Il Comitato
“Spostiamo la statua di Carlo Felice” prosegue e intensifica la sua iniziativa
per far sloggiare i sabaudi dalle Vie, le Piazze e le Strade della Sardegna.
Incoraggiato e sollecitato in ciò dalle recenti decisioni di molte
Amministrazioni Comunali (Mamoiada, Scano Montiferro, Tula, Dorgali,
Ussaramanna ecc.), che hanno deciso o stanno deliberando di rivedere la
toponomastica dei loro paesi.
Ed anche allibito da posizioni, incredibili e paradossali, come quella
del Soprintendente all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province
di Sassari e Nuoro, che si è opposto alla decisione dell’Amministrazione
comunale di Bonorva di dedicare la Via ora intitolata a Margherita di Savoia,
alla memoria di Virgilio Tetti, studioso, ex sindaco del paese e cittadini
illustre.
Le motivazioni? Si stravolgerebbe un presunto equilibrio toponomastico e
urbanistico basato sul fatto che i nomi di “re e regina agli estremi opposti
della rete viaria, con la chiesa di mezzo, e in prosecuzione una via intitolata
al figlio”. Con cui si sarebbe dimostrata la “chiara volontà di
rappresentare, in concreto sul piano urbanistico, i due poteri di riferimento,
quello politico e quello religioso, lo Stato e la Chiesa”.
Bene. Ma chi può riferire al Soprintendente Professor Bruno Billeci
che siamo in uno Stato repubblicano, fin dal 1946? E per di più laico? E quindi
parlare di equilibrio urbanistico, fra Monarchia e Chiesa è per lo meno fuori luogo
e fuori tempo massimo?
E ancora: chi può rammentare al Soprintendente che siamo nel 2019 e “il
potere” di opporsi alla volontà popolare degli abitanti di Bonorva gli deriva
dal Regio Decreto n° 1158 del 1923, firmato da Vittorio Emanuele III. (alias Sciaboletta),
figlio della Margherita di Savoia di cui si chiede la rimozione della Via a lei
dedicata?
Di contro, fortunatamente, anche sul versante istituzionale e politico iniziano a farsi strada posizioni totalmente diverse. E’ il caso di Quirico Sanna, assessore regionale all’Urbanistica, che con un post su Facebook lancia questa proposta: “La strada statale 131 che collega Cagliari con Sassari? È dedicata a un criminale piemontese. Penso sia giunta l’ora di dedicarla ad Eleonora D’Arborea”.
Di contro, fortunatamente, anche sul versante istituzionale e politico iniziano a farsi strada posizioni totalmente diverse. E’ il caso di Quirico Sanna, assessore regionale all’Urbanistica, che con un post su Facebook lancia questa proposta: “La strada statale 131 che collega Cagliari con Sassari? È dedicata a un criminale piemontese. Penso sia giunta l’ora di dedicarla ad Eleonora D’Arborea”.
Molto bene. Proposta sensata e opportuna. Come Comitato “Spostiamo la
statua di Carlo Felice” (con Giuseppe Melis, Antonello Gregorini, Damiano
Sassu, Valeria Casula e altri) lo proponiamo da anni: anche se preferiremmo
Giovanni Maria Angioy al posto del despota sabaudo.
Ma non è questione di primogeniture né di nomi. E’ invece importante che
sia un politico e amministratore regionale a porre la questione di far
“sloggiare” il tiranno sabaudo.
E nessuno pensi che quel giudizio su Carlo feroce “criminale piemontese”
sia esagerato ed enfatico.
Egli infatti, il peggiore fra i sovrani sabaudi, da vicerè come da re fu
crudele, incainadu (feroce), famelico, gaudente e tostorrudu (ottuso).
Più ottuso e reazionario d’ogni altro principe, oltre che gaudente
parassita, gretto come la sua amministrazione, lo definisce lo storico sardo
Raimondo Carta Raspi.
Mentre Pietro Martini, il fondatore della storiografia sarda, pur filo
monarchico e filo sabaudo scrive di lui: ”Non sì tosto il governo passò in mani
del duca del Genevese, la reazione levò più che per lo innanzi la testa; cosicché
i mesi che seguirono furono tempo di diffidenza, di allarme, di terrore
pubblico”.
Bene. Possiamo noi continuare a dedicare e intitolare la Strada principale
della Sardegna a simil personaggio?
Le Vie, le Strade, le Piazze e le Statue si dedicano a personaggi,
positivi, illustri, che rappresentino la memoria storica di una Comunità,: per
quello che hanno realizzato e fatto per la stessa.
Non si dedicano ai loro carnefici. Ai loro oppressori.
Continuare a tenerci i tiranni sabaudi nella nostra toponomastica,
significa perpetuare il loro dominio simbolico: riconoscere loro una permanente
presenza storica, come fossero stati nostri benefattori e non despoti,
oppressori e sanguinari. Che in tal modo continuerebbero a “segnare” a
“marchiare” il nostro territorio, facendola, loro da padroni e dominus e noi da
sudditi, vassalli subalterni e servi.
Per 226 anni ci hanno represso e sfruttato:”La Sardegna fu sempre trattata
con modi indegni dal Governo, sistematicamente negletta, poi calunniata,
bisogna dirlo altamente” (Mazzini).
Ci hanno riempito di contumelie e insulti: “Popoli sardi nemici della
fatica, feroci e dediti al vizio” (Alessandro Doria del Maro, vice re negli
anni 1724-26) .
Hanno tentato di distruggere la nostra civiltà ed economia comunitaria
(Legge delle chiudende in primis); di estirpare la lingua sarda, disprezzata,
proibita e criminalizzata (Carlo Baudi di Vesme nell’opera Considerazioni politiche
ed economiche sulla Sardegna, scrive che era severamente proibito l’uso
del dialetto (sic!) sardo e si prescriveva quello della lingua italiana anche
per incivilire alquanto quella nazione!).
E noi dovremmo continuare a omaggiarli? Permettendo che continuino a
campeggiare nelle nostre Strade e Piazze? Come eroi?
Quirico Sanna: metti in atto quanto hai detto. I sardi liberi non potranno
che sostenerti in questa opera di affermazione e risveglio identitario e di
ristabilimento, con un minimo di decenza, della verità storica.
“De sa
crudelidade veru mastru
e de s’ infamidade mannu atore,
dae totu reconnotu un’ impiastru
beru sovranu ‘e morte e de dolore.
Ponimus unu fundu de otzastru
in logu de s’istadua ‘e disonore,
e gai totu sos chi ant a benner Narant:
“bella Casteddu e piata Yenne”
(Ottava del poeta pattadese Lussorio Cambiganu)
e de s’ infamidade mannu atore,
dae totu reconnotu un’ impiastru
beru sovranu ‘e morte e de dolore.
Ponimus unu fundu de otzastru
in logu de s’istadua ‘e disonore,
e gai totu sos chi ant a benner Narant:
“bella Casteddu e piata Yenne”
(Ottava del poeta pattadese Lussorio Cambiganu)
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