Affrontare la questione animale in termini di eguaglianza
Kafka, con alcuni suoi scritti, ci insegna che non esiste una verità assoluta, come non vi è una giustizia incondizionata o una coscienza universale né, tantomeno, un’etica suprema.
Esiste una visione antropocentrica di tutto questo,
dove limiti e criteri vengono delineati a misura d’uomo.
Nel tentativo di analizzare, senza un fine ultimo, il
rapporto uomo/animale non umano, vorrei portare l’attenzione su di un’opera che
poco si annovera tra i testi presi ad esempio per perpetrare la lotta
animalista. Si tratta de la Relazione per l’Accademia di Franz Kafka.
Il racconto
In questo breve racconto il personaggio principale è
una scimmia antropomorfa.
Sarà lei a narrare in prima persona la sua storia, a
raccontarci come la sua vita è cambiata, da animale allo stato brado a relatore
accademico.
In questa novella, quasi grottesca, Kafka cerca di
farci vivere la condizione animale dal punto di vista dello scimpanzé, portando
alla luce alcune riflessioni sulle quali varrebbe la pena soffermarsi.
“Una piena rinuncia ad ogni ostinazione è stato il primo comandamento
che mi sono imposto”.
Quanti di noi hanno mai pensato a che cosa abbia
dovuto rinunciare il nostro animaletto di casa, per poterci permettere una
sorta di convivenza?
A onor del vero, per quanto possa esistere il vero, va
detto che tale rinuncia viene fatta con un fine pacifico, uno scambio di oneri
e onori dove entrambe le parti ne traggono benefici.
Ma Kafka porta questa realtà in uno scenario
completamente differente, dove la rinuncia è assoluta, la sofferenza la fa da
padrona, dove la morte è il fine ultimo bramata come liberazione da un incubo
senza fine.
Angoscia, terrore, panico. La sensazione atroce di
sentirsi in trappola senza nessuna via di fuga, costretti a vivere un’esistenza
che non gli appartiene. Ecco come vivono gli animali negli allevamenti e nei
circhi, per non parlare degli stabulari dove la sedazione necessaria per
riuscire a manipolarli.
“E così smisi di essere una scimmia, una linea di pensiero chiara e
bella che devo avere in qualche modo covato in pancia, dato che le scimmie
pensano con la pancia”.
Darwin e le
emozioni negli animali
Il primo a considerare la questione delle emozioni
negli animali fu Darwin. Ne “L’espressioni
delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872)” sosteneva che le espressioni
delle emozioni negli esseri umani trova il suo equivalente nel comportamento di
altre specie.
Ricerche recenti confermano quanto sostenuto dal
biologo naturalista 150 anni fa e diversi studi mostrano che le emozioni
manifestate nelle varie attività della vita animale sono simili alle nostre.
Durante il gioco, ad esempio, viene rilasciata una notevole quantità di
dopamina, un neurotrasmettitore la cui presenza è legata alla sfera del
piacere.
“Temo di non essere capito quando parlo di via
d’uscita. Uso questo termine nel suo senso più completo ed abituale, è con intenzione
che non dico libertà”.
La coscienza animale
Affrontare la questione della coscienza, nel mondo
animale è parecchio complicato e le tesi in merito sono spesso in disaccordo.
Credo ad ogni modo che un breve cenno sia doveroso.
Parlando di coscienza animale si fa riferimento ad una
coscienza primaria per, ovviamente, e non a quella superiore tipica dell’uomo.
Per coscienza primaria si intendono gli stati
soggettivi ed interiori di un individuo, relativi alla consapevolezza e
all’esperienza del sentire, a cui corrispondono diverse modalità di percezione
del dolore e del piacere.
In quest’ottica quindi si può affermare che anche gli
animali sono dotati di coscienza, se pure differente da quella umana.
“Avrei dovuto, prima o poi, trovare una via d’uscita
se volevo vivere, ma che tale via d’uscita non si raggiungeva con la fuga”.
Ecco, dunque, a cosa debbono fare fronte le altre
specie quando devono confrontarsi con noi, quando, per un qualsiasi motivo si
trovano a doversi relazionare con l’uomo.
Sopravvivere all’essere umano
Per sopravvivere hanno bisogno di una via d’uscita che
non può avvenire con una fuga (visto e considerato che dominiamo l’intero
mondo) e che non potrà mai essere chiamata libertà.
“Ah si impara bene quando si è obbligati, si impara
quando si vuol trovare una via d’uscita, si impara senza riguardi per nessuno”.
Per concludere vorrei usare una frase di Victor Hugo,
magari un po’ troppo poetica, ma credo necessaria per fare capire il fine di
questo articolo.
“Fissa il tuo cane negli occhi e tenta ancora di affermare che gli animali non hanno un anima”.
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