Il sangue blu ereditato dai rom aristocratici di Budrea e dai nobili
alcolisti di Ghelmegioaia – il cui pallore era ampiamente compensato dal
razzismo – mi è sempre stato di grande aiuto.
La prima volta che mi sono reso conto dei vantaggi delle mie eclettiche
origini è stato intorno all’età di dieci anni. Mi era stato affidato il compito
di andare alla ricerca di mio padre, il quale non era affatto una persona
imprevedibile. Così l’ho rintracciato in un baleno: dibatteva di complicati
problemi filosofici sulle origini della signora Viorica, la diabolica padrona
dell’osteria Alla cagna tramortita.
Sono riuscito a convincerlo a tornare insieme a casa solo dopo grandi
sforzi, visto che non aveva ancora finito i soldi e nella bettola – Dio sia
lodato! – di roba da bere ce n’era in abbondanza. L’impegno profuso
nell’approfondita valutazione della qualità dell’acquavite e le sette birre già
trangugiate stavano cominciando a far sentire le loro conseguenze negative
sulla stabilità di mio padre. Il risultato è che al suo secondo inciampo siamo
ruzzolati entrambi per terra, e in qualche modo io gli sono caracollato sopra.
Dopo una bestemmia liberatoria, mio padre si è ricordato del portafogli. E io
mi sono subito messo a cercarlo nelle sue tasche.
Un piano preciso
All’improvviso, però, mi è piombata addosso una bella scudisciata, seguita da un robusto calcio nel sedere e da un fiume di invettive contro gli zingari. Due persone “per bene” hanno pensato che io – cioè il ragazzetto dalla pelle scura – stessi cercando di derubare il loro compatriota bianco e biondo, chissà perché ridotto allo stremo delle forze. La solidarietà tra ubriaconi era probabilmente la più radicata caratteristica sociale e culturale del quartiere dove abitavamo, a Craiova.
All’improvviso, però, mi è piombata addosso una bella scudisciata, seguita da un robusto calcio nel sedere e da un fiume di invettive contro gli zingari. Due persone “per bene” hanno pensato che io – cioè il ragazzetto dalla pelle scura – stessi cercando di derubare il loro compatriota bianco e biondo, chissà perché ridotto allo stremo delle forze. La solidarietà tra ubriaconi era probabilmente la più radicata caratteristica sociale e culturale del quartiere dove abitavamo, a Craiova.
Alla fine mio padre è riuscito a spiegare ai due, per la loro disgustata
incredulità, che ero suo figlio. Tempo cinque minuti, stavo per prenderle di
nuovo, questa volta da due adolescenti rom che avevano visto la scena e
pensavano di poter approfittare della situazione. L’abbiamo scampata grazie
all’aiuto del nostro postino, che gli ha urlato contro nella lingua degli
zingari.
Le botte hanno rappresentato una parte estremamente importante della mia
infanzia. Oggi tendo a credere che Dio, soprattutto tramite la devota mano di
mia madre, avesse per me un piano preciso: farmi diventare il Rocky Balboa
della famiglia. Il caso, però, ha voluto che avessi una mandibola fragile, una
struttura ossea piuttosto gracile e una velocità di movimento molto superiore
alla media, alimentata principalmente dall’esigenza di darmela a gambe di
fronte alla prospettiva dei litigi che rischiavano di finire a botte.
Per puro caso ho capito che, per sfuggire alle punizioni di mia madre,
dovevo introdurre un elemento di sorpresa prima che lei impugnasse il
mattarello. Mio padre, invece, non aveva né la prontezza né la concentrazione
necessaria per scatenarsi contro di me, motivo per cui mi sono sempre
concentrato sullo studio della psicologia femminile.
I pettegolezzi del condominio – soprattutto quelli che riguardavano le
comari Condoiu e Antoci, nemiche giurate di mia madre – erano precisi e
attendibili, così come le rivelazioni sui posti dove mio padre nascondeva gli
alcolici e sulle ultime conquiste amorose di zio Gogu.
Sul lungo periodo, il tempo investito per specializzarmi nel dirottare le
discussioni potenzialmente capaci di scatenare conflitti ha avuto per me
conseguenze inaspettatamente benefiche.
Colori matrimoniali
Sempre negli stessi anni, mia sorella si è sposata. Il matrimonio è stato parecchio divertente. Mio padre non ha tradito le nostre aspettative e si è sbronzato già di prima mattina, ma ha resistito eroicamente fino alla fine della festa. Mia madre, invece, si era cucita da sola un vestito di un azzurro splendente, scelto forse per far dispetto a mio padre.
Sempre negli stessi anni, mia sorella si è sposata. Il matrimonio è stato parecchio divertente. Mio padre non ha tradito le nostre aspettative e si è sbronzato già di prima mattina, ma ha resistito eroicamente fino alla fine della festa. Mia madre, invece, si era cucita da sola un vestito di un azzurro splendente, scelto forse per far dispetto a mio padre.
Ricordo che allora ho riflettuto sulla sua scelta, immaginando nella mia
testa che, se si fosse usato quel colore nei semafori, nessuno avrebbe potuto
azzardarsi a dire di non averlo notato. Ho anche confidato la mia riflessione a
mia madre, la quale ha reagito tirandomi addosso la paletta per raccogliere la
spazzatura. L’idea che il dono dell’umorismo e la capacità di accettare
critiche sul look non fossero le doti principali della parte femminile del ramo
aristocratico dei Budrea è stata in seguito confermata dalla scodella di
minestra che Geta mi ha scagliato contro quando ho osato farle notare che la sua
pelliccia avrebbe suscitato l’invidia di tutta la comunità dei ratti di Balta
Sărată.
Con mio grande stupore, l’abito di mia madre ha ricevuto molteplici
apprezzamenti dagli altri convitati e, soprattutto, dalle donne, tutte vestite
per non far sfigurare la bellezza e l’eleganza di mia sorella.
Il matrimonio di mio fratello è stato addirittura più spettacolare. Non ho
ancora capito se le sarte di Craiova fossero specializzate nella produzione di
paralumi per il campionato mondiale di kitsch oppure se ero io a non
comprendere la loro eleganza. Dopo la festa, tutti i miei compagni di scuola mi
hanno chiesto ragguagli sul menù, aspetto particolarmente rilevante nella
Romania degli anni ottanta, quando tutti avevamo perennemente fame. Gli ho
raccontato che c’erano abat-jour ripiene di involtini e ortaggi in salamoia
alcolica: una descrizione elegante e allo stesso tempo realistica delle coppie
invitate. Vado ancora fiero di questa battuta, neanche avessi tredici anni.
Dopo i due matrimoni, mia madre avrà usato il suo abito azzurro per fare
altri vestiti almeno una decina di volte. Doveva mantenere una famiglia insieme
a un alcolizzato, una famiglia che contava anche qualche parente molto povero e
che senza di lei sarebbe morto di fame. Alla fine l’ha perfino trasformato in
un abito da lavoro. Per fortuna a me ha risparmiato pantaloni o camicie fatti
con quella stoffa lucente, nonostante la sua passione per l’attività sartoriale
e la convinzione che la macchina da cucire di casa dovesse essere costantemente
in azione. Ancora oggi, in preda ai suoi tipici attacchi di laboriosità, mia
madre continua a confezionare biancheria ricamata da corredo di cui certi
cantanti di manele andrebbero sicuramente molto fieri.
(Traduzione di Michaela Topala)
Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale romeno Dilema Veche.
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