siamo diventati – al di là e
a dispetto di leggi esistenti o mancanti – in generale tutti molto sensibili e
vanno ricordati in occasione della Giornata della Terra.
Orientare
lo stile di vita in un modo più green è una tendenza trasversale esplosa in
questi anni. Pratiche da cominciare fin da bambini – leggi qui – e da proseguire da adulti magari anche facendo
la spesa in modo diverso e più consapevole di prima – leggi – o curando il corpo con la cosmetica organica e biodegradabile.
Tra
i fenomeni più attuali in tutto il mondo, Italia compresa, c’è questo ritorno
alla terra, questa voglia di contatto con la natura, sporcandosi le mani di
terreno, che coinvolge soprattutto le popolazioni delle grandi città: diventare o ri-tornare
contadini, fosse anche nel tempo libero, non è una moda ma un modo consapevole
di guardare al verde come un qualcosa di cui prendersi cura, riconnettere la
campagna alla città.
Recuperare
gli spazi urbani in modo ecologico con gli orti urbani e comunitari, ormai
presenti in tutta Italia – secondo l’ultimo rapporto Istat sul verde urbano,
datato novembre 2016 , offrono in gestione orti urbani 64 capoluoghi (più 27,3 per cento di superficie in quattro anni)
e 30 assegnano la manutenzione di aree verdi ad associazioni o cittadini –
è una grande tendenza di questi anni con un valore molteplice.
Gli orti condivisi soddisfano in città il desiderio di natura innanzitutto, orientano all’autoproduzione –
si comincia piantando pomodori, si prosegue facendo il pane in casa o viceversa
in un circolo comunque virtuoso – soddisfano
il bisogno di cibo buono e non sofisticato per lo più a chilometri zero e, elemento da non sottovalutare, recuperano quella socialità che è diventata ormai un bene tra i più preziosi. Gli
orti comunitari svolgono per questo una nuova, realistica, funzione di
‘piazza’, spazi comuni di aggregazione, sezioni di territorio sottratte al
degrado oltre che territoriale anche sociale.
Dice
Giorgia Bocca, che con Terra!Onlus ha realizzato tanti progetti di orti
comunitari – come quello a Lampedusa P’Orto o a Genova nel Parco Urbano di
Valletta Rio San Pietro Cornigliano – ”con lo sviluppo dell’industrializzazione
e lo spostamento in massa dalla campagna alla città l’agricoltura di
sussistenza e di produzione è entrata in crisi e ha spostato fisicamente e
psicologicamente filiere, ha aumentato i consumi ed ha anche disgregato
comunità e tradizioni portando a quella che viene definita “estinzione
dell’esperienza”. Città e campagna non alleate producono schizofrenia e la
mancata progettazione favorisce sistemi non sostenibili. Il riconoscimento
dell’importanza degli orti urbani e l’esigenza di contenerne gli aspetti di
spontaneità e abusivismo si è tradotto poi nella redazione dei primi regolamenti, contenenti i criteri per l’assegnazione di aree
orticole ai cittadini interessati da parte delle amministrazioni comunali.
L’agricoltura urbana quindi subisce nuovamente una forte espansione negli ultimi
anni, complice la crisi che ha alimentato questo fenomeno. Una crisi d’
identità culturale, di comunità ed economica. In numerose città italiane,
infatti, sono visibili movimenti organizzati di gruppi formali e informali,
singoli e famiglie che realizzano in quartieri, parchi e luoghi “dimenticati”
progetti di orti
comunitari o individuali spesso realizzati in modo spontaneo ma per lo più conformi alle normative locali. Le
politiche ambientali e le strategie di pianificazioni da parte di Comuni e Amministrazioni
stanno cercando di andare incontro al fenomeno in costante aumento di richieste
di accesso alla terra da parte di giovani e ai disoccupati. Siamo di fronte ad
una cittadinanza più attiva e consapevole che cerca di appropriarsi degli spazi
e degli usi del proprio territorio, creando una
forma nuova di partecipazione e di benessere alla realizzazione di un bene
comune mediante
un approccio ecologico che comprende l’uso sostenibile delle risorse e delle
coltivazioni e la costruzione di relazioni per lo scambio di buone pratiche”.
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