PAESI, AREE INTERNE E SPOPOLAMENTO
In Sardegna, in questi mesi, si è rinforzato il dibattito sui paesi, sulle aree interne e sullo spopolamento.
In Sardegna, in questi mesi, si è rinforzato il dibattito sui paesi, sulle aree interne e sullo spopolamento.
Se ne parla sui quotidiani, sulle televisioni,
sui Social Network; ne parlano i sindaci, gli amministratori, gli
intellettuali, gli artisti, gli architetti, gli economisti, i sociologi, gli
antropologi. Anche la Giunta Regionale ha aperto, non senza ritardi, degli
spiragli di ragionamento e ha esplicitato la volontà di invertire radicalmente
la direzione di marcia delle politiche regionali: vedremo se alle parole
seguiranno fatti e atti conseguenti.
Tutto questo "parlare" non è stato
inutile; non è stato un esercizio di stile, la messa in scena di buone
intenzioni e migliori sentimenti.
Tutto questo "parlare" ha fatto
crescere la consapevolezza (e l'autoconsapevolezza nelle comunità) del dramma
sociale, umano, storico, politico e culturale che vive la Sardegna. Un dramma
che se non vi si pone rimedio farà precipitare la nostra terra in un evo di
difficile comprensione e di ancor più difficile interpretazione.
Lo spopolamento non è un fatto ineluttabile; è, semmai, il prodotto di scelte politiche precise che, se guardate con una certa freddezza e distacco, si potrebbero pure definire scientifiche. Con una certa dose di livida freddezza si sono abbandonate le aree rurali della Sardegna al loro destino fatto di denatalità, invecchiamento della popolazione, disoccupazione, emigrazione, depauperamento dei servizi pubblici essenziali: se Stato e Regione avessero speso un decimo dei fondi destinati alle fallimentari politiche industriali per i paesi avremmo di sicuro costruito una Sardegna più giusta, più umana, più autentica.
Lo spopolamento non è un fatto ineluttabile; è, semmai, il prodotto di scelte politiche precise che, se guardate con una certa freddezza e distacco, si potrebbero pure definire scientifiche. Con una certa dose di livida freddezza si sono abbandonate le aree rurali della Sardegna al loro destino fatto di denatalità, invecchiamento della popolazione, disoccupazione, emigrazione, depauperamento dei servizi pubblici essenziali: se Stato e Regione avessero speso un decimo dei fondi destinati alle fallimentari politiche industriali per i paesi avremmo di sicuro costruito una Sardegna più giusta, più umana, più autentica.
Se da un lato amministratori locali,
intellettuali, scrittori, poeti, artisti hanno fatto sentire la loro voce
questa voce si è scontrata col muro di silenzio dei partiti politici incapaci
di interpretare il sentimento diffuso che in Sardegna - sul tema - sta
germogliando. Un sentimento, una consapevolezza che sta crescendo come una
"matrica", un lievito benefico che fa dire - in luogo della
lamentazione - che i paesi, le aree interne della Sardegna, i margini, le
periferie (a dispetto della "politique politicienne") ce la faranno,
ce la faranno a sopravvivere all'incuria, all'abbandono, alla dimenticanza,
all'arroganza di certo, decrepito, potere.
Serve, per questo, una politica commossa per i
paesi e per le aree interne; di più: serve una politica che si emoziona ai
paesi e che costruisce alleanze fra le 377 comunità della Sardegna; una
politica che favorisce l'alleanza fra le periferie rurali e le periferie
urbane: i luoghi, cioè, dove si annidano oggi le nuove e le vecchie povertà.
Tutte le politiche di contrasto allo spopolamento sono, per definizione, politiche sperimentali. Non c'è nessuno - si diffidi sommamente di chi dichiara di avere la "ricetta" giusta - che abbia in tasca "la" soluzione.
Tutte le politiche di contrasto allo spopolamento sono, per definizione, politiche sperimentali. Non c'è nessuno - si diffidi sommamente di chi dichiara di avere la "ricetta" giusta - che abbia in tasca "la" soluzione.
Occorre, a mio avviso, una comprensione
unitaria del fenomeno e servono soluzioni diversificate anche sui diversi
territori: ciò che va bene in Gallura potrebbe non andar bene nel Goceano e
viceversa.
Non c'è una sola medicina da inoculare alle
comunità più deboli: non bastano i soli servizi pubblici locali, ma è
fondamentale non disperderli o riguadagnarli: scuole, ospedali, trasporti,
sicurezza pubblica; non è sufficiente solo una politica dell'accoglienza dei
migranti, ma migranti possono rappresentare un elemento di crescita per le
comunità; non bastano le politiche di contrasto alla denatalità, ma senza
bambini non c'è futuro; la zona franca integrale forse non è un obiettivo
perseguibile, ma studiare nelle aree più deboli delle zone franche rurali è
fattibile e necessario per creare nuova occupazione e nuove imprese.
Le politiche di contrasto allo spopolamento
devono utilizzare la tecnica del mosaico: ogni tessera al suo posto, ma al
servizio di un disegno complessivo: condiviso e democratico.
Tuttavia, per comporre il mosaico, serve un
nuovo umanesimo; un umanesimo che si commuove a salvare un paese, a salvare una
comunità perché salvando un paese si sta salvando un pezzo fondamentale di
Sardegna.
Per combattere lo spopolamento non serve una
politica sifilitica, senza sentimenti, senza valori umani riconoscibili,
elitaria, accucciata in attesa della prossima tornata elettorale, rannicchiata
in posizione fetale. Serve una politica che si connette - anche
sentimentalmente - col popolo e diviene forza di popolo perché sta dentro le
comunità e le vive. Ne vive i drammi e le gioie e dice, con speranza, che i
paesi non sono il passato della Sardegna, ma saranno il futuro. Un futuro da
sperimentare adesso. Prima che sia davvero troppo tardi.
Emiliano Deiana ~ Sindaco di Bortigiadas e
Presidente di Anci Sardegna
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