Possiamo
parlare con le balene, lo facciamo da sempre, ma la scienza finora non lo
sapeva
Gli
scienziati stanno dando credito crescente agli antichi popoli che preparano
rituali comunicativi per cacciare le balene. O meglio: per accordarsi con loro.
È noto
infatti che le balene comunicano tra loro in modo raffinato, e che, grazie a
una lunga infanzia in cui i cuccioli restano a stretto contatto con la madre,
che impartisce loro regole e comportamenti, questi animali possiedono e
tramandano una vera e propria cultura, cosa che fino a pochi anni fa si pensava
essere prerogativa unicamente umana. Ci sono stati poi negli scorsi anni
balene addestrate a parlare, per imitazione,
o beluga utilizzati come spie.
Il
linguaggio delle balene resta comunque non del tutto comprensibile a noi; si
ritiene che questi animali si chiamino per nome, segnalino cibo e nemici, e non
molto altro è noto. Ma ci sono culture – recentemente oggetto di studio da parte della scienza – che da
secoli, per tradizione, comunicano con questi superbi animali su temi
addirittura astratti, filosofici o religiosi.
Ne sono un
esempio gli Yupik che vivono tra l’estremo oriente della
Russia e l’Alaska centro meridionale, sull’isola di St. Lawrence. Si nutrono di
balene per tradizione e necessità, ma nel modo più affascinante che si possa
immaginare.
Le loro
barche hanno speciali incisioni sul fondo, per renderle visibili agli animali.
Secondo la tradizione Yupik, oggi oggetto di ricerca scientifica, le balene
nuotano sotto le barche e ispezionano le incisioni. Se sono belle e danno
fiducia sul rispetto che quegli uomini portano loro, la balena permetterà ai
cacciatori di arpionarla. Altrimenti, nuoterà via.
Questo può
sembrare strano, e ingenuo, per un osservatore esterno, ma nella cultura Yupik
ha un senso preciso. La balena si sarebbe sviluppata da un animale terrestre –
e in effetti si sa che il feto di una balena abbozza delle piccole gambe poi
destinate a scomparire – e sarebbe sua aspirazione tornare a diventarlo. Per
questo, dopo aver ucciso e mangiato una balena beluga, gli Yupik eseguono un
rituale sulle sue ossa che consente all’animale di reincarnarsi come animale
terrestre. Gli Yupik credono che le balene beluga vogliano subire questo
processo per tornare sulla terra, e che questa “comunicazione spirituale” tra
uomini e animali si concretizzi in uno scambio di favori.
Una cosa
simile avviene tra i popoli Makah e Nuu-chah-nulth,
che vivono rispettivamente nello Stato di Washington e nell’isola di Vancouver.
Passano otto mesi eseguendo antichi rituali per comunicare con le balene:
preghiere, bagni in speciali piscine e canzoni sacre puntano a ottenere il
sacrificio della balena. Proprio come gli Yupik, anche queste popolazioni –
lontane e in passato isolate tra loro – credono da sempre che una balena cederà
la sua vita ai cacciatori di proposito, per poter rinascere. Anche loro
decorano il fondo delle barche per lusingarle.
Se la
scienza riuscirà in questa quasi paradossale missione di assegnare anche agli
altri animali capacità mistiche e una sensibilità religiosa, al momento non è
dato sapersi. Quello che è certo è che c’è stato un tempo – e in parte c’è
ancora – in cui il rispetto segnava il rapporto tra cacciatore e preda, e la
morte di un altro essere senziente non era mai considerata meno di un
sacrificio. Per una cultura come la nostra, che accetta e si nutre di animali
allevati in batteria, sebbene siano condivise le numerose prove sulla capacità
animali di pensiero e sentimento, sembra questo l’insegnamento più importante.
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