I lunedì Magda e Amilcar
Galindo portano la loro figlia Eva a un corso di autodifesa. Eva ha 12 anni ma
il suo sorriso fiducioso e le sue treccine ad arco la fanno sembrare più
giovane. Diagnosticata di autismo e di sindrome da deficit di attenzione e
iperattività, o ADHD, Eva non apprende e non si comporta come una dodicenne
tipica. Lotta per cambiare e ha bisogno di aiuto per leggere e in situazioni
sociali. I compagni di classe di Eva spesso non sono gentili con lei e Magda è
preoccupata per i sentimenti e la sicurezza di sua figlia. Così una volta alla
settimana, dopo averla portata in auto dalla scuola media a Modesto,
California, al suo tutore nella vicina Riverbank, i Galindo si affrettano alla
palestra dove fanno il tifo per Eva mentre lei combatte con un sacco pesante e
tira pugni in aria con le sue braccia magre.
I Galindo vorrebbero aver
potuto proteggere la loro figlia da qualsiasi cosa abbia causato i suoi
problemi, iniziati nell’infanzia, quando urlava incessantemente. Crescendo, è
stata lenta nel parlare e nel fare amicizie. Nove anni fa, quando il suo
pediatra le ha diagnosticato l’autismo, questi ha detto loro che nessuno sapeva
davvero perché i bambini sviluppavano quei problemi. E per certi versi ciò è
tuttora vero; sia le cause di queste situazioni di sviluppo neurologico sia il
loro aumento tra i bambini statunitensi restano misteriose.
Ma uno studio cui la
famiglia ha partecipato quando Eva aveva tre anni ha indicato un possibile
responsabile: il clorpirifos, un pesticida usato diffusamente che era stato
spruzzato vicino alla loro casa quando Magda era incinta. All’epoca la famiglia
viveva a Salida, una piccola cittadina della California centrale, circondata da
campi di mandorle, mais e pesche. I Galindo potevano vedere i campi coltivati
giusto di là della strada dalla loro casa. E Magda poteva sentire il loro odore
dal patio dove trascorreva gran parte della sua gravidanza. A volte il distinto
odore di letame di mucca riempiva l’aria. Altre volte avvertiva l’odore della
fermentazione di fertilizzanti. E c’era anche un terzo odore, “l’odore della
chimica” ha detto la Galindo. “Lo si distingue, è diverso dal pacciame e dal
letame. Quando lo irroravano l’odore era diverso.”
Nel 2014 il primo e più completo esame delle cause ambientali dell’autismo
e del ritardo nello sviluppo, noto come lo studio CHARGE,
ha scoperto che l’applicazione prossima di pesticidi agricoli aumenta di molto il rischio di autismo. Le
donne che vivevano a meno di un miglio da campi dove era irrorato il
clorpirifos nel corso del secondo trimestre della loro gravidanza, come
accaduto a Magda, avevano più che triplicata la probabilità di partorire un
figlio autistico. Ed era solo uno di dozzine di studi recenti che hanno
collegato anche piccole quantità di esposizione fetale al clorpirifos a
problemi di sviluppo neurologico, compreso l’ADHD, deficit d’intelligenza e
difficoltà di apprendimento.
Il 10 novembre l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente statunitense ha
pubblicato un innovativo rapporto che espone i gravi pericoli del clorpirifos.
La “Valutazione Aggiornata dei Rischi del Clorpirifos per la
Salute Umana”, come è stata chiamata, ha esposto le prove che il
pesticida può causare deficit di intelligenza e di attenzione, di memoria e
problemi motori nei bambini. Secondo il rapporto i bambini di uno e due anni
rischiano esposizioni dal solo cibo che sono del 14.000 per cento superiori al livello che
oggi l’agenzia considera sicuro.
La Dow, il gigante della chimica che ha brevettato il clorpirifos e che
tuttora produce la maggior parte dei prodotti che lo contengono, ha
costantemente contestato la montante evidenza scientifica che la sua sostanza
chimica di successo causi danni ai bambini. Ma il rapporto governativo ha reso
chiaro che l’EPA ora accetta i dati scientifici indipendenti che mostrano che
il pesticida usato per coltivare così tanto del nostro cibo è insicuro. La “copia pre-pubblicazione” del rapporto
affermava che “residui di clorpirifos nella maggior parte dei singoli raccolti
alimentari supera gli standard di sicurezza di ‘ragionevole certezza di non
nocività’ stabiliti dalla Legge Federale su Cibo, Sostanze e Cosmetici”, il che
significa, in parole povere, che ogni dato campione di cibo può contenere
livelli pericolosi di clorpirifos. Inoltre esposizioni stimate di acqua
potabile e non potabile alla sostanza chimica superano anch’esse gli standard
di sicurezza. Il passo successivo consisteva per formalizzare un divieto del
clorpirifos.
Promotori della salute pubblica hanno sollecitato per anni l’EPA a mettere
al bando il pesticida. Quattro mesi prima dell’uscita del rapporto, un gruppo
di 47 scienziati e medici con competenza nello sviluppo cerebrale infantile,
compreso il direttore dell’Istituto Nazionale delle Scienze della Salute
Ambientale, hanno diffuso un grave avvertimento che sostanze chimiche tossiche
nell’ambiente stavano aumentando i rischi che i bambini sviluppassero problemi
comportamentali, cognitivi e sociali e contribuivano all’aumento dei casi di
autismo e di ADHD. La dichiarazione TENDR, come è stata chiamata,
accludeva un elenco delle neurotossine peggiori e costituiva un appello
disperato a un intervento immediato. I pesticidi organofosforici, la classe di
sostanze chimiche cui appartiene il clorpirifos, erano in cima alla lista.
Tuttavia quando è stato
pubblicato il rapporto dell’EPA, indicante che l’agenzia stava finalmente
agendo riguardo al clorpirifos, c’è stato poco di cui rallegrarsi tra gli
scienziati e gli ambientalisti, perché due giorni prima Donald Trump aveva
vinto le elezioni presidenziali.
Anche se la nuova valutazione del rischio era la tessera mancante
necessaria per escludere il clorpirifos dalla catena alimentare e dalla
fornitura di acqua, la legge prescrive un periodo di 60 giorni per i commenti prima
che una tale decisione possa essere formalizzata. Trump si insedierà tre giorni
dopo la fine del periodo dei commenti il 17 gennaio. La scadenza
finale per includere i commenti nel rapporto è il 31 marzo 2017, concedendo
alla nuova amministrazione quasi due mesi per far deragliare la normativa a
lungo attesa.
Eva Galindo legge una rivista il 29 dicembre 2016 a Modesto, California –
Foto di Shaun Lucas per The Internet
Il clorpirifos è “la
Coca Cola dei coltivatori”, come me l’ha descritto un ex dipendente
dell’Ufficio della California per i Pesticidi. “Lo usano tutti, là fuori”. In
tutto il paese circa 44.000 coltivatori statunitensi, in totale, usano tra 6
milioni e 10 milioni di libbre di clorpirifos ogni anno su qualsiasi cosa, dal
mais, alla soia, agli asparagi e alle pesche, alle fragole, ai broccoli, ai
cavolfiori, alle cipolle, alle noci e ai mirtilli. Usato su più di metà di tutte
le mele e i broccoli venduti negli USA, il clorpirifos arriva nella vasta
maggioranza delle cucine statunitensi. La sostanza è stata trovata nel 15 per
cento dei campioni d’acqua prelevati nel paese tra il 1991 e il 2012 dal
Programma Nazionale di Valutazione della Qualità dell’Acqua dell’Osservatorio
Geologico statunitense.
Numerosi agricoltori con i quali ho parlato al congresso sponsorizzato
dalla Dow dei coltivatori di agrumi, hanno spiegato di aver usato il Lorsban, uno dei prodotti della
Dow contenente clorpirifos, perché è uno dei prodotti più affidabili e
accessibili per uccidere le formiche. I coltivatori speravano anche chiaramente
che il pesticida, che uccide circa 400 specie diverse, avrebbe aiutato a
combattere lo psillide asiatico degli agrumi, un insetto che succhia la linfa
che ha ucciso alberi da frutta in tutto il paese.
Che il pesticida abbia
potuto diventare uno strumento così diffusamente utilizzato è una testimonianza
sia della deferenza che il governo ha mostrato nei confronti di grandi società,
sia della mancanza di lungimiranza circa le conseguenze dell’irrorazione del
nostro cibo con sostanze chimiche tossiche. Dopotutto, non ci sono mai stati
grandi dubbi che gli organofosforici danneggino le persone. Il chimico tedesco
Gerhard Schrader documentò per la prima volta gli effetti delle sostanze
chimiche sul sistema nervoso umano mentre tentava di sviluppare pesticidi per
proteggere gli alimenti per lo sforzo bellico nazista. Come Schrader segnalava
nel 1936 dopo che lui e un collega si erano gravemente ammalati per una
semplice goccia di un organofosforico caduta su un banco del laboratorio vicino
a loro, le persone esposte soffocavano, tremavano, vomitavano e sudavano.
Poiché l’esposizione a volte determinava attacchi epilettici, coma e morte, la
scoperta diede origine all’utilizzo di organofosforici come armi e Schrader
trascorse gran parte della guerra a produrre uno dei primi agenti nervini, il
Tabun, in un laboratorio segreto nazista.
Più di due decenni dopo,
la scrittrice ambientalista Rachel Carson descrisse gli effetti dei pesticidi
organofosforici, o insetticidi organici fosforici, come li chiamò, in termini
sinistramente simili a quelli di Schrader nel suo best seller del 1962
“Primavera silenziosa”: “Il loro bersaglio è il sistema nervoso, che la vittima
sia un insetto o un animale a sangue caldo … I movimenti dell’intero corpo
diventano scoordinati: ne seguono rapidamente tremori, spasmi muscolari,
convulsioni e la morte”.
Persino allora i pesticidi
organofosforici che si riteneva concentrassero il loro potere letale su
scarafaggi, zecche, formiche e termiti, stavano chiaramente scatenando alcune
delle stesse reazioni negli umani.
Il clorpirifos – e, quanto a questo, gli agenti nervini Sarin e Tabun –
operano bloccando la colinesterasi, un enzima che scompone il
neurotrasmettitore acetilcolina. Quando la colinesterasi non funziona
correttamente, il sistema nervoso può andare in sovraccarico, poiché i nervi
scaricano ripetutamente senza essere bloccati. Così, tra il momento in cui sono
irrorati con organofosforici e quello della morte, gli scarafaggi diventano iperattivi,
ipereccitabili e in preda a convulsioni. E, come la Carson descrisse
delicatamente nel 1962, “le api mellifere diventano ferocemente agitate e
bellicose”.
Anche se introdotto sul
mercato nel 1965, l’uso del clorpirifos in agricoltura cominciò a decollare
solo negli anni ’80 dopo che un altro gruppo di sostanze chimiche era stato
gradualmente abbandonato a causa dei problemi che causava alla salute. La
Carson, che morì di cancro all’età di 56 anni, solo 18 mesi dopo la
pubblicazione di “Primavera silenziosa”, sarebbe indubbiamente rimasta sgomenta
nel sapere che la messa al bando del DDT, di cui spesso le è dato il merito,
aveva dato luogo al diffuso utilizzo di organofosforici, come il clorpirifos.
Nel 1962 lei aveva già visto la follia della sostituzione di una sostanza
neurotossica con un’altra e aveva indicato che il DDT era esso stesso un
sostituto del pesticida arseniato di piombo, che era stato abbandonato perché
anch’esso aveva causato problemi alla salute.
Col crescere dell’uso del pesticida, crebbero anche le preoccupazioni al
suo riguardo. Nel 1988 il Congresso chiese all’Accademia Nazionale delle
Scienze di verificare se i pesticidi nelle diete dei bambini potevano essere
pericolosi. Il relativo rapporto descrisse una serie di
danni che i pesticidi possono causare e segnalava che gli organofosforici hanno
“conseguenze neurocomportamentali sottili e durature” negli animali. Quando fu
presentato al Congresso nel 1993, l’epidemiologo Philip Landrigan, che dirigeva
il comitato, avvertì che i bambini erano particolarmente vulnerabili e sollecitò il Congresso ad
applicare standard più severi sui pesticidi.
I pericoli a più breve termine della sostanza chimica erano già evidenti
nel 1996, quando il numero annuale di avvelenamenti da clorpirifos, che può
causare contrazioni muscolari, tremori, biascicamento e persino paralisi e
morte, riferiti ai Centri Controllo Veleni raggiunse i 7.000. Stava anche diventando chiaro che i
bambini erano particolarmente sensibili al pesticida, che era disponibile in
molti prodotti domestici usati per uccidere scarafaggi, termiti, pulci e altri
insetti.
Vicki Herb lo apprese
poco dopo aver portato dall’ospedale nella sua casa in West Virginia suo figlio
in fasce. Joshua Herb erano nato sano nel 1990. Ma giorni dopo un
disinfestatore arrivò per una visita regolarmente programmata e, non notando
Joshua addormentato nella sua culla, spruzzò clorpirifos su un davanzale
vicino, mentre il piccolo faceva un sonnellino. Nel giro di giorni Joshua finì
parzialmente paralizzato. Anche se i medici che lo videro per la prima volta
scartavano l’idea, Vicki Herb ritenne che suo figlio fosse stato avvelenato da
pesticidi e nel 1992 assunse l’avvocato Stuart Calwell per citare in giudizio
la Dow. Da allora le prove dei suoi pericoli – particolarmente per i bambini –
sono andate montando.
La causa Herb, assieme a
molte altre che Calwell avviò contro la Dow, fece più che rivelare quanto
potentemente il clorpirifos poteva colpire i bambini. Portò anche alla luce
quanto duramente la società avrebbe operato per proteggere il suo lucroso
pesticida. Divenne presto chiaro che la strategia della Dow consisteva nel
proteggere l’immagine pubblica del clorpirifos, promuovendo pesantemente la
visione più positiva della sua sostanza chimica e attaccando la ricerca
avversa.
Nel corso del processo
di esibizione della documentazione nella causa Herb, Calwell chiese agli
avvocati della Dow di fornire rapporti di eventi negativi collegati alla
sostanza chimica, che alle società è prescritto dalla legge di depositare
presso l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente. Gli avvocati della Dow gli
dissero di ottenere i rapporti direttamente dall’EPA, secondo Calwell. Ma un
giudice sostenne la richiesta di Calwell e la Dow fu costretta a consegnare più
di 220 rapporti di incidenti, compresi avvelenamenti, che non aveva depositato
presso l’agenzia. Calwell, che continuò a querelare numerosi casi di persone
esposte al clorpirifos, ricorda ancora il giorno in cui gli avvocati della si
presentarono in tribunale portando il raccoglitore marrone pieno dei rapporti.
Mentre la Dow celava al
pubblico alcune delle informazioni più allarmanti sulla sua sostanza chimica,
la sua ricerca mostrava il clorpirifos molto più sicuro. Anche se erano
rassicuranti, gli studi della società erano anche “scientificamente privi di
valore”, secondo il neuroscienziato e docente alla Stanford Robert Sapolsky.
Calwell ingaggiò Sapolsky, un esperto della degenerazione delle cellule nervose
e beneficiario di una borsa di studio MacArthur, per esaminare gli studi della
Dow sul pesticida. Dopo averli letti, Sapolsky mi ha scritto in una email, fu
“semplicemente sbalordito per quanto cattivo fosse il lavoro, quanto terribile
era ogni aspetto di essi, dalla competenza a come gli studi erano stati
condotti, a come i dati erano stati analizzati, a come tutto era stato poi
interpretato”.
Alla fine Sapolsky ha arruolato una dozzina di neuroscienziati
post-dottorato alla Stanford per esaminare sistematicamente quanta più
documentazione della ricerca della società sul pesticida egli avesse potuto
trovare. Secondo un rapporto non pubblicato da loro prodotto
nel 2008-2009, tutti gli studi della Dow sul clorpirifos da loro esaminati
contenevano degli errori e l’89 per cento conteneva errori che violavano le
regole fondamentali della scienza. E non si trattava di errori distribuiti
casualmente, secondo Sapolsky. “Ciascuno degli errori nei documenti era a
favore della Dow”. Così cuciti su misura, gli studi della società “erano tutti
testimonianze perfette dell’assoluta sicurezza della roba”, secondo il
neuroscienziato.
La Dow ha propagandato
pesantemente questa visione rosea del clorpirifos. Persino mentre manipolava i
dati scientifici, raccoglieva notizie di casi di avvelenamento e respingeva
reponsabilità legali per essi, la Dow – o Dowelanco, come era chiamata
all’epoca – stava anche vantando la sicurezza del suo pesticida. “I più di
vent’anni di utilizzo del pesticida che hanno visto milioni di applicazioni
confermano che non c’è un singolo caso documentato di significativo effetto
negativo sulla salute derivante dall’uso corretto degli insetticidi Dursban”,
annunciava un opuscolo del 1991 sotto l’immagine di una donna con un bambino
piccolo in grembo. “Il Dursban ha effetti a lungo termine?” chiedeva l’opuscolo
prima di fornire la risposta: “No”.
Tali affermazioni erano,
anche allora, palesemente false, come sostenne il procuratore generale di New
York in una causa del 1991, accusando la società di pubblicità ingannevole.
Citando i pericoli dei pesticidi e i particolari rischi posti ai bambini, la
definizione della causa prescrisse alla Dowelanco di smettere immediatamente di
usare tale linguaggio nel pubblicizzare i suoi prodotti contenenti clorpirifos,
Dursban e Lorsban.
Ma la Dow si attenne alle sue affermazioni di sicurezza, persino quando
ponevano la società in contrasto con la verità, e con la legge. Quasi
immediatamente dopo aver sottoscritto un accordo riguardo alla prima causa
promossa dal procuratore generale di New York, la Dow continuò a violarlo con
altre affermazioni falsamente rassicuranti sul clorpirifos, secondo un’altra
causa dell’ufficio del procuratore generale. La Dow pagò 2 milioni di dollari
per risolvere tale causa nel 2003. Per
l’ufficio del procuratore generale si trattava di una sanzione record. Per la
Dow fu forse un piccolo prezzo da pagare per un decennio di messaggi
rassicuranti.
Le vertenze legali sono
state un costo solo modesto per la società. La Dow ha sistemato molte delle
cause per avvelenamento e risulta aver pagato alla famiglia di Joshua Herb 10
milioni di dollari, che hanno contribuito a coprire la spesa dell’assistenza a
tempo pieno a Joshua. E la scoperta da parte di Calwell che la Dow aveva
nascosto informazioni critiche a proposito della sua sostanza chimica indussero
l’EPA a sanzionare la società per 876.000 dollari nel 1995. Ma la società non
ha mai ammesso alcun comportamento scorretto, persino nel caso di Joshua Herb,
morto adolescente.
Alla fine degli anni ’90, quando la Dow aveva in corso negoziati con l’EPA
riguardo al clorpirifos, più di 10 milioni di libbre del pesticida erano usate ogni anno sui raccolti. Nel
2000 gruppi di pressione, tra cui Beyond Pesticides e Californians for
Pesticide Reform [rispettivamente, ‘Oltre i pesticidi’ e ‘ Californiani per la
riforma dei pesticidi’ – n.d.t.] chiesero all’EPA di vietare del tutto la
sostanza chimica, compreso il suo utilizzo in agricoltura. Ma la Dow minacciò
di citare in giudizio l’agenzia se avesse tentato un divieto assoluto, secondo
un tossicologo in pensione dell’EPA, di nome Jeremy Blondell.
“Hanno negoziato con noi
e hanno detto: ‘Bene, non vi porteremo in tribunale’”, ha spiegato Blondell in
un’intervista. La prospettiva di una lunga e costosa battaglia legale ha
evidentemente dissuaso l’agenzia dall’andare avanti. “Se fossimo andati in
tribunale, ci sarebbero voluti quattro o cinque anni”, ha detto Blondell. Invece
nel 2000 l’agenzia ha sottoscritto un accordo con la Dow per l’abbandono
graduale della maggior parte degli usi domestici del clorpirifos, ma ha
preservato il crescente mercato agricolo da serie restrizioni.
Alcuni anni prima la Dow aveva gestito una minaccia ancor maggiore ai suoi
pesticidi. Da maggiore finanziatore in una coalizione di imprese, la Dow aveva
attivamente combattuto l’attuazione di una clausola
di una legge del 1958 che aveva assolutamente vietato l’uso di additivi
alimentari che causavano il cancro a umani o animali. Se fosse stata attuata
avrebbero potuto essere messi fuori legge decine di pesticidi. Invece nel 1996
la Dow guidò una coalizione che contribuì ad annacquare il rigido standard di
“zero rischi” fissato dalla legge trasformandolo in uno inteso a minimizzare il
rischio per la salute.
Toccò all’EPA calcolare quanto rischio per la salute era accettabile sulla
base del rischio di cancro e di altre malattie. Come fa con la maggior parte dei pesticidi, l’agenzia usò
gli stessi studi della società per determinare la sicurezza per gli umani,
compresi alcuni di quelli che Sapolsky aveva giudicato difettosi e prevenuti.
Nel 1996, quando l’agenzia registrò nuovamente il clorpirifos, l’EPA fissò un
limite di sicurezza che consentiva che la sostanza chimica fosse utilizzata in
quantità che causavano solo una piccola riduzione dell’attività dell’enzima
colinesterasi. Per i bambini, divenne presto chiaro, ciò non era
sufficiente.
E’ una prassi standard
per le società affidarsi a studi sugli animali per dimostrare la sicurezza dei
loro prodotti chimici. Condotti in laboratori di ricerca, tali esperimenti
consentono agli scienziati di controllare da vicino le loro condizioni, mettere
a punto le dosi esatte associate ai risultati e replicare interi studi. Ma
specie differenti non rispondono sempre nello stesso modo alle sostanze chimiche.
E, anche se gli scienziati hanno tradizionalmente verificato la sicurezza dei
pesticidi esponendo gli animali da laboratorio a dosi relativamente elevate,
tali studi non colgono necessariamente i rischi posti dalle quantità inferiori
che le persone respirano o ingeriscono mangiando.
Nel 1998, quando la Dow
ancora si confrontava con le vittime in tribunale, tre squadre di scienziati
cominciarono le domande su come tali esposizioni nel mondo reale influissero
sulle persone vere. All’Università della California, Berkeley, e al Mt. Sinai
Hospital e alla Columbia University a New York, i ricercatori si imbarcarono in
una serie di studi finanziati dal governo per capire come i bambini piccoli
erano influenzati dalle sostanze chimiche nell’ambiente.
Virginia Rauh,
un’epidemiologa alla guida della squadra sullo sviluppo neurologico al Centro
della Columbia per la Salute Ambientale dei Bambini, scelse di indagare il
clorpirifos perché lei e i suoi colleghi sapevano che i pesticidi
organofosforici avevano effetti neurologici potenzialmente irreversibili sugli
animali da laboratorio. Sapeva anche che il clorpirifos poteva attraversare la
placenta umana ed entrare nel sangue fetale prima della nascita. Inoltre, come
mi ha spiegato recentemente nel suo ufficio che dà sul fiume Hudson, “ci sono
sostanze chimiche specificamente progettate per attaccare il sistema nervoso
dei mammiferi”.
La Rauh e i suoi
colleghi, che alla fine coinvolsero 725 madri afroamericane e dominicane e i
loro figli a New York, erano anche consapevoli, come la maggior parte dei
newyorchesi, che le donne dello studio della Columbia usavano la sostanza per
uccidere zecche, formiche e scarafaggi nelle loro case.
Come lei si aspettava, la squadra di ricerca trovò presto ampie prove di
esposizione al clorpirifos. Il novantanove per cento dei campioni di aria
prelevati dagli appartamenti dei soggetti risultarono positivi al clorpirifos, così come il 70
per cento dei campioni di sangue prelevati dalle madri e dai loro bambini.
Quello che la Rauh non si era aspettata era che il divieto dell’EPA all’uso
domestico del clorpirifos sarebbe entrato in vigore nel 2001, anche mentre la
squadra stava ingaggiando donne nello studio, determinando quasi immediatamente
il calo della sostanza chimica nei loro corpi. “Abbiamo questa magnifica slide
che mostra la discesa dei livelli di concentrazione appena dopo il divieto e
arrivati al 2006 quasi tutti i livelli erano non identificabili”, mi ha detto
la Rauh.
Questa casualità temporale divise in due la popolazione del suo studio:
bambini che erano nati prima del divieto e avevano livelli relativamente alti
di esposizione e quelli nati dopo, i cui livelli erano molto inferiori. Quando
i ricercatori della Columbia confrontarono i gruppi altrimenti indistinguibili,
riscontrarono chiare differenze. I bambini esposti a una quantità maggiore
della sostanza tendevano a essere più piccoli, ad avere riflessi più deboli, e a pesare meno. In
effetti i bambini con il livello più elevato di clorpirifos pesavano in media
mezza libbra di meno rispetto a quelli con i livelli più bassi.
Inoltre, anche se le esposizioni avevano avuto luogo prima della nascita, i
loro effetti sembravano durare per anni. La Rauh e i suoi colleghi continuarono
a seguire i bambini coinvolti nello studio e scoprirono che, all’età di tre
anni, quelli che avevano livelli più elevati di clorpirifos avevano più
probabilità di ritardi in termini di sviluppo sia motorio sia mentale. Le
differenze non erano sottili. I bambini del gruppo a maggiore esposizione
avevano una probabilità più di due volte superiore di essere mentalmente
ritardati; una probabilità più di cinque volte maggiore di
avere sintomi disturbi pervasivi dello sviluppo, una diagnosi successivamente
inclusa nello spettro della sindrome autistica; una probabilità più di sei
volte maggiore di avere sintomi di tipo ADHD e una probabilità più di 11 volte
maggiore di avere sintomi di altri disturbi dell’attenzione.
Da una presentazione di Virginia Rauh del Centro Per la Salute Ambientale
dei Bambini della Columbia University, basata su uno studio di 317 bambini di
New York. Ai bambini era stato chiesto di sottoporsi a un test motorio a mano
libera chiamato Spirale di Archimede. I bambini del gruppo con una maggiore
esposizione al clorpirifos avevano livelli maggiori di tremore clinicamente
significativo.
Nel frattempo anche la squadra di Berkely stava collegando l’esposizione al clorpirifos a
numerose conseguenze sullo sviluppo neurologico, come i ricercatori di entrambe
le squadre scoprirono quando si incontrarono a un congresso. Lo studio di
Berkeley, noto come CHAMACOS (da Center for the Health
Assessment of Mothers and Children of Salinas [Centro per la valutazione della
salute di madri e bambini di Salinas]) stava studiando donne e bambini delle
comunità agricole rurali della California. Le loro scoperte erano
considerevolmente simili a ciò che la Rauh aveva rilevato in un ambiente
urbano. Quando confrontati con i bambini con le esposizioni prenatali
inferiori, i bambini CHAMACOS che erano stati più esposti tendevano anche ad
avere quozienti d’intelligenza inferiori, funzioni cognitive minori, riflessi
anormali e un accresciuto rischio di problemi dell’attenzione.
E quando seguirono i bambini nel loro studio mentre crescevano, entrambe le
squadre scoprirono che gli effetti persistevano. All’età di 7 anni, i bambini
maggiormente esposti del campione della Rauh avevano quozienti d’intelligenza
inferiori e deficit della memoria di lavoro. La squadra di Berkeley scoprì
anche che l’esposizione agli organofosforici aveva considerevoli
effetti duraturi. Nel loro gruppo i bambini di 7 anni che avevano il
livello più elevato di esposizione ai pesticidi organofosforici, compreso il
clorpirifos, avevano quozienti d’intelligenza che erano sette punti più bassi
di quelli con l’esposizione inferiore.
I ricercatori del Mt. Sinai avevano risultati simili. In effetti i
risultati di tutti e tre i gruppi di scienziati che studiavano il clorpirifos
erano così simili che decisero di pubblicarli insieme. Ciascuno aveva scoperto
indipendentemente che il clorpirifos aveva effetti sullo sviluppo neurologico
dei bambini. Forse più sorprendentemente i ricercatori vedevano effetti a
livelli di clorpirifos inferiori a quelli che interferivano con la
colinesterasi. Nello studio della Rauh, il pesticida aveva effetti duraturi sul
cervello dei bambini a livelli venti volte inferiori al livello
considerato di sicurezza dall’EPA.
La Dow, che spesso si riferisce allo studio della Rauh definendolo
“controverso”, ha dissentito dalle sue rilevazioni precisamente perché mostrano
che possono avere effetti piccole quantità della sostanza chimica. Chlorpyrifos.com, un sito creato dalla
società, cita il fatto che le soglie dello studio della Columbia sono inferiori
a quelle di altri studi come uno dei motivi per cui gli effetti “non è
probabile siano stati causati dal clorpirifos”.
Gli studi della società,
che il sito descrive come “quarant’anni di ricerca animale di alta qualità”,
non cercavano i cambiamenti osservati dalla Rauh e non avrebbero potuto
individuarli perché erano condotti su animali. Né sarebbe stato etico esporre
deliberatamente esseri umani a livelli di clorpirifos alteranti il cervello.
Tuttavia, semplicemente utilizzando il pesticida nelle loro case le persone
erano esposte alla sostanza a questi livelli. Gli epidemiologi osservavano
cambiamenti che avevano luogo quando le persone incontravano il pesticida nella
loro vita quotidiana.
“Erano livelli di
esposizione relativamente modesti”, ha detto la Rauh. “Molte persone nel paese
continuano ad avere queste esposizioni”.
Zenaida Muñoz aveva
probabilmente esposizioni anche maggiori al clorpirifos quando era incinta del
suo bambino di otto anni, Alan. All’epoca la Muñoz viveva direttamente di là
dalla strada da una coltivazione di arance nella cittadina di Woodlake, nella
California centrale. La sua casa a un piano era a circa dieci metri dalle
piante. E quando il frutteto era irrorato, i fumi entravano attraverso le
finestre. Inoltre uno dei suoi modi preferiti per rilassarsi consisteva nel
passeggiare nel frutteto. Trascorse in questo modo gran parte del suo tempo
libero durante la gravidanza, girovagando lungo le file di alberi perfettamente
distanziati.
A volte nelle sue camminate l’odore delle sostanze chimiche era tanto forte
da darle la nausea. Ma all’epoca non le venne in mente che lei – o il bambino
che cresceva in lei – potessero subire effetti duraturi. “I pesticidi fanno
parte della vita qui, sono normali”, mi ha detto attraverso un interprete. E,
in effetti, sono i residenti delle comunità agricole come Woodlake che tendono
ad avere le esposizioni più alte. Un regista di documentari che recentemente ha
analizzato campioni di capelli di sei bambini in comunità agricole della
California ha scoperto che ciascuno era positivo ad almeno 50 pesticidi
diversi, compreso il clorpirifos. Oltre a essere esposti ai residui sulla
frutta e sulle verdure, com’è la gente di tutto il paese, hanno più probabilità
di inalare il clorpirifos portato dall’aria dopo le irrorazioni e di berne
piccole quantità che a volte filtrano nell’acqua potabile. Come tutti quelli
che vivono attorno alle griglie di campi che costituiscono gran parte della
California centrale, la Muñoz era abituata a vedere i lavoratori irrorare le
sostanze chimiche. E supponeva che se una sostanza era davvero pericolosa, ai
coltivatori non sarebbe stato permesso di utilizzarla.
Nei quattro anni da
quando ad Alan è stato diagnosticato l’autismo e l’ADHD, la Muñoz ha pensato
spesso a quelle passeggiate. A quel punto sapeva che suo figlio stava lottando
da molto. Alan è il suo secondo figlio e a solo otto mesi già sembrava più
irrequieto e difficile del suo primo. Correva in ogni occasione e sembrava non
fermarsi mai. Arrivato a quattro anni era chiaramente meno in grado di parlare
rispetto ai suoi coetanei. Aveva anche difficoltà a farsi degli amici. Le sue
molte frustrazioni portavano a improvvisi accessi.
La Muñoz, che si è
trasferita quattro anni fa nella vicina cittadina di Cutler, conosce altre
madri i cui figli hanno conseguenze sulla salute che ritengono collegate ai
pesticidi. Appartiene a un gruppo di 20 donne che si incontrano regolarmente
per occuparsi di problemi locali. Quattro di loro hanno bambini con problemi di
sviluppo neurologico, due hanno bambini con ADHD, e una madre ha descritto la
sua figlia di tre anni come “mentalmente ritardata e con altri problemi
cognitivi”.
Oggi incinta di un terzo
figlio la Muñoz cerca di evitare l’esposizione a pesticidi. Non è facile. Sta
il più possibile dentro case e ha smesso di fare le sue passeggiate attraverso
i frutteti. Ma la Muñoz continua a passarli ogni giorno quando porta Alan a
scuola. E anche mentre lotta, egli continua a rischiare l’esposizione a
pesticidi. La scuola di Alan, le elementari di Cutler, è a breve distanza dai
campi, come tutto a Cutler. L’attenta mappatura californiana delle località e
delle quantità di applicazioni di pesticidi ha mostrato che Alan è uno dei
500.000 bambini in California che frequenta una scuola a un quarto di miglio da
campi dove sono applicati “pesticidi che preoccupano per la salute pubblica”,
come il clorpirifos.
La documentazione
scientifica che il clorpirifos ha effetti a lungo termine sul cervello dei
bambini aveva raggiunto una massa critica nel 2007. Quell’anno, Earthjustice ha
citato in giudizio l’EPA per conto della Pesticide Action Network, del Natural
Resources Defense Council [rispettivamente, ‘Rete d’Intervento sui Pesticidi’ e
‘Comitato di Difesa delle Risorse Naturali’ – n.d.t.] e di gruppi di lavoratori
dei campi, chiedendo che considerasse gli effetti a lungo termine del
clorpirifos e vietasse la sostanza. Quella causa risultò essere la prima di
molte. L’EPA non intervenne, tuttavia, e così gruppi ambientalisti citarono di
nuovo l’agenzia nel 2010, sollecitandola a bloccare tutti gli utilizzi del
clorpirifos. Nel 2012, quando l’EPA non aveva ancora vietato il pesticida, i
gruppi avviarono una nuova causa, invano. E nel settembre del 2014, sette anni
dopo aver depositato la loro prima denuncia, i promotori hanno citato l’EPA per
la quarta volta, di nuovo chiedendo che l’agenzia revochi la sua approvazione
del clorpirifos.
Tali ritardi sono
purtroppo tipici del processo di eliminazione di pesticidi pericolosi dal
mercato, secondo Patti Goldman, un avvocato di Earthjustice che ha lavorato
alla causa sul clorpirifos. Parte del motivo del passo di lumaca, secondo la
Goldman, è l’influenza dei produttori di pesticidi.
“L’industria passa un
mucchio di tempo nelle sale dell’EPA a sollecitare l’agenzia a non fare nulla
fino a quando non sia assolutamente sicura”, ha detto la Goldman, che ha notato
un’accresciuta presenza della Dow in anni recenti. In effetti la Dow, una
multinazionale che ha avuto più di 48 miliardi di entrate nel 2015, ha uno stanziamento
per il lobbismo e la ricerca scientifica molto maggiore di quello delle
organizzazioni non a fini di lucro che rappresentano gli interessi della salute
di bambini e coltivatori. “Possono spendere un mucchio di soldi su tutto
questo”, ha detto la Goldman. “Noi semplicemente non abbiamo le risorse”.
Ciò nonostante, tre mesi
dopo l’ultima querela dei gruppi, nel dicembre 2014, l’EPA ha fatto ciò che
gruppi più piccoli avevano sollecitato per anni, riconoscendo i gradi rischi
posti dal clorpirifos al cervello in sviluppo. In una bozza della valutazione
del rischio completata a novembre, l’agenzia ha evidenziato il lavoro della
Rauh che mostra un’accresciuta probabilità di patologie dello sviluppo,
problemi dell’attenzione, perdita della memoria di lavoro, e deficit
dell’intelligenza in bambini esposti al pesticida nel periodo prenatale.
Tuttavia l’EPA non è passata a escludere il clorpirifos dal mercato.
Nell’agosto del 2015, dopo che l’EPA aveva richiesto ancora un’altra
dilazione prima di assumere una decisione finale, il tribunale che aveva
seguito la causa del clorpirifos ha raggiunto il limite della propria pazienza. Definendo “vergognoso” il ritardo nel
rispondere alla petizione del 2007 dei promotori, tre giudici del Nono Circuito
hanno dato all’EPA una scadenza ferrea per completare la sua decisione: 31
ottobre 2015.
In una risposta via email a domande del The Intercept un
portavoce dell’EPA ha affermato che il ritardo nel rispondere alla richiesta
dei gruppi era dovuto al fatto che la causa “ha sollevato numerose questioni
scientifiche nuove e complesse”, che hanno richiesto numerose revisioni
scientifiche. Tali revisioni, ha scritto il rappresentante dell’agenzia, “hanno
richiesto anni per essere completate, il che non è insolito nel caso di
problemi scientifici d’avanguardia”.
Tuttavia, pur con una
chiara scadenza fissata, l’EPA ha richiesto un’altra proroga. E, una volta
concessa, la lobby dell’agricoltura si è mossa per allungare ancor di più la
procedura. Nel luglio del 2016 quindici gruppi, l’American Sugarbeet Growers
Association, il National Potato Council, la National Corn Growers Association,
l’American Soybean Association e la CropLife America, un’associazione
commerciali agroindustriale i cui membri includono la Dow, hanno scritto al
tribunale. Anche se l’EPA aveva valutato il divieto del clorpirifos per almeno
nove anni, i gruppi hanno insistito che non era stato loro concesso “un tempo
nemmeno lontanamente sufficiente” per rispondere. La comparsa dell’industria ha
descritto l’EPA come “forzata ad accelerare il giudizio” e ha sostenuto che
l’agenzia aveva bisogno almeno di un altro anno oltre la scadenza attuale del
tribunale per condurre il suo lavoro scientifico.
A quel punto la Dow aveva arruolato Exponent, un gruppo scientifico a pagamento,
perché pubblicasse articoli che contestassero l’accumulo di
dati scientifici sul clorpirifos e sostenessero che non ci sono motivi
scientifici per modificare gli standard di sicurezza. Tuttavia, una volta
escluse tali pubblicazioni, la letteratura scientifica ha concordato in misura
schiacciante sui danni dei pesticidi organofosforici, compreso il clorpirifos.
Di 27 articoli pubblicati nel 2012, tutti
salvo uno hanno mostrato che i pesticidi organofosforici causavano “effetti
negativi” sul cervello dei bambini. E da allora numerosi altri, compreso lo
studio CHARGE, hanno aumentato i risultati. Tuttavia poiché l’EPA ha citato più
spesso il lavoro della Rauh nella sua decisione di procedere sul clorpirifos,
l’industria ha concentrato la sua attenzione sull’epidemiologa della Columbia,
passando al setaccio i suoi documenti e criticando la stessa ricercatrice.
Oltre a dissentire dalla sua concentrazione sugli esseri umani, la Dow ha
lamentato che la squadra della Columbia si è rifiutata di rendere pubblici i
propri dati. “I dati grezzi [della Rauh] non sono stati resi disponibili per un
esame indipendente da parte dell’EPA e di altre parti interessate, nonostante
molteplici richieste dell’agenzia agli autori dello studio, in occasioni
precedenti, di fornirli”, ha affermato la società su Chlorpyrifos.com.
La Dow ha mosso tale
accusa anche in commenti pubblici all’EPA e in documenti legali sottoposti al
tribunale. L’argomento cardine dell’industria è emerso in un’udienza di
febbraio sugli “impatti delle azioni dell’Agenzia della Protezione
dell’Ambiente sull’economia rurale”, quando il presidente della commissione, K.
Michael Conaway, ha detto di aver “sentito” che “i dati della ricerca [della
Rauh] possono non essere affidabili” e che la Columbia aveva “rifiutato di
fornire i dati grezzi all’EPA anche se l’EPA aveva fornito fondi per lo
studio”, secondo i suoi commenti preparati.
“Conduciamo la ricerca, pubblichiamo il lavoro, consegniamo i dati quando
ci è richiesto. Tutto è stato fatto correttamente”.
In risposta a domande di The Intercept per questo
articolo, la Dow AgroSciences ha affermato in una dichiarazione che la società
“dissente con forza dalla proposta dell’EPA di revocare le tolleranze del
clorpirifos”. La Dow ha anche affermato che “la proposta dell’EPA di revocare
tutte le tolleranze appare basata su uno studio epidemiologico non replicato
per il quale non stati forniti dati grezzi all’agenzia. La Dow AgroSciences ha
fiducia che utilizzi autorizzati di prodotti a base di clorpirifos offrano ampi
margini di protezione per la salute e la sicurezza umana, quando utilizzati
come indicato”.
Ma quando ho chiesto
alla stessa Rauh se avesse condiviso i suoi dati con l’EPA è apparsa avere
familiarità con l’accusa ed esserne perplessa. “E’ difficile da prendere sul
serio, perché non è vera”, ha detto la Rauh con un sospiro. “Noi conduciamo la
ricerca, pubblichiamo il lavoro, consegniamo i dati quando ci è richiesto.
Tutto è stato fatto correttamente”.
La Rauh ha affermato che
lei e altri ricercatori della sua squadra hanno avuto numerosi incontri con
funzionari dell’EPA. “L’EPA è stata invitata a ricevere i nostri dati. Non li
ha voluti. Non c’è controversia al riguardo. Li hanno visti, sono stati
presentati a loro molte, molte volte”. Quando ho chiesto se la Rauh si fosse
rifiutata di fornire i dati l’EPA ha rimandato a una nota inserita dall’agenzia
nella documentazione pubblica nel 2014 e che affermava che anche se l’agenzia
aveva inizialmente richiesto i dati grezzi al Centro della Columbia per la
Salute Ambientale dei Bambini e il centro “non aveva consentito a fornirli”, in
seguito “i ricercatori si sono incontrati con l’EPA e hanno discusso le domande
dell’agenzia riguardo ai dati per contribuire a stabilire se un’ulteriore esame
dei dati grezzi poteva assistere l’EPA nel risolvere incertezze. In conseguenza
di nuove informazioni raccolte in un incontro in sede e da altre fonti, l’EPA
non persegue più la richiesta dei dati analitici originali ai ricercatori del
CCCEH”.
La ricercatrice della
Columbia sa che il suo lavoro ha attirato le ire dell’industria. “Hanno un
esercito”, ha detto la Rauh dei molti scienziati assunti dalla Dow per
concentrarsi sul suo lavoro. Riceve email inquisitorie da loro ogni volta che
pubblica un documento, e li ha incontrati in riunioni, quando “la Dow ha riservato
la maggior parte della giornata alle sue obiezioni, cercando di creare delle
fratture”. Ma la Rauh sceglie di non coinvolgersi direttamente con i suoi
detrattori. Ha invece indicato le dozzine di studi oltre al suo che mostrano
collegamenti tra una precoce esposizione al clorpirifos e problemi di sviluppo
neurologico, segnalando: “Le prove aumentano e sono largamente coerenti”. Il
nuovo rapporto dell’EPA la sostiene, rilevando che con l’eccezione di due studi
negativi del 2015, “tutti gli altri autori di studi hanno identificato
associazioni significative con conseguenze sullo sviluppo neurologico”.
L’aggiunta recente forse
più impressionante alla conoscenza scientifica del clorpirifos è lo studio
CHARGE, cui ha partecipato Eva Galindo. Diretto dall’epidemiologa Irva
Herz-Picciotto CHARGE guarda sia ai fattori ambientali sia a quelli genetici
nello sviluppo dell’autismo e ha contribuito a stabilire collegamenti tra
l’autismo e l’assunzione di acido folico nonché condizioni metaboliche, quali
il diabete, l’obesità e l’ipertensione nelle madri.
Nel 2014 i ricercatori di CHARGE hanno aggiunto i pesticidi alla loro lista
di fattori ambientali collegati alla malattia con uno studio di 486 bambini con
autismo. Pubblicato su Enviromental Health
Perspectives nel 2014, il documento ha mostrato che i bambini nati da donne che
durante la gravidanza vivevano vicino a campi agricoli sui quali erano
applicati pesticidi hanno percentuali considerevolmente più elevate di autismo.
Numerosi
organofosforici, oltre al clorpirifos, sono stati associati ad accresciute
percentuali di autismo, così come lo è stato un altro gruppo di pesticidi
chiamati piretroidi. E anche altri tipi di ritardo nello sviluppo sono stati
associati ai pesticidi. Ma il collegamento tra autismo e clorpirifos è stato il
più forte. Mentre il tasso nazionale di autismo è oggi di uno su 68, per le
donne che hanno vissuto in prossimità di campi in cui è stato irrorato il clorpirifos
durante il loro secondo trimestre, la possibilità di avere un figlio con
autismo è stata di uno su 21.
Hertz-Picciotto,
arrivata al Mind Institute presso l’Università della California, Davis, nel
2001, è stata in grado di concentrarsi sul collegamento grazie ai dati
californiani sui casi sia di uso dei pesticidi, sia di autismo, che sono
entrambi i più dettagliati della nazione. Dopo aver identificato i bambini con
autismo ha interrogato le madri su dove vivevano durante la gravidanza e ha
combinato tali informazioni con i dati su dove avevano avuto luogo le
irrorazioni di pesticidi.
I suoi sforzi sono arrivati in un momento delicato. Poiché l’idea che i
vaccini causassero l’autismo era stata dapprima accanitamente dibattuta per poi
essere screditata durante l’ultimo decennio, il
pubblico ha finito per diffidare degli esperti che si concentrano su cause
ambientali dei problemi dello sviluppo. “C’è questa cultura nella scienza che favorisce
l’approccio più tecnologicamente avanzato a tutto il resto”, ha affermato la
Hertz-Picciotto. “A causa di questa rivoluzione molecolare, la genetica ha
assunto il posto centrale in grande misura. Se si guarda ai finanziamenti del
NIH [Istituto Nazionale della Sanità – n.d.t.] alla genetica rispetto ai
fattori ambientali, la proporzione è di venti a uno”. Ma la Hertz-Picciotto, il
cui precedente lavoro era stato concentrato sull’impatto del piombo sui
bambini, sente che è inutile mettere i fattori genetici e quelli ambientali gli
uni contro gli altri. Entrambi contribuiscono allo sviluppo della patologia in
misura all’incirca uguale, ha detto, e persino interagiscono. Numerosi studi,
ad esempio, hanno mostrato che particolari variazioni
genetiche aumentano la suscettibilità sia dei bambini sia degli
adulti al clorpirifors. E numerose situazioni genetiche e ambientali possono
contribuire a ciascun caso della malattia.
“Sospetto che ci siano
fattori multipli”, ha detto la Hertz-Picciotto. “Forse non assumere le vitamine
prenatali non determina il punto di rottura; crea solo la suscettibilità. Forse
la madre si era ammalata. Forse aveva avuto l’influenza. E anche ciò ha avuto
un impatto sulla migrazione delle cellule al posto giusto nel cervello. E poi
il cordone è stato bloccato troppo presto. C’è una certa misura di resilienza
nell’adattamento del corpo. Ma oltre un certo punto, l’adattabilità è
superata.”
L’esposizione al
clorpirifos è solo una delle situazioni che possono sommarsi nel causare
l’autismo. Ma diversamente dalla genetica individuale, è una situazione che può
essere cambiata facilmente. E’ in questo, dice la Hertz-Picciotto, l’attrattiva
dell’indagine delle cause ambientali dell’autismo. Anche se la ricerca genetica
ha maggiori probabilità di produrre cure per l’autismo, esplorare gli inneschi
ambientali della malattia può contribuire a prevenire casi futuri.
Jennifer e Patrick
Coleman hanno partecipato allo studio CHARGE proprio per tale motivo; perché
speravano che potesse impedire che altri bambini sviluppassero l’autismo e
potesse risparmiare ad altri genitori le difficoltà che la loro famiglia ha
sopportato. “Per noi è troppo tardi, noi abbiamo già il problema”, mi ha detto
Jennifer Coleman recentemente. Con “noi” la Coleman ha inteso i suoi due figli,
Jackson, dodicenne, e il suo fratellino Drake di sette anni.
Prendersi cura dei suoi
bambini è chiaramente più impegnativo in termini di tempo e di fatica di quanto
sarebbe se non avessero l’autismo. Drake ha anche l’ADHD e il comportamento dei
bambini può essere imprevedibile e irritante, le loro crisi frequenti e
intense.
“Tutto, come genitori, è
più difficile”, mi ha detto Jennifer seduti nel suo cortile ombroso a Modesto,
California. Entrambi i bambini in realtà stavano giocando tranquillamente in
quel momento, ma “altri genitori possono dire ai loro piccoli ‘Non fate questo’
e loro non lo faranno. Con i miei bambini succede tipo ‘Che cosa?’. Quando dici
‘Non fate questo’ i miei bambini lo faranno dodicimila volte di più.
Fare i genitori può
essere più emotivamente straziante in modi che è impossibile misurare. C’è la
tristezza di Patrick Coleman per il fatto che Jackson non potrà mai entrare
negli scout, ad esempio, o la sua paura che la turbolenza di Drake alla fine lo
faccia finire in carcere. Persino la prospettiva di dire a Jackson la verità su
Babbo Natale ha gettato i suoi genitori in un terrore che la maggior parte dei
genitori dei bambini neurologicamente normali non proveranno mai. Lui ci crede
“dalla A alla Z”, nelle parole di sua madre, e loro temono che egli considererà
i loro anni di disinformazione un tradimento imperdonabile.
In realtà, anche se è un
bambino che prende tutto alla lettera, Jackson ha anche una sensibilità
squisita. Dopo aver recentemente subito prepotenze a scuola da bambini che lo
trovano strano, Jackson ha detto a sua madre in tono pratico che voleva morire.
Jennifer Coleman è stata in grado di trasferire suo figlio in un’altra classe e
adesso lo vede più felice. Ma sa che entrambi i suoi figli continueranno a
lottare – e che c’è poco che lei possa fare, a parte essere una madre quanto
più possibile amorevole e paziente – e partecipare alla ricerca potrebbe
risparmiare ad altri bambini e genitori lo stesso destino.
L’EPA, d’altro canto, ha il potere di vietare il clorpirifos. Per legge
all’agenzia è richiesto di rivalutare regolarmente i pesticidi per assicurare
che continuino a soddisfare lo standard di sicurezza di non causare “alcun effetto avverso”. E nel suo modo di una
lentezza che fa infuriare l’agenzia ha fatto ciò che doveva fare. Il rapporto
dell’EPA del 10 novembre ha dimostrato che nonostante le intense pressioni
dell’industria l’agenzia ha finito per considerare i pericoli del clorpirifos
un dato scientifico consolidato. Stava per agire e se le elezioni fossero
andate diversamente – o se l’EPA non avesse richiesto la sua finale proroga
della sua scadenza – anche la direttiva avrebbe potuto essere consolidata.
Invece l’industria chimica ha rinnovato i suoi sforzi per far deragliare la
disciplina proposta. Il 29 novembre CropLife America ha lanciato un’iniziativa di ultima istanza per
bloccare il divieto. Il gruppo industriale ha presentato una petizione al capo dell’ufficio dei
programmi sui pesticidi perché “sospenda la decisione sulla disciplina” del
clorpirifos fino a quando non abbia sviluppato entrambi gli standard “per
l’accettazione degli studi epidemiologici sulla valutazione dei rischi per la
salute umana”, un processo che potrebbe facilmente richiedere molti anni.
Il disprezzo di Donald Trump per la scienza e il suo abbraccio di idee diffusamente screditate, compresa la
teoria che i vaccini causino l’autismo, ha a lungo terrorizzato la comunità scientifica. Per
quelli che lavorano sul clorpirifos tale terrore è a volte accompagnato da un
senso di destabilizzazione. “Ci chiediamo tutti che cosa succederà dopo”, ha
detto Nathan Donley, scienziato capo al Centro per la Diversità Biologica, che
ha studiato il clorpirifos. “E’ questo che mi tiene sveglio la notte”.
Donley mi ha detto di
pensare che l’industria potrebbe essere stata rimbaldanzita da Trump. Ed è
facile capire perché potrebbe esserlo. Nei primi mesi dall’elezione Trump ha
rafforzato la sua fedeltà all’industria in generale e alla Dow in particolare.
Mike McKenna, un lobbista della Dow, è stato uno dei primi a entrare nella sua
squadra della transizione e Myron Ebell, un nemico della disciplina della
chimica che ha ricevuto fondi dalla Dow, ha sovrinteso al personale della nuova
EPA. A dicembre Trump ha nominato l’amministratore delegato della Dow, Andrew
Liveris, a capo dell’American Manufacturing Council, un comitato del settore
privato che consiglia il segretario al commercio. Al tempo stesso Scott Pruitt,
la scelta di Trump per dirigere l’EPA, è un nemico giurato della disciplina
dell’ambiente.
La Dow è già riuscita a rallentare
la procedura di disciplina del clorpirifos facendola virtualmente arrancare
negli ultimi decenni. Un processo che è stato neutralizzato da almeno due
amministrazioni precedenti potrebbe finalmente riuscire sotto Trump?
Alcuni sostenitori di
lungo corso sono inclini a sperare che la disciplina in sospeso sia arrivata
troppo in là perché la nuova amministrazione la blocchi. Ignorare la montagna
di prove scientifiche sarebbe una mossa troppo vergognosa persino per Trump,
secondo Patti Goldman, l’avvocatessa di Earthjustice che ha lavorato per più di
vent’anni per proteggere il pubblico dagli effetti del clorpirifos.
Anche se è un amico
spudorato dell’industria chimica, il presidente eletto non vorrà
necessariamente essere un nemico dei bambini, ha detto la Goldman. E scegliere
di ignorare una ricerca diffusamente accettata che dimostra che una sostanza
chimica danneggia il cervello dei bambini lo renderebbe esattamente tale.
“Confrontarsi con il danno cerebrale nei bambini”, ha predetto, sarebbe “un disastro
d’immagine”.
E poi c’è la questione
della legge. Le chiare istruzioni del tribunale all’EPA di pubblicare la sua
normativa finale sul clorpirifos sarebbe estremamente difficile da sfidare, ha
detto Kristin Schafer, direttrice delle politiche della Pesticide Action
Network. “Questa è una scadenza legale”.
Ma la società ha numerosi modi potenziali per aggirare la norma senza
sfidare tecnicamente la legge. La Dow ne ha recentemente anticipato uno in un comunicato stampa diffuso nel giorno in
cui l’EPA ha annunciato il proposto divieto. “Il tribunale ha ordinato all’EPA
di prendere la sua decisione finale sulla petizione entro il 31 marzo 2017, ma
non ha specificato quale debba essere tale decisione”, ha spiegato la Dow.
“L’EPA può rigettare la petizione e mantenere tutte le tolleranze, il che
sarebbe coerente con la scienza e consentirebbe all’agenzia di completare il
suo esame della registrazione e di affrontare le proprie preoccupazioni residue
procedendo con ordine”. In altre parole l’EPA potrebbe promulgare una norma
che, nonostante l’evidenza, dichiari il clorpirifos sicuro per l’uso, piuttosto
che andare avanti con il divieto. Oppure il Congresso potrebbe redigere una
legge che in qualche modo dia respiro al prodotto neurotossico della Dow.
La Dow ha lavorato a scappatoie dall’EPA almeno dal 2014, quando la società
ha assunto il lobbista James Callan per lavorare
alle “iniziative federali di disciplina per mantenere le tolleranze per
l’insetticida clorpirifos”. La società ha versato a Callan 140.000 dollari
negli ultimi due anni, secondo dati sul lobbismo.
Solo due anni fa, quando Callan ha iniziato a lavorare sul clorpirifos,
queste strategie sarebbero parse sogni impossibili. All’epoca l’opzione
migliore per la società – in realtà l’unica opzione – era la dilazione. Pur se
una strategia preferita dall’industria
chimica, non era chiaro se l’iniziativa di stallo sul clorpirifos avrebbe prodotto
altro che una proroga del periodo in cui la società poteva trarre vantaggio dal
suo prodotto prima di un inevitabile divieto.
Dopo la frustata del
risultato elettorale, tuttavia, è chiaro che la puntata della Dow su una
proroga può offrire molto di più, non solo escludendo temporaneamente un
divieto del clorpirifos, ma potenzialmente riportando indietro di anni il
processo basato sulla scienza.
La Dow ha fatto del suo
meglio per quantificare i vantaggi del suo prodotto che, assieme ad altri
pesticidi, aiuta “i coltivatori statunitensi a produrre 144 miliardi di libbre
di cibo, foraggio e fibre aggiuntive e a percepire 22,9 miliardi di dollari di
aumenti del reddito agricolo”, secondo chlorpirifos.com. Ma anche il costo di
continuare a usare la tossina sul nostro cibo può essere misurato. Ogni
giorno in cui il clorpirifos è impiegato, più bambini saranno esposti; e più
cervelli alterati dalla sostanza chimica. Il più grande dei bambini dello
studio della Rauh ha oggi 18 anni. E, mentre crescono, lei apprende di più su
come i loro cervelli sono differenti. Recentemente ha fatto una TAC ai cervelli
di venti dei bambini del suo studio e ha rilevato differenze strutturali in
quelli che erano stati esposti maggiormente. Questi bambini tendono anche ad
avere tremori e la Rauh sta ora studiando se hanno maggiori probabilità di
sviluppare sintomi di parkinsonismo entrando nella tarda adolescenza e nell’età
adulta.
Numerosi scienziati hanno tentato di stimare il costo della “silenziosa pandemia della neurotossicità”
conseguente a questa e ad altre esposizioni a sostanze tossiche. Gli scienziati
del TENDR hanno osservato che le sostanze chimiche, compreso il clorpirifos,
hanno già contribuito a “un’allarmante aumento dei problemi comportamentali e
di apprendimento dei bambini”. Uno stimato 10 per cento dei bambini
statunitensi ha oggi diagnosi di ADHD e un bambino statunitense su 68 è
diagnosticato di problemi dello spettro dell’autismo, con un aumento del 17 per
cento nell’ultimo decennio.
David Bellinger, un
ricercatore della Harvard Medical School ha individuato la quota in un altro
modo, stimando che l’esposizione a pesticidi organofosforici, compreso il
clorpirifos, è costato ai bambini statunitensi quasi 17 milioni di punti di
quoziente d’intelligenza. In Europa ricercatori hanno persino tentato di dare
un prezzo ai problemi di sviluppo neurologico causati ogni anno dal clorpirifos
e da altri pesticidi: 120 miliardi di euro, o 126 miliardi di dollari.
Anche se i bambini delle
comunità agricole subiscono le dosi maggiori di clorpirifos, la gente di tutto
il paese è esposta a quantità potenzialmente pericolose della sostanza
attraverso il cibo. Anche se non è esattamente chiara la quantità di residui
del pesticida che può alterare lo sviluppo cerebrale, tutti i ricercatori con i
quali ho parlato consigliano alle donne incinte e ai bambini piccoli di
mangiare frutta e verdura biologiche.
Non è diversa la
strategia di Zenaida Muñoz, che si è segregata nella sua casa a due camere di
Cutler, California, nel corso della sua gravidanza. Dopo aver fatto i conti con
lo shock di sapere che il clorpirifos poteva essere utilizzato anche se è noto
che danneggia il cervello dei bambini, la Muñoz ha fatto il possibile per
proteggere la sua famiglia in crescita. Non possono permettersi di acquistare
biologico. Così lei spera che le sue tende tirate e le sue porte chiuse la
proteggeranno; e sta aspettando che il governo faccia qualcosa riguardo al
pesticida che è tutto attorno a lei.
Questo articolo è stato scritto in collaborazione con il Fondo d’Inchiesta
del Nation Institute.
Da ZNetitaly – Lo
spirito della resistenza è vivo
Originale: The Intercept
traduzione di Giuseppe
Volpe
Traduzione
© 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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