Dove non c’è ricchezza non c’è neppure povertà. Detto così sembra banale e
persino irritante. Uno dei tanti proverbi della tradizione Tswana, nell’Africa
del Sud, ripreso a suo tempo da Gilbert Rist, autore critico dello sviluppo che
diventa un mito occidentale. Dove
non c’è ricchezza non c’è neppure povertà. Entrambe sono realtà e concetti
relativi, ognuno a suo modo, e solo insieme si possono cogliere, interpretare e
rendere pericolosi.
Un recente rapporto del Crisis Group (Gruppo
sulle Crisi), riferendosi al Sahel, faceva riferimento ad un grande filone d’oro che lo attraversa da
Est ad Ovest. Senza particolare sorpresa, rileva il rapporto in
questione, i gruppi armati terroristi ne hanno fatto una delle fonti di
finanziamento privilegiato per le loro attività ‘commerciali’ in vite umane.
Hanno capito molto bene come funziona il Sistema e come si organizzano le
guerre. Manipolando lo spirito umano, si può trasformare l’altro in nemico, sfruttatore,
furfante, sacrilego, idolatra, insetto, simbolo da eliminare o indegno di
vivere sullo stesso suolo. Alla base della giustificazione e della continuità
delle guerre, nel Sahel e altrove, c’è il detto di cui sopra. Il resto non sono
che abbellimenti religiosi o ideologici. Dove non c’è ricchezza non c’è neppure
povertà, recita il proverbio.
In un giornale bisettimanale indipendente della
capitale Niamey, si legge in prima pagina che al Ministero delle Difesa è in atto un concerto di ‘pentole’.
L’articolo ricorda che, di fronte al faraonico bilancio destinato alla difesa
del territorio, rimane la sconcertante domanda sull’uso che si è fatto di
questi miliardi. Si parla di fatturazioni esagerate e probabilmente
di fondi che hanno preso cammini diversi da quelli previsti dall’uso
originario. Dove non c’è ricchezza non c’è neppure povertà, ripete a menadito
il proverbio che destabilizza l’ordine neoliberale che su questo si basa.
Basta osservare lo spettacolo offerto dal recente Forum sulla pace di
Parigi, promossa da Emmanuel Macron, che appare grande solo perchè trova gli
altri in ginocchio. Nell’apertura
dell’incontro, l’attuale segretario generale delle Nazioni Unite, elencava
le sfide di cinque rischi globali. Il pericolo di una frattura economica,
tecnologica e geostrategica che crea fessure nel contratto sociale e nella
solidarietà. Antonio Guterres
ricorda che ‘la paura dello straniero è utilizzata per fini politici’.
‘L’intolleranza e l’odio si banalizzano e le persone che hanno perduto tutto
sono designate come la causa di tutti i mali’, ripete il Segretario.
Dove c’è ricchezza c’è soprattutto povertà.
Lo sanno bene i rifugiati, gli sfollati, i
migranti economici, climatici, sociali, politici, religiosi e in generale i
nomadi, gli acrobati, gli spacciatori di utopie e i mercanti di polvere e di
dune del deserto. Lo sanno i negozianti di bazar informali che il vanto di
città pulite allontanano dal centro, salvo riapparire la settimana seguente
poco lontano. Lo sanno bene i
politici che su questo fondano la continuità nel potere. Lo sanno gli
intellettuali che hanno venduto la parola ai trafficanti di non verità. Lo
sanno i giovani ai quali l’amputazione del futuro non potrà mai essere
compensata. Lo sanno le donne che
tessono ogni giorno l’unica rivoluzione finora riuscita. Lo sanno i
bambini che, profittando del vento, inventano aquiloni appesi ad un filo di
sabbia.
Niamey, novembre, 2019
da qui
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